Doveva sanare il disegno di legge sulla Pubblica Amministrazione dopo i rilievi mossi dalla Consulta. Per il Consiglio di Stato, però, il decreto correttivo sulle società partecipate continua ad avere la medesima “criticità, evidenziata già con il primo parere sullo schema di testo unico, di attribuire al presidente del Consiglio dei ministri il potere di escludere singole società dall’applicazione della riforma, con semplice provvedimento amministrativo”. Come dire: il premier potrà decidere quali partecipate far sopravvivere dall’impetuosa riduzione promessa con la riforma Madia. Ma non solo: perché tale potere adesso sarà esteso anche ai governatori delle regioni. Sono queste le principali osservazioni fatte dai giudici di palazzo Spada, che hanno comunque dato parere favorevole al decreto correttivo del testo unico sulle partecipate, predisposto per rispondere ai rilievi mossi dalla Corte Costituzionale.
Nel novembre scorso, infatti, la Consulta aveva dichiarato incostituzionale alcune parti della legge di riforma della pubblica amministrazione e di fatto aveva invalidato alcuni decreti attuativi – come quello, appunto, sulla società partecipate – per i quali non era prevista alcuna intesta tra lo Stato e le Regioni, ma soltanto il “parere” di queste ultimi. Il 17 gennaio 2017, quindi, il Consiglio di Stato aveva indicato la linea da seguire nei “decreti correttivi” per far continuare il processo di riforma.
Secondo il Consiglio di Stato, però, il potere riconosciuto al premier “di escludere singole società dall’applicazione della riforma”, può configurare “possibile violazione del principio di legalità e dubbio fondamento nella legge di delega”. I giudici, tra l’altro, indicano “la ancor più grave criticità di estendere, con il correttivo, tale potere derogatorio anche ai presidenti delle Regioni, perché ciò consentirebbe a un’autorità regionale di derogare, con suo provvedimento, a una disciplina statale generale propria dell’ordinamento civile”.
Pur avendo dato il suo via libera al testo normativo, dunque, il Consiglio di Stato chiede una serie di interventi per limitare deroghe e invita a fare di più su responsabilità, fallimento, in house e controlli. Secondo l’organo di rilievo costituzionale, infatti, il decreto correttivo non dovrebbe limitarsi ad attuare la sentenza della Consulta, ma anche introdurre tutte le modifiche necessarie per risolvere incertezze e per far funzionare, nella pratica, le norme originarie.
Tra i rilievi del Consiglio di Stato, oltre a quello relativo ai poteri del premier estesi ai governatori di Regione, segnala l’esigenza di rendere effettivo il principio di “fallibilità” delle società pubbliche, raccordandone la disciplina con la norma del testo unico che impone alle amministrazioni locali partecipanti di accantonare nel bilancio un importo pari al risultato negativo non immediatamente ripianato delle società in house, misura che “negherebbe in radice la possibilità per le società in house di fallire” e che potrebbe risolversi anche in un indebito aiuto di Stato.
Per i giudici occorre poi riunificare la disciplina in tema di enti in house (che oggi è contenuta, con qualche difformità, sia nel testo unico sulle società partecipate sia nel codice dei contratti pubblici) e di chiarirne alcuni aspetti, tra cui la modalità di scelta del socio privato. Ed è opportuno specificare l’applicabilità del codice dei contratti pubblici anche agli acquisti di beni e servizi da parte delle società pubbliche. Il Consiglio di Stato segnala infine l’importanza “cruciale” del ruolo del ministero (e, in prospettiva, delle Regioni) contro le elusioni dalla riforma, su cui andrebbero irrobustiti i poteri di intervento, e della fase transitoria di razionalizzazione delle partecipazioni pubbliche attuali entro il 30 giugno 2017, In questo senso i giudici sottolineano “la grande rilevanza di queste disposizioni per l’effettivo successo dell’intera riforma”, per le quali “andrebbe ulteriormente rafforzata, con particolare riferimento all’operazione in questione, la funzione di controllo e monitoraggio“