“Sulla mia nomina alla Procura nazionale antimafia in questi anni ci sono stati i veti di alti esponenti istituzionali”. Sono queste le parole del pm antimafia Nino Di Matteo, a margine del processo sulla trattativa tra Stato e mafia, che ha voluto specificare come il suo trasferimento votato solo ieri dal Csm “non sia una fuga o una resa”. “A prescindere dal valore professionale altissimo dei colleghi”, ha detto, “che mi sono stati preferiti in altre circostanze, resto convinto che in passato ci sia stato qualche veto e qualche pregiudizio, anche da qualche alto esponente istituzionale che ha pressato perché la mia domanda non fosse accolta. Questo è quello che penso. Mi auguro che non sia accaduto ma ho qualche elemento per ritenere che possa essere accaduto”. Alla domanda sul perché ci sia stato qualche veto, Di Matteo ha risposto: “Questo non lo può chiedere a me, ho delle mie idee”.
Di Matteo dovrebbe restare applicato al processo sula trattativa tra Stato e mafia. “Ho subito anticipato al Procuratore di Palermo e al Procuratore nazionale antimafia il mio intento di finire il mio percorso intrapreso da anni. Ho colto anche una disponibilità dal Procuratore antimafia Roberti. E’ certo che dovrà essere il Procuratore di Palermo ad attivare la procedura per l’applicazione”. “Io credo”, ha continuato, “che una delle possibilità che le leggi che regolamentano il funzionamento della Dna nei rapporti con le Dda sia proprio l’applicazione a singoli processi e indagini. Io spero che questo avvenga anche in questo caso”. Di Matteo ha anche detto che per lui non è facile lasciare la Sicilia: “Dopo 25 anni di impegno, con tutti i miei limiti, molto gravoso, quasi totalizzante, tra Caltanissetta e Palermo, lasciare la Sicilia non è facile. La mia è stata una scelta dovuta alla consapevolezza che per continuare a impegnarmi nella lotta alla mafia dovevo cambiare ruolo e ufficio”.
Il pm ha detto che la sua richiesta di trasferimento è stata motivata dalla volontà di “continuare a dare un contributo alla lotta alla mafia”: “Mi sono occupato di queste vicende per 25 anni, in due Procure di frontiere come Palermo e Caltanissetta. Ma ultimamente non ero più messo nelle condizioni di potere lavorare a tempo pieno su inchieste delicatissime che, a mio parere, richiedono un tipo di impegno totalizzante. Negli ultimi anni sono stato costretto a conciliare la delicatezza e la gravosità di certi impegni, come il processo sulla trattativa, con la necessità di occuparmi di centinaia di procedimenti che riguardano reati comuni come furti e piccole truffe. Questa situazione non poteva continuare all’infinito. Soprattutto, negli ultimi tre anni, stava diventando paradossale, con l’accentuarsi di una situazione di rischio nei miei confronti e della mia famiglia”. “Ho ritenuto che la scelta della Direzione nazionale antimafia fosse quella più utile per cercare in futuro – aggiunge il pm Di Matteo – di dare un contributo soprattutto sulle vicende su cui ho sempre lavorato, a Palermo e a Caltanissetta. Spero anche in futuro di potere avere un ruolo anche nel percorso di approfondimento nella ricerca della verità sulle stragi e su tutto quello che è accaduto nel ’92 e ’93. Sui rapporti alti della mafia con la politica e con il potere in generale”.