Per ora sono solo carte, moltissime carte, ma da queste, una volta trovato l’accordo tra le istituzioni europee nei prossimi mesi, dipenderanno le politiche sui rifiuti di tutto il continente da qui al 2030. Il 14 marzo il Parlamento europeo si esprimerà definitivamente sul pacchetto di misure per l’economia circolare, che contiene nuove regole su rifiuti, riciclo degli imballaggi, discariche, recupero di pile, rifiuti elettrici ed elettronici e veicoli fuori uso. Da lì partirà il negoziato tra l’Europarlamento, deciso a mantenere obiettivi ambiziosi, il Consiglio, che rappresenta più direttamente gli interessi dei Paesi membri sempre tentati dal gioco al ribasso, e una Commissione restia a dire di no alle pretese delle cancellerie nazionali.

In particolare, la battaglia si giocherà sugli obiettivi di gestione dei rifiuti. Sono quelle poche percentuali, affogate nel mare di parole di sei diverse direttive, a rappresentare il punto di arrivo per i prossimi tredici anni. La proposta che dovrebbe ricevere il via libera dall’aula di Strasburgo, messa a punto dalla relatrice Simona Bonafé (Pd, in Europa nei Socialisti&Democratici) in mesi di serrato lavoro alle prese con sei direttive e 2mila emendamenti, prevede l’obiettivo di riciclare, entro il 2030, il 70% dei rifiuti urbani e l’80% degli imballaggi (contro, rispettivamente, il 65% e 75% proposto dalla Commissione), riducendo al 5% lo smaltimento in discarica (nella proposta dell’esecutivo si concedeva il 10% di interramento) e dimezzando lo spreco di cibo.

Target ambiziosi – Target che molti Paesi europei considerano non proprio dietro l’angolo: oggi, in media, nel vecchio continente il riciclo dei rifiuti urbani arriva al 44%, vicino all’obiettivo comunitario del 50% entro il 2020, ma in ben 10 Paesi si mantiene sotto il 20%. Per gli imballaggi la percentuale sale complessivamente al 65%, ma la situazione è molto diversificata: all’82% del vetro corrisponde il 40% della plastica, la vera sfida per l’industria del riciclo, ma soprattutto per l’industria che produce i contenitori senza preoccuparsi del loro fine vita. Ci sono Stati a un passo all’obiettivo dell’80% come il Belgio (79%), la Germania e la Svezia (72%), grazie soprattutto al riciclo di carta e vetro, mentre l’Italia è al 67%: sopra la media ma non vicinissima al target posto dal Parlamento, in un Paese dove poco si investe in politiche e impianti per far crescere questo numero. L’obiettivo in assoluto più sensibile è però quello legato alla riduzione dello smaltimento in discarica al 5%, visto che oggi 14 Paesi su 28 seppelliscono negli invasi la metà dei propri rifiuti urbani. Anche per l’Italia, che comunque con il suo 26% è sotto la media europea del 28%, non è per niente scontato scalfire la percentuale di 21 punti in 13 anni. Per chi non ce la fa sarebbero possibili deroghe, ancorate però a dati statistici e piani di rientro.

Una strada in salita – Numeri che sono il punto di arrivo di un percorso lungo e accidentato, cominciato a luglio 2014 con la presentazione del primo pacchetto da parte della Commissione Barroso in scadenza. A fine anno, però, il successore Juncker decide di ritirare la proposta: ufficialmente per elaborarne una più ambiziosa, in realtà in seguito alle pressioni dei grandi gruppi industriali, sollevando le proteste degli ambientalisti ma anche di diversi Paesi membri. Passano dodici mesi e il nuovo pacchetto – non era scontato – arriva davvero: però è stato rivisto al ribasso e più che a una sfida assomiglia al minimo sindacale. Ma non è detta l’ultima parola: tutti sperano nel Parlamento, che spesso ha risollevato le sorti dei provvedimenti, alzando l’asticella. Così è: la relatrice Bonafé alza il tiro, reintroduce alcuni obiettivi contenuti nella prima versione del pacchetto e aggiunge un target contro lo spreco di cibo. Dopo l’approvazione della sua proposta in commissione Ambiente dell’Europarlamento avvenuta a gennaio scorso, il 15 marzo 2017 a Strasburgo c’è la prova dell’aula. Una prova che non sarà tanto sul sì o sul no – l’approvazione è scontata – ma più che altro sui numeri. “Dall’ampiezza della maggioranza dipenderà il potere negoziale che il Parlamento potrà avere nella trattativa con il Consiglio, dove invece si punta al ribasso chiedendo di ridurre persino i target della Commissione per poi planare sulla proposta dell’esecutivo ed isolare il Parlamento”, spiega il responsabile Europa di Legambiente Mauro Albrizio.

I tedeschi ago della bilancia – Bonafé alla vigilia del voto si mostra ottimista: “La speranza è che si mantengano le posizioni espresse in commissione Ambiente, dove la mia relazione è passata con 59 voti a favore, una astensione e solo 7 contrari”, espressi dai deputati di estrema destra. Ma non tutti sono pronti a mettere la mano sul fuoco. Voteranno sicuramente a favore i socialdemocratici di S&D, i liberali di Alde, i Verdi, la sinistra e l’anima pentastellata del gruppo dell’antieuropeista britannico Neil Farage. Qualche dubbio rimane sul grande Partito popolare europeo, che rischia di spaccarsi. Il ruolo di ago della bilancia potrebbero giocarlo i tedeschi del Ppe, una cinquantina di eurodeputati legati a uno dei relatori-ombra del dossier economia circolare Karl-Heinz Florenz, vicino ad Angela Merkel. Bisognerà vedere come questo voto si inserisce nelle strategie politiche più generali della cancelliera, che si prepara alla prova delle urne per il prossimo autunno. Il voto dei tedeschi darà il polso della situazione: se voteranno sì, secondo Albrizio, “trasmetteranno al Consiglio il messaggio che, magari dopo le elezioni e in cambio delle rassicurazioni richieste, la Germania è pronta a sostenere il testo”.

La battaglia in Consiglio – Le concessioni Berlino le sta infatti chiedendo nella partita giocata, di pari passo, sul tavolo del Consiglio. Gli obiettivi di riciclo fanno paura ai tedeschi, che temono di non avere più abbastanza rifiuti per alimentare i loro inceneritori e che le regole per i rifiuti urbani traccino la strada anche per gli speciali, al momento non toccati dalla revisione ma sui quali il Parlamento ha chiesto alla Commissione un riesame nel 2018. Chiedono dunque un periodo di transizione per spegnere gli impianti gradualmente. La Germania su questo potrà ottenere qualcosa ma non tutto: del resto, spiega il responsabile del comitato scientifico di Rifiuti Zero Europa Enzo Favoino, “la Commissione comunque è stata chiara nel dire basta a futuri investimenti negli inceneritori, perché una volta costruiti devono essere fatti lavorare e impediscono al sistema di evolversi. Bruxelles ha chiesto alla Bei e alla direzione generale della Commissione che gestisce i fondi strutturali di chiudere i rubinetti per impianti di questo tipo e dirottare le risorse verso il riciclo”.

La battaglia più aspra e che vede maggiori truppe in campo si combatterà però sull’obiettivo dello smaltimento in discarica. In campo ci sono i Paesi dell’Est capeggiati dalla Slovacchia, che continuano a seppellire più del 50% dei rifiuti prodotti. Non è da escludersi però che dietro gli “impresentabili” mandati a fare da apripista si stiano accodando altri stati dove raggiungere il 5% comporterebbe comunque ingenti investimenti e il ripensamento di tutto il modello di gestione dei rifiuti. L’Italia ufficialmente si è dichiarata a favore di tutti i target più stringenti: “Il governo continuerà a promuovere e sostenere obiettivi comunitari ambiziosi, lavorando alla formulazione di un quadro regolatorio chiaro e stabile, in cui la dimensione ambientale sia associata a quella economica e sociale”, ha dichiarato il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti di fronte al Senato a metà febbraio. Ma c’è chi sostiene che alle parole non corrispondano i fatti e che l’Italia in Consiglio stia in realtà giocando sporco, anche perché si trova stretta tra l’incudine e il martello, con l’Europa che da una parte consiglia di ridurre l’incenerimento e dall’altra pretende un taglio netto agli smaltimenti in discarica.

In tutto questo, rimane ambiguo il ruolo della presidenza maltese del Consiglio, in carica fino a giugno e decisa a mettere la parola fine al negoziato prima della sua scadenza. Malta è il Paese europeo con la più alta percentuale di interramenti in discarica (quasi il 90%) e la patria del commissario all’Ambiente Karmenu Vella, non proprio l’immagine dell’ambizione sui temi ambientali. La piccola isola cercherà di intestarsi il risultato politico. Alla delegazione del Parlamento il compito di difendere il testo dalle imboscate e i tentativi di azzoppamento.

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