Che noia, la coerenza. Abolire i voucher? Fino a pochi mesi fa per il governo la sola proposta appariva un’eresia. La loro soppressione “potrebbe determinare un vuoto normativo” pericoloso. Era il 5 gennaio 2017, e a scrivere queste parole era l’avvocatura dello Stato. Che, per conto di Palazzo Chigi, chiedeva alla Corte Costituzionale di ritenere inammissibili i referendum proposti dalla Cgil. Gli avvocati spiegavano come, a giudizio dell’esecutivo guidato da Paolo Gentiloni, fosse necessario mantenere una “regolamentazione” per tutte le prestazioni di lavoro accessorio altrimenti prive di copertura normativa. Dunque che fare? Riformare i voucher, certo, ma assolutamente non abolirli. Lo stesso neo-premier Gentiloni, nella conferenza stampa di fine anno, aveva dettato la linea: “Correggere gli abusi senza però cedere all’idea che i voucher siano il virus che semina il lavoro nero”. Anzi: “I buoni lavoro nascono, all’opposto, come un tentativo di rispondere al lavoro nero”. Giusto. Ecco perché eliminarli di punto in bianco non era pensabile.
Non si dica però che il Pd su questo punto ha improvvisamente cambiato idea. Altrimenti qualcuno tra i dem potrebbe risentirsi. Qualcuno come Ettore Rosato, capogruppo alla Camera, che ammonisce ad un uso più accorto delle parole: “Nessun contrordine. La decisione di abolire i voucher per decreto nasce in realtà dalla volontà di non scontrarsi su un tema rispetto al quale ci sono, all’interno del Pd, molte comunanze di idee”. Comunanze un po’ tardive, viene da dire, se si pensa alla convinzione con cui Matteo Renzi ha sempre respinto le proposte di abolire i buoni lavoro. “Voi potete dire ciò che volete, ma i fatti parlano da soli”. I fatti, in realtà, parlano di un ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, che ancora all’inizio di marzo si rifiutava di considerare l’idea di cancellare l’uso dei voucher. Cosa che invece il governo ora ha deciso di in tempi rapidissimi.
Una decisione che sorprende anche Cesare Damiano: “Va oltre le nostre stesse richieste”. Presidente della Commissione Lavoro della Camera, Damiano si è intestato da mesi, all’interno del Pd, la battaglia contro i famigerati tagliandi da 10 euro. “Una battaglia che nel partito ho combattuto da solo, o quasi. Mentre io mettevo in guardia sugli abusi di questo strumento, il Jobs Act innalzava il tetto annuo di remunerazione in voucher per il singolo lavoratore da 5mila a 7mila euro. La svolta? L’incombenza del referendum proposto dalla Cgil. “Noi in Commissione chiedevamo di mantenere i voucher almeno per le famiglie. Il governo ci ha spinti invece a vietare l’uso dei buoni anche in quel campo”. Troppa grazia, insomma. Ma Damiano, che pure gioisce per questa sua vittoria, sa bene quali sono i motivi di questo improvviso cambio di rotta: “Il decreto è stato pensato apposta per evitare il referendum della Cgil, che chiedeva l’abolizione totale dello strumento. Se, come noi proponevamo, si fossero mantenuti i voucher per le microimprese e le famiglie, si correva il rischio che la Corte Costituzionale non cancellasse la consultazione referendaria”. E di certo il Pd renziano non aveva alcuna voglia di arrivare allo scontro frontale con la Cgil nelle stesse settimane in cui l’ex premier è impegnato nella sfida congressuale.
Su questo punto, però, non c’è molta voglia di parlare. “Non voglio commentare nulla”, sbuffa Yoram Gutgeld, uno dei consiglieri economici di Matteo Renzi, prima di buttare giù il telefono. Anche la viceministra allo Sviluppo economico Teresa Bellanova, che pure in passato si è dichiarata contraria all’abolizione dei voucher, si nega. Fa sapere di avere degli impegni: “E poi ora il dossier è gestito da un altro ministero, quello del Lavoro. È una questione di correttezza istituzionale, di rispetto dei ruoli, voi capite”. Capiamo. Se non fosse che neppure a Via del Corso sembra esserci gran desiderio di rilasciare dichiarazioni. Il ministro Poletti è irraggiungibile, la sottosegretaria Franca Biondelli manda a dire che dei voucher si è occupato il suo collega Luigi Bobba, pure lui del Pd. E Bobba? Bobba non c’è. Inutile insistere.
Il problema però non è solo che la scelta d’imperio del governo limita il dibattito pubblico e la partecipazione. Il rischio più grave è quello di creare un vuoto normativo sul fronte del lavoro accessorio. Lo riconosce, in fondo, anche Irene Tinagli, deputata Pd in Commissione Lavoro, assai scettica sull’opportunità di abolire i voucher di punto in bianco: “Io mi sono convinta a votare questa proposta solo perché mi è stato garantito che in breve tempo verrà elaborato un nuovo strumento per regolamentare il lavoro accessorio. Qualcosa di diverso dai voucher, e che magari garantisca più tutele al lavoratore”. Oggi si fa tabula rasa, quindi, e domani si sarà costretti a legiferare di nuovo sulla questione. Magari sull’onda di una nuova emergenza. “Sì, bisognerà intervenire. Ma – precisa Damiano – solo per quanto riguarda le famiglie. Non si pensi di reintrodurre, magari furbescamente, strumenti analoghi ai voucher anche per altri settori”.
Ma non era più logico, a questo punto, approvare una legge mirata a rimuovere abusi e storture dei voucher, denunciati più volte anche dal fattoquotidiano.it, senza spingersi fino alla soppressione totale? Di fronte a questa obiezione, alla fine anche Rosato lo ammette senza remore: “Abbiamo deciso in maniera esplicita e dichiarata di evitare il referendum”.