Oltre 21 mila miliardi di yen (circa 170 miliardi di euro): è questa la stima più recente del costo totale dei lavori di bonifica e smantellamento della centrale nucleare di Fukushima Daiichi (in giapponese “Numero 1”), per una durata dei lavori prevista tra i 30 e i 40 anni. Appena tre anni fa le stime dei costi — che comprendono anche gli indennizzi versati alle famiglie evacuate dalle aree limitrofe all’impianto — erano dimezzate. L’11 marzo di 6 anni fa un terremoto di magnitudo 9.0 colpiva la regione del Tohoku, nel nordest del Giappone, innescando uno tsunami alto fino a 40 metri che ha causato la morte di 19mila persone. L’evento provocava anche malfunzionamenti nell’alimentazione dei reattori alla centrale scatenando un triplo meltdown.
Circa 160mila persone residenti intorno all’impianto furono costrette a evacuare la zona a causa della fuoriuscita di materiali radioattivi. Oggi, mentre la regione del Nordest cerca, a fatica, di rialzarsi, la centrale di Daiichi è ancora un enigma. In superficie, come racconta il Guardian, i lavori di messa in sicurezza procedono: le strutture esterne dei reattori danneggiate dalle esplosioni verificatesi poche ore dopo il terremoto e lo tsunami sono state messe in sicurezza e il terreno è stato coperto da materiali impermeabili che tengono l’acqua piovana in superficie.
Sono state aggiunte alcune strutture per il relax dei lavoratori tra cui una mensa e, a un km dall’impianto un piccolo supermercato aperto dalle 6 del mattino. Tuttavia i problemi rimangono e la loro soluzione sembra sempre più complessa. A cominciare, appunto, dalla gestione dell’acqua contaminata, un mix di quella pompata da Tepco per raffreddare i reattori e di quella sotterranea che scorre dentro i reattori nel suo corso dalle colline intorno alla centrale verso l’oceano. Nemmeno il “muro di ghiaccio” – una serie di tubature con tecnologia refrigerante inserite nel terreno della centrale intorno ai quattro reattori danneggiati, un’opera da circa 200 milioni di euro – è servito a impedire all’acqua di entrare nei reattori e fuoriuscire poi nell’oceano.
Tepco ha dovuto aggiungere dei pozzi di “sottoscarico” per raccogliere l’acqua, drenarla negli impianti di filtraggio e scaricarla nell’oceano. La maggior parte dell’acqua contaminata viene raccolta in cisterne saldate, alte 10 metri per 12 metri di diametro, che hanno gradualmente sostituito quelle a flange. All’interno di queste sono contenute oltre 900mila tonnellate d’acqua contaminata. Secondo quanto riferito dal settimanale Sunday Mainichi, oggi la parte collinare dell’impianto si presenta come una vera e propria “foresta” di cisterne di stoccaggio.
La sfida più complessa è poi quella del ritrovamento — e della conseguente rimozione — del combustibile nucleare sciolto depositatosi al fondo dei recipienti in pressione dei tre reattori gravemente danneggiati durante il terremoto e tsunami dell’11 marzo 2011. A fine 2014 Tokyo Electric (Tepco), la utilty energetica più grande del Giappone che gestisce anche i lavori di smantellamento del sito, era riuscita a rimuovere oltre 1500 barre di combustibile nucleare dal reattore numero 4, dove la bassa radioattività permetteva maggiori margini di manovra. Discorso diverso per i reattori 1, 2 e 3. A causa dell’alta radioattività, l’azienda ha scelto di operare a distanza inviando robot in grado di raccogliere immagini e informazioni utili. La strategia non ha finora avuto successo. L’ultimo tentativo è stato fatto a febbraio di quest’anno.
Scorpion, un robot lungo circa 60 cm e dotato di telecamere, una sulla “coda”, che può essere alzata rispetto al livello del corpo, e rilevatori di temperatura e radiazioni progettato da Toshiba, è stato inviato all’interno del reattore numero 2, dove, in precedenza, erano stati registrati alti picchi di radioattività. La sua missione, la cui durata era stata programmata in 10 ore, è stata annullata dopo appena due ore. Il robot ha incontrato difficoltà di movimento dovute — secondo le dichiarazioni ufficiali di Tepco — probabilmente “alle radiazioni o a degli ostacoli”. La macchina è stata costruita per resistere a un’esposizione fino a mille sievert per ora, abbastanza da riuscire a resistere agli alti livelli di radioattività registrati — tra i 250 e i 650 sievert per ora — impossibili da sostenere per un essere umano e difficili anche per robot di ultima generazione.
Tepco ha fatto sapere di essere riuscita a raccogliere informazioni importanti e che ha in programma di cominciare con l’estrazione di altre 500 barre di combustibile dal reattore 3 a metà del prossimo anno. Ma sui lavori di bonifica aleggiano altre ombre, in particolare circa le forniture di forza lavoro. Oggi nella centrale lavorano circa 6mila tecnici e lavoratori, alcuni esposti a dosi di radiazioni superiori alla media. Recenti resoconti dei media giapponesi hanno rivelato che in alcuni casi i lavoratori sono poco preparati e troppo anziani per resistere a lunghe ore di lavoro. Nessuno vuole oggi lavorare a Fukushima, anche perché una volta finito l’incarico il reinserimento sociale dei lavoratori è complicato da episodi di discriminazione e isolamento. Qualcuno, però, lo deve pur fare. Così per sopperire alle carenze di manodopera, alcune aziende appaltatrici — alcune delle quali legate ai clan di yakuza — hanno reclutato senzatetto e anche qualche straniero, in particolare brasiliani di origine giapponese.
“Siamo all’inizio della scalata a una montagna”, ha dichiarato Naohiro Masuda, direttore dei lavori alla centrale, al settimanale economico Toyo Keizai. “Abbiamo capito che tipo di equipaggiamento ci serve”. Più critico, invece, è stato un tecnico di Greenpeace raggiunto dal Guardian. Le operazioni di smantellamento di Fukushima Daiichi, ha detto, sono un’opera che va “al di là di ogni umana comprensione”.
di Marco Zappa