Politicamente, una vita “nel gorgo”. Viene quasi naturale recuperare le parole del suo amico e mentore, Pietro Ingrao, per descrivere la carriera di Alfredo Reichlin. Un’esistenza spesa a coltivare il dubbio, senza mai accomodarsi sulle certezze calate dall’alto e tuttavia restando fedele, in ogni caso, al bene
supremo dell’unità del partito. Fino a pochi giorni prima della sua morte, almeno. Fino, cioè, al 14 marzo scorso, quando su l’Unità è comparso un articolo a sua firma che ha colpito molti per la durezza con cui l’ex dirigente comunista attaccava il Pd renziano. Spiega Pietro Spataro, confidente e collega di Reichlin ai tempi della sua seconda direzione de l’Unità, alla fine degli anni Settanta: “Alfredo ci teneva, soprattutto, a precisare una cosa: lo stravolgimento del concetto di ‘partito della Nazione’. Lui quell’espressione l’aveva coniata pensando a una forza in grado di ascoltare i bisogni veri del popolo, al netto delle distinzioni di parte, non certo per inneggiare a inciuci e trasformismi”. Ecco, quell’articolo, scritto con grande fatica fisica, segna una prima volta nella storia di Reichlin. Succede anche a 91 anni. La prima volta, cioè, che in vita sua il “compagno Alfredo”, quello che mai volle allontanarsi dalla casa madre (Pci, Pds o Pd che fosse), ha guardato con un certo favore a chi aveva abbandonato il partito. I suoi familiari, del resto, oggi lo ricordano così: “Uno spirito critico, certo, e uno spirito inquieto, anche. Ma tenacemente convinto che le rotture fossero un errore, che fosse più utile spingere amici e compagni verso posizioni più coraggiose restandogli a fianco, anziché fondare nuovi soggetti che rischiavano l’irrilevanza”. Se stavolta era arrivato a esprimere – pur con qualche riserva – la sua solidarietà a Bersani e compagni, allora, “era forse perché il gorgo, il luogo dove costruire un rapporto più stretto col popolo, per lui ormai era altrove”.
Da “ingraiano” vero, insomma, sempre. Anche quando esserlo, “ingraiano”, non era affatto vantaggioso. Anche quando significava, per esempio, schierarsi apertamente contro Palmiro Togliatti, e subirne poi le inevitabili conseguenze. Aveva 37 anni, Reichlin, nel 1962, e da 7 era il direttore de l’Unità. Direttore scomodo, per il Migliore, perché mentre il Pci sosteneva la decisione di Mosca di mandare i carri armati a Budapest, l’Unità cominciava per la prima volta a raccontare le contraddizioni del socialismo reale nei Paesi dell’Est. Lo scontro più duro, però, arriva poco dopo. Quando, cioè, a Botteghe Oscure si decide di accogliere con un certo favore l’ipotesi del centrosinistra e Ingrao si oppone. Reichlin sta dalla parte del suo maestro e un pomeriggio di marzo del ’62 viene convocato da Togliatti. Poche, dirette parole: “Senti, io sono il segretario del partito, tu il direttore del giornale del partito. Mi sembra doveroso che tra queste figure ci sia accordo. Quindi le alternative sono due: o mi dimetto io, oppure ti dimetti tu”. Sembra perfino scherzoso, Togliatti. Ma è pur sempre Togliatti. E infatti la direzione de l’Unità passa a Mario Alicata e Reichlin viene spedito nella sua nativa Puglia, a fare il segretario regionale.
Lui non protesta, conosce le regole. Solo a un’accusa, però, replica con durezza, perché più di altre lo offende. L’accusa è quella di essere “uno scissionista” e a scagliargliela è il suo compagno di partito Giancarlo Pajetta in una lettera privata. Reichlin prende carta e penna e replica punto su punto. “Scissionista”, a lui, proprio no.
Di saper resistere alla tentazione delle “fughe in avanti”, come si diceva negli anni turbolenti della contestazione, o “a sinistra”, secondo il lessico più contemporaneo, Reichlin lo dimostra qualche anno dopo. Nell’ottobre del 1969, per la precisione, quando il gruppo dei ribelli del Manifesto viene radiato dal Comitato centrale del Pci, e lui e Ingrao si ritrovano, ancora una volta, proprio sulla faglia. I più vicini, per visione e temperamento, al gruppo di Luigi Pintor e Rossana Rossanda e però
comunque fedeli alla linea dettata da Enrico Berlinguer. Reichlin soffre più di altri quella divisione, nella quale, per lui, entrano in gioco anche affetti personali. Perché è vero che con Luciana Castellina, una delle animatrici dell’avventura del Manifesto, il matrimonio è già finito, ma è altrettanto vero che i rapporti tra loro restano – come poi resteranno anche in seguito – assidui e amichevoli. “Tenne sempre diviso l’aspetto sentimentale da quello politico”, afferma ora Lidia Menapace, altra redattrice di quel giornale dissidente. Achille Occhetto, all’epoca leader giovanile in forte ascesa, conferma. E aggiunge: “Fu un passaggio estremamente doloroso, per lui. Ma era proprio nelle fasi più delicate che Alfredo dava prova della sua lucidità”.
Affermazione non banale, se a farla è chi ha potuto toccare con mano il valore della fedeltà e della capacità di mediazione di Reichlin. Altro clima, altra epoca: non più le aspirazioni rivoluzionarie di un gruppo di intellettuali nell’autunno caldo del ’69, ma il sogno del comunismo che viene giù insieme al Muro di Berlino. La svolta, stavolta, è quella della Bolognina: siamo nel novembre del 1989, e Occhetto propone di superare il Pci e fondare “un’altra cosa”, che poi sarà
il Pds. “La mia paura – racconta l’ex leader comunista – era soprattutto legata alla possibile reazione negativa dei padri nobili del partito”. Il più temuto di tutti, manco a dirlo, Pietro Ingrao. Che però al momento dell’annuncio della svolta è in Spagna per un ciclo di conferenze. “Erano giorni convulsi, caratterizzati da una tensione incredibile. L’ultima cosa che ci voleva erano dichiarazioni d’istinto di una personalità così combattiva come quella di Ingrao, che peraltro era stato messo al corrente della cosa solo in modo sommario”. E quindi, che fare? “Chiesi a Reichlin e Antonio Bassolino di andare a prendere Ingrao all’aeroporto e parlargli privatamente. Come sospettavo, Ingrao non la prese bene, ma ai giornalisti non disse nulla”. Reichlin invece sostiene la svolta, per la prima volta anticipa il suo maestro. E alla fine – ma solo dopo due congressi e parecchie lacrime – lo convincerà a seguirlo.
“Per la prima volta? No, non direi”. Chiara Ingrao sorride, quasi commossa, nel ricordare i pranzi nella casa romana dei suoi genitori, dalle parti di Piazza Bologna. “In più di un’occasione mio padre si è affidato ai consigli di Alfredo”. Ingrao, è cosa nota, amava circondarsi anche nel tempo libero dei suoi compagni di partito. “Ne nascevano grandi mangiate e, soprattutto, interminabili discussioni che io e mia sorella, ragazzine, ascoltavamo ammirate. Alfredo era così, sempre sorridente, sempre umile. Credo non fosse consapevole di quanta autorevolezza ispirasse la sua figura. Era un maestro per tanti, compreso mio padre, di cui continuava però a considerarsi un allievo”. Umile e autorevole, dunque.
Due aggettivi che tornano anche nelle parole del regista Citto Maselli, che Alfredo Reichlin lo ha conosciuto, per la prima volta, ai tempi del liceo. “Era il 1944. Frequentavamo entrambi il Tasso, a Roma. Lui era il capo del gruppo di resistenza degli studenti. Facevamo volantinaggio dentro e fuori dalla scuola, col fiato sul collo della banda Koch, la squadraccia di militari che nella Capitale collaborava coi nazisti”. Un carattere che non è cambiato, negli anni, a giudicare dalla testimonianza di Pietro Spataro. “Avevo 22 anni ed ero un lettore accanito de l’Unità”. Reichlin era tornato a dirigere il quotidiano nel 1977, dopo il successo di Rinascita. “Gli scrissi per posta spiegando che il mio sogno era di poter scrivere su quel giornale, ma mai mi sarei aspettato una risposta. E invece
passarono solo pochi giorni e mi vidi recapitare una lettera intestata ‘Al compagno Pietro’. Mi presentai in redazione col mio striminzito curriculum e fui assunto”. Il modo di lavoro del direttore? “Sempre curioso del pensiero degli altri, ma con una grande capacità di fare squadra. Ricordo riunioni, al mattino, che duravano ore”.
Gli ultimi anni lo avevano visto indebolirsi molto. Era stato costretto, con grande dispiacere, a partecipare con più distacco alla vita del Partito democratico – di cui fu uno dei fondatori – e al dibattito sui giornali. Non aveva però rinunciato a schierarsi sul referendum costituzionale, scegliendo il No come “male minore” di fronte al rischio di compromettere il rapporto tra la politica e il popolo e snaturare il partito, riducendolo “a puro servizio del Capo”. Resta il suo giudizio piuttosto critico sulla “rottamazione”, “una scommessa che Renzi si era illuso di vincere con la straordinaria energia del renzismo (un uomo solo al comando, chi non sta con me è contro di me, lo svuotamento del partito dei sindacati degli organismi sociali intermedi)”
e che invece è “fallita”. E resta, come ultimo appello, quello del 14 marzo scorso sulla sua Unità, quello in cui esortava a non cedere ad una “logica oligarchica” che rischiava di condannare la sinistra a “restare sotto le macerie”. Ma forse, a futura memoria, resterà soprattutto il discorso che Reichlin tenne a Piazza Montecitorio, nell’ultimo saluto a Ingrao il 30 settembre del 2015. In quell’occasione, con gli occhi inumiditi dal pianto e una voce ancora forte, da oratore, Reichlin replicò all’accusa che in tanti, negli anni, hanno mosso ai Comunisti più radicali, agli “ingraiani”. “Non è vero che volevamo la luna. La nostra grande passione fu piuttosto quella di immergerci nell’Italia vera e di lottare per non lasciare gli uomini soli di fronte alla potenza inaudita del denaro”. Qualcosa che per Reichlin, giura chi lo ha conosciuto, “andava fatto restando coi piedi per terra”. Altro che luna.
Politica
Alfredo Reichlin, l’inquieto sostenitore dell’unità del partito: dal coraggio con Ingrao alla delusione per la svolta renziana
IL RITRATTO - Chi era uno degli ultimi dirigenti del Pci di Berlinguer? Lo racconta chi lo ha conosciuto, dall'amico Spataro a Occhetto fino alla figlia del suo maestro Ingrao. Si scontrò con Togliatti che lo cacciò dalla direzione dell'Unità dopo essersi schierato contro il primo esperimento di centrosinistra. Irritato per l'uso scorretto della sua espressione "partito della Nazione", ha alternato coraggio a cautela. Sempre contrario alle scissioni, ha "assolto" Bersani: "Evidentemente il suo gorgo dove costruire un rapporto con il popolo era altrove"
Politicamente, una vita “nel gorgo”. Viene quasi naturale recuperare le parole del suo amico e mentore, Pietro Ingrao, per descrivere la carriera di Alfredo Reichlin. Un’esistenza spesa a coltivare il dubbio, senza mai accomodarsi sulle certezze calate dall’alto e tuttavia restando fedele, in ogni caso, al bene
supremo dell’unità del partito. Fino a pochi giorni prima della sua morte, almeno. Fino, cioè, al 14 marzo scorso, quando su l’Unità è comparso un articolo a sua firma che ha colpito molti per la durezza con cui l’ex dirigente comunista attaccava il Pd renziano. Spiega Pietro Spataro, confidente e collega di Reichlin ai tempi della sua seconda direzione de l’Unità, alla fine degli anni Settanta: “Alfredo ci teneva, soprattutto, a precisare una cosa: lo stravolgimento del concetto di ‘partito della Nazione’. Lui quell’espressione l’aveva coniata pensando a una forza in grado di ascoltare i bisogni veri del popolo, al netto delle distinzioni di parte, non certo per inneggiare a inciuci e trasformismi”. Ecco, quell’articolo, scritto con grande fatica fisica, segna una prima volta nella storia di Reichlin. Succede anche a 91 anni. La prima volta, cioè, che in vita sua il “compagno Alfredo”, quello che mai volle allontanarsi dalla casa madre (Pci, Pds o Pd che fosse), ha guardato con un certo favore a chi aveva abbandonato il partito. I suoi familiari, del resto, oggi lo ricordano così: “Uno spirito critico, certo, e uno spirito inquieto, anche. Ma tenacemente convinto che le rotture fossero un errore, che fosse più utile spingere amici e compagni verso posizioni più coraggiose restandogli a fianco, anziché fondare nuovi soggetti che rischiavano l’irrilevanza”. Se stavolta era arrivato a esprimere – pur con qualche riserva – la sua solidarietà a Bersani e compagni, allora, “era forse perché il gorgo, il luogo dove costruire un rapporto più stretto col popolo, per lui ormai era altrove”.
Di saper resistere alla tentazione delle “fughe in avanti”, come si diceva negli anni turbolenti della contestazione, o “a sinistra”, secondo il lessico più contemporaneo, Reichlin lo dimostra qualche anno dopo. Nell’ottobre del 1969, per la precisione, quando il gruppo dei ribelli del Manifesto viene radiato dal Comitato centrale del Pci, e lui e Ingrao si ritrovano, ancora una volta, proprio sulla faglia. I più vicini, per visione e temperamento, al gruppo di Luigi Pintor e Rossana Rossanda e però
comunque fedeli alla linea dettata da Enrico Berlinguer. Reichlin soffre più di altri quella divisione, nella quale, per lui, entrano in gioco anche affetti personali. Perché è vero che con Luciana Castellina, una delle animatrici dell’avventura del Manifesto, il matrimonio è già finito, ma è altrettanto vero che i rapporti tra loro restano – come poi resteranno anche in seguito – assidui e amichevoli. “Tenne sempre diviso l’aspetto sentimentale da quello politico”, afferma ora Lidia Menapace, altra redattrice di quel giornale dissidente. Achille Occhetto, all’epoca leader giovanile in forte ascesa, conferma. E aggiunge: “Fu un passaggio estremamente doloroso, per lui. Ma era proprio nelle fasi più delicate che Alfredo dava prova della sua lucidità”.
Affermazione non banale, se a farla è chi ha potuto toccare con mano il valore della fedeltà e della capacità di mediazione di Reichlin. Altro clima, altra epoca: non più le aspirazioni rivoluzionarie di un gruppo di intellettuali nell’autunno caldo del ’69, ma il sogno del comunismo che viene giù insieme al Muro di Berlino. La svolta, stavolta, è quella della Bolognina: siamo nel novembre del 1989, e Occhetto propone di superare il Pci e fondare “un’altra cosa”, che poi sarà
il Pds. “La mia paura – racconta l’ex leader comunista – era soprattutto legata alla possibile reazione negativa dei padri nobili del partito”. Il più temuto di tutti, manco a dirlo, Pietro Ingrao. Che però al momento dell’annuncio della svolta è in Spagna per un ciclo di conferenze. “Erano giorni convulsi, caratterizzati da una tensione incredibile. L’ultima cosa che ci voleva erano dichiarazioni d’istinto di una personalità così combattiva come quella di Ingrao, che peraltro era stato messo al corrente della cosa solo in modo sommario”. E quindi, che fare? “Chiesi a Reichlin e Antonio Bassolino di andare a prendere Ingrao all’aeroporto e parlargli privatamente. Come sospettavo, Ingrao non la prese bene, ma ai giornalisti non disse nulla”. Reichlin invece sostiene la svolta, per la prima volta anticipa il suo maestro. E alla fine – ma solo dopo due congressi e parecchie lacrime – lo convincerà a seguirlo.
“Per la prima volta? No, non direi”. Chiara Ingrao sorride, quasi commossa, nel ricordare i pranzi nella casa romana dei suoi genitori, dalle parti di Piazza Bologna. “In più di un’occasione mio padre si è affidato ai consigli di Alfredo”. Ingrao, è cosa nota, amava circondarsi anche nel tempo libero dei suoi compagni di partito. “Ne nascevano grandi mangiate e, soprattutto, interminabili discussioni che io e mia sorella, ragazzine, ascoltavamo ammirate. Alfredo era così, sempre sorridente, sempre umile. Credo non fosse consapevole di quanta autorevolezza ispirasse la sua figura. Era un maestro per tanti, compreso mio padre, di cui continuava però a considerarsi un allievo”. Umile e autorevole, dunque.
Due aggettivi che tornano anche nelle parole del regista Citto Maselli, che Alfredo Reichlin lo ha conosciuto, per la prima volta, ai tempi del liceo. “Era il 1944. Frequentavamo entrambi il Tasso, a Roma. Lui era il capo del gruppo di resistenza degli studenti. Facevamo volantinaggio dentro e fuori dalla scuola, col fiato sul collo della banda Koch, la squadraccia di militari che nella Capitale collaborava coi nazisti”. Un carattere che non è cambiato, negli anni, a giudicare dalla testimonianza di Pietro Spataro. “Avevo 22 anni ed ero un lettore accanito de l’Unità”. Reichlin era tornato a dirigere il quotidiano nel 1977, dopo il successo di Rinascita. “Gli scrissi per posta spiegando che il mio sogno era di poter scrivere su quel giornale, ma mai mi sarei aspettato una risposta. E invece
passarono solo pochi giorni e mi vidi recapitare una lettera intestata ‘Al compagno Pietro’. Mi presentai in redazione col mio striminzito curriculum e fui assunto”. Il modo di lavoro del direttore? “Sempre curioso del pensiero degli altri, ma con una grande capacità di fare squadra. Ricordo riunioni, al mattino, che duravano ore”.
Gli ultimi anni lo avevano visto indebolirsi molto. Era stato costretto, con grande dispiacere, a partecipare con più distacco alla vita del Partito democratico – di cui fu uno dei fondatori – e al dibattito sui giornali. Non aveva però rinunciato a schierarsi sul referendum costituzionale, scegliendo il No come “male minore” di fronte al rischio di compromettere il rapporto tra la politica e il popolo e snaturare il partito, riducendolo “a puro servizio del Capo”. Resta il suo giudizio piuttosto critico sulla “rottamazione”, “una scommessa che Renzi si era illuso di vincere con la straordinaria energia del renzismo (un uomo solo al comando, chi non sta con me è contro di me, lo svuotamento del partito dei sindacati degli organismi sociali intermedi)”
e che invece è “fallita”. E resta, come ultimo appello, quello del 14 marzo scorso sulla sua Unità, quello in cui esortava a non cedere ad una “logica oligarchica” che rischiava di condannare la sinistra a “restare sotto le macerie”. Ma forse, a futura memoria, resterà soprattutto il discorso che Reichlin tenne a Piazza Montecitorio, nell’ultimo saluto a Ingrao il 30 settembre del 2015. In quell’occasione, con gli occhi inumiditi dal pianto e una voce ancora forte, da oratore, Reichlin replicò all’accusa che in tanti, negli anni, hanno mosso ai Comunisti più radicali, agli “ingraiani”. “Non è vero che volevamo la luna. La nostra grande passione fu piuttosto quella di immergerci nell’Italia vera e di lottare per non lasciare gli uomini soli di fronte alla potenza inaudita del denaro”. Qualcosa che per Reichlin, giura chi lo ha conosciuto, “andava fatto restando coi piedi per terra”. Altro che luna.
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Roma, 14 mar (Adnkronos) - Economia, lavoro, donne e intelligenza artificiale sono i temi al centro della giornata di dibattito voluta dalla deputata Pd Paola De Micheli domani, sabato 15 marzo, a Roma dalle 10.30 alle 14.30 all’Unahotels Decò in via Giovanni Amendola 57. ‘Prima le persone: capire il presente per costruire il futuro’ è la prospettiva del convegno promosso da Rigenerazione democratica con l’intento di approfondire nel Partito democratico e nella società una riflessione franca e aperta su imprese e lavoratori. Tra i relatori, la segretaria nazionale del Partito Democratico Elly Schlein e l’ex commissario europeo agli Affari economici e monetari Paolo Gentiloni.
Dopo i saluti iniziali, i lavori entrano nel vivo alle 10.40 con la relazione del Chief Economist di Banca Intesa Gregorio De Felice a cui segue alle 11 l’intervento della segretaria del Pd Elly Schlein. Si prosegue alle 11.20 con il dibattito ‘Siamo industria o caporali?’ moderato dalla giornalista del Sole 24 Ore Sara Monaci con Maurizio Tarquini (Direttore Generale Confindustria), Alberto Pandolfo (membro X Commissione Camera dei Deputati), Dario Costantini (Presidente CNA) e l’eurodeputato Pd Giorgio Gori.
Dalle 11.50 si confronteranno sulle politiche pubbliche il senatore Antonio Misiani (responsabile nazionale Economia Pd), Andrea Bianchi (esperto di Politiche industriali), Antonella Vincenti (responsabile nazionale PMI Pd) e l’europarlamentare Pd- S&D Pierfrancesco Maran. Alle 12.20 Andrea Bignami (Sky) intervista Paolo Gentiloni, già presidente del Consiglio.
(Adnkronos) - Si continua alle 12.50 con il confronto sul ruolo delle donne che vede discutere la professoressa Lucia Valente (docente Diritto del Lavoro presso Università La Sapienza di Roma), l’on. Alessandra Moretti (Parlamentare europea), Peppe Di Cristina (Assessore Cultura e Istruzione Comune di Gela), Lucia Bongarzone (Specialista in politiche del lavoro). Si passa poi alla tavola rotonda sull’intelligenza artificiale che vedrà confrontarsi Stefano Malorgio (Segretario Generale FILT CGIL), Marco Bentivogli (Coordinatore Base Italia, AI expert Mise 2019-21), Alberto Baban (Presidente VeNetWork spa), l’On. Enza Bruno Bossio (Direzione Nazionale Pd). Conclude i lavori alle 13.50 la deputata Pd Paola De Micheli.
“Il convegno sarà il primo di una serie di appuntamenti pensati dall’associazione Rigenerazione Democratica per aiutare la circolazione di idee, progetti e prospettive nuove e moderne da offrire alla riflessione del Partito democratico e del centrosinistra - spiega De Micheli -. Un punto di vista libero e innovativo che parte dalla lettura delle mutate condizioni della società italiana ed europea”.
Roma, 14 mar. (Adnkronos/Labitalia) - L'Italia e la sfida della space economyè al centro di uno studio dell'Eurispes in cui illustra sette proposte operative e azioni concrete che potrebbero essere propedeutiche a sostenere il settore. La 'New space economy' rappresenta attualmente circa lo 0,35% del Pil mondiale. Secondo il World Economic Forum, la New space economy avrebbe raggiunto il valore di 630 miliardi di dollari nel 2023 e potrebbe raggiungere gli 1,8 trilioni di dollari entro il 2035. La space economy è del resto ormai un fornitore di applicazioni innovative e servizi avanzati che vengono utilizzati sempre più nella vita quotidiana e che, si stima, entro il 2040, porteranno il settore a raggiungere un valore fra i 1.000 e i 2.700 miliardi di dollari.
L’Italia è il sesto Paese al mondo per rapporto fra investimenti nello spazio e Pil e il terzo in Europa. Un rapporto che negli ultimi anni è quasi raddoppiato, con una crescita media annua del 9,5%. Ottantotto paesi nel mondo investono in programmi spaziali, 14 dei quali hanno capacità di lancio; l’Italia è tra i 9 paesi dotati di un’agenzia spaziale, con un budget di oltre 1 miliardo di dollari all’anno. Il Made in Italy nel settore spaziale, nel 2023, ha prodotto esportazioni per 7,5 miliardi, in crescita del 14% rispetto al 2022. Nei primi otto mesi del 2024 il dato delle esportazioni italiane nel settore è stato di 4,3 miliardi.
Ma, soprattutto, l’Italia è anche uno dei pochissimi paesi ad avere una filiera completa su tutto il ciclo: dall’accesso allo spazio alla manifattura, dai servizi per i consumatori ai poli universitari e di ricerca, con un’ottima distribuzione delle attività su tutto il territorio e un mercato in cui operano all’incirca 200 aziende con un fatturato annuo di più di 2 miliardi di euro. Il comparto spaziale italiano è comunque ancora composto, per circa l’80%, da piccole e medie imprese, altamente specializzate nei diversi ambiti.
Tutto questo opera in una cornice che, dal 2016, vede l’Italia già dotata di un 'Piano strategico space economy', parzialmente confluito poi, come 'Piano a stralcio space economy', nel Piano imprese e competitività Fsc, con un investimento Paese di circa 4,7 miliardi di euro, di cui circa il 50% finanziato con risorse pubbliche aggiuntive rispetto a quelle ordinariamente destinate alle politiche spaziali. Nel periodo 2023-2027, i finanziamenti pubblici destinati all’ecosistema spaziale nazionale ammonteranno, complessivamente, ad oltre 7 miliardi di euro. Tali prospettive di attenzione e sviluppo sono peraltro in linea con la recente approvazione, il 20 giugno 2024, da parte del Consiglio dei ministri del primo disegno di legge per una normativa organica nazionale sulla space economy.
Di seguito alcune proposte operative e azioni concrete che potrebbero essere propedeutiche a sostenere il settore della space economy. 1) Armonizzare i distretti aerospaziali e superare i limiti delle reti regionali. Sono tredici i Distretti aerospaziali italiani che mettono in contatto le grandi aziende con le medie e piccole imprese e start up, portatrici di un elevato valore aggiunto in termini di innovazione tecnologica, e con i Centri di ricerca, Università e agenzie nazionali. Tutte queste realtà, tuttavia, presentano caratteristiche differenti e non sono uniformi, né a livello statutario né giuridico. Sarebbe dunque importante superare tale limite con una maggiore armonizzazione tra di loro e con le Reti regionali. A proposito di queste ultime, accanto ai distretti e cluster, in alcune regioni italiane, esistono infatti anche le Reti regionali, le quali presentano però anch’esse diversi limiti che ne ostacolano l’efficacia, tra cui la frammentazione delle iniziative e la mancanza di integrazione con il tessuto industriale locale. Uno dei principali problemi delle reti è poi l’assenza di un coordinamento nazionale: non essendo i progetti coordinati tra loro, ci si trova spesso a lavorare su progetti simili, perdendo così l’opportunità di creare un valore aggiunto più significativo attraverso la condivisione di conoscenze e risorse.
2) Sfruttare e disciplinare le potenzialità dell’intelligenza artificiale anche in riferimento alla space economy. Nello spazio si acquisiscono oramai quantità impressionanti di dati, soprattutto immagini, che devono essere trasmesse a terra per essere elaborate. In tal caso, un primo problema è legato alla velocità della trasmissione a terra, che è oggi ancora troppo lenta; il che rende indispensabile elaborare le immagini per una prima valutazione di massima che permetta di spedire a terra solo quelle interessanti, o comunque istruire il satellite su cosa inquadrare e come prendere l’immagine successiva. L’IA potrebbe velocizzare tale processo e sarebbe anche un potente strumento per l’analisi dei dati trasmessi. Altri settori in cui l’utilizzo delle potenzialità dell’IA è fondamentale sono poi quelli della guida, della navigazione e del controllo autonomi; delle operazioni satellitari; della progettazione e collaudo dei veicoli spaziali. Sotto il profilo legale e normativo tutto questo necessita però di essere specificatamente disciplinato, garantendo che queste tecnologie siano utilizzate in modo etico e responsabile. In un tale contesto è dunque senz’altro da apprezzare il Regolamento Europeo 2024/1689 (AI Act), in vigore dal 13 luglio 2024 e pienamente applicabile dal 2 agosto 2026, che introduce norme uniformi per la commercializzazione, l’attivazione e l’utilizzo dei sistemi di intelligenza artificiale nella Ue, compresa una chiara definizione del concetto stesso di intelligenza artificiale (art. 3). Un quadro giuridico da cui partire.
3) Sfruttare la leva fiscale - esenzione Iva per la space economy e per i beni dual use. Per gli Stati Ue che partecipano ai programmi dell’Agenzia europea per la Difesa è prevista l’esenzione Iva per le spese di procurement militare. L’esenzione dall’imposta del valore aggiunto, che può essere utilizzata per qualsiasi tipo di progetto dell’Eda, crea così un interesse commerciale per tutti i programmi di cooperazione nella difesa. L’unica clausola è che l’Agenzia deve necessariamente 'portare una qualche forma di valore aggiunto al progetto in questione'. Questo “valore aggiunto” può essere, ad esempio, l’apporto di conoscenza tecnica, la messa in comune della domanda (pooling demand), la costruzione di sinergie con politiche europee più ampie. Perché dunque, con la stessa ratio e vista anche la natura ontologicamente affine, anche al fine di guadagnare competitività in ambito globale, non estendere tale esenzione anche alla space economy ed in particolare ai programmi Esa?La possibilità di considerare come beni e tecnologie duali quelli utilizzabili sia in applicazioni civili sia nella produzione, sviluppo e utilizzo di beni militari dà peraltro il quadro di quanto una tale misura possa essere in linea con la suddetta, già vigente, esenzione e comunque di quanto potrebbe valere e servire da volàno finanziario per il settore.
4) Canone di uso orbitale: anche se può sembrare una proposta per certi versi bizzarra, uno studio pubblicato nel 2020 fra i proceedings of the National academy of science proponeva un accordo internazionale che addebitasse agli operatori un canone di uso orbitale. Una sorta quindi di Imu dello spazio, a carico degli operatori satellitari, per ogni singolo satellite lanciato in orbita, anche come ristoro per la cittadinanza per i danni in termini di inquinamento e/o rischi da detriti a tale attività comunque connessi. Il tema, al di là anche della misura e dell’impatto economico che può avere, è la riflessione sulle responsabilità che abbiamo in questa corsa allo Spazio. Lo Spazio, infatti, è un bene da proteggere. Una tassa orbitale potrebbe dunque anche stimolare lo sviluppo di sistemi spaziali basati sul riciclo, o comunque di maggiori politiche di resilienza.
5) Una normativa comunitaria concorrenziale sulla falsariga del Digital market act. L’Unione europea ha delle politiche commerciali e concorrenziali molto rigide, che, in funzione strategica, andrebbero in qualche modo alleggerite per il settore spaziale. Come già accaduto in altri settori ad alto tasso tecnologico, quali l’industria energetica e il digitale, sarebbe il momento di cambiare strategia per tutelare i privati europei che si stanno inserendo in un mercato sempre più globalmente affollato, anche attraverso una normativa simile al Digital markets act.
6) Applicare i suggerimenti del Piano Draghi. Il settore spaziale europeo trarrebbe senz’altro vantaggio da regole di governance e investimento aggiornate e da un maggior coordinamento della spesa pubblica in un vero Mercato Unico per lo Spazio, come anche suggerito nel report sulla competitività europea, a firma dell’ex Presidente del Consiglio, Mario Draghi, al capitolo Spazio (capitolo 4 - Strengthening industrial capacity for defence and space), dove è dedicata un’ampia parte a dimostrazione del peso crescente dell’economia spaziale e soprattutto del ruolo che l’Europa può avere in questo settore.
7) Promozione degli investimenti e delle fonti di finanziamento per le aziende operanti nel settore spazio – fondo sovrano europeo, minibond e private equity. Lo Spazio deve diventare uno dei pilastri della strategia per rilanciare la competitività dell’Italia e dell’Europa. La promozione della competitività europea deve passare anche attraverso investimenti nel prossimo Quadro Finanziario Pluriennale, con più risorse e strumenti finanziari adattati alle esigenze delle imprese e un approccio di finanziamento che mobiliti risorse pubbliche e private, anche attraverso un Fondo sovrano europeo. Il Giappone ha ad esempio lanciato già nel 2023 un fondo strategico decennale da 6,7 miliardi di dollari per sostenere l’innovazione, l’autonomia e la competitività internazionale nel settore spaziale. La creazione del fondo è stata inserita all’interno del Piano spaziale nazionale per permettere alla Jaxa, l’Agenzia spaziale nazionale, di supportare al meglio il settore commerciale e accademico
Una delle soluzioni più promettenti per le pmi aerospaziali potrebbe essere poi l’emissione di minibond, particolarmente utili per finanziare progetti di ricerca e sviluppo, con scadenze brevi che vanno di pari passo all’avanzamento di progetti e commesse lunghe. Il private equity è infine un’altra fonte di finanziamento che potrebbe offrire significativi benefici alle Pmi del settore. Gli investitori di private equity forniscono infatti non solo capitale, ma anche competenze manageriali e supporto strategico.
Il futuro dell’industria aerospaziale italiana dipende, in sostanza, anche dalla capacità delle aziende di accedere al capitale ed utilizzare efficacemente una gamma diversificata di strumenti finanziari. Se negli ultimi anni si è dunque molto investito nel venture capital e nei programmi di accelerazione e incubazione per le star tup, ora potrebbe assumere sempre maggiore importanza il sostegno alle Pmi attraverso strumenti di private equity. Strumenti come i corporate bond, anche di piccole dimensioni, e i basket bond di filiera – regionali o multiregionali – potrebbero rappresentare opportunità concrete per ampliare le opzioni finanziarie disponibili per le pmi. Il punto, in definitiva, consiste nel permettere alle imprese di superare le proprie limitazioni dimensionali e accedere a capitali più consistenti (magari anche per mezzo di aggregazioni attraverso consorzi, o partnership strategiche con grandi aziende). Senza un sostegno strutturale alla filiera produttiva, le imprese rischiano di perdere la capacità di rispondere alle sfide del mercato globale.
L'Eurispes affronta anche la futura 'guerra' spaziale (in realtà già in corso) che si combatterà prima di tutto sul fronte economico, e le motivazioni sono chiare se si pensa che solo dall’estrazione mineraria sugli asteroidi la Nasa stima che si possano ricavare 700 quintilioni – miliardi di miliardi – di dollari. Investire nella space economy, in definitiva, rappresenta una scommessa win to win, dato che il ritorno degli investimenti in tale settore è pari ad almeno il doppio. Ma nonostante le grandi potenzialità, le aree di miglioramento e i ritardi europei nei confronti dei principali competitor internazionali sono ancora numerosi, laddove, ad esempio, nei soli investimenti privati il gap è stimato in 10 miliardi di euro per i prossimi 5 anni. Non c’è quindi tempo per perdersi nella mera 'contemplazione' dello spazio, è il momento di mantenere e implementare la nostra capacità.
Roma, 14 mar. (Adnkronos Salute) - Con un'esperienza "ultraventennale in reumatologia" con l'obiettivo di "migliorare gli standard di cura e migliorare i risultati clinici per i pazienti che soffrono di queste malattie", oggi "AbbVie è impegnata a sviluppare un possibile strumento ulteriore per rispondere alle esigenze dei pazienti che soffrono di lupus eritematoso sistemico. Il Les è una malattia autoimmune estremamente complessa, caratterizzata dalla produzione di autoanticorpi che possono colpire in maniera variegata ed eterogenea diversi organi e sistemi: il sistema polmonare, il muscolo-scheletrico, la cute e il sistema nervoso centrale. Chiaramente i sintomi variano a seconda del tipo di organo distretto coinvolto, ma ha un decorso cronico estremamente elevato e un'evoluzione estremamente imprevedibile". Lo ha detto Caterina Golotta, direttore medico AbbVie Italia, all'Adnkronos Salute, sottolineando che, "per rispondere ai bisogni insoddisfatti", la farmaceutica sta lavorando su un "inibitore di Jak, upadacitinib. Frutto dello sforzo in ricerca e sviluppo interno, è al momento in corso di sperimentazione clinica in questo contesto".
Si tratta di "un inibitore selettivo e reversibile della janus chinasi - spiega Golotta - ed è attualmente approvato e rimborsato in una serie di patologie immunologiche: l'artrite reumatoide, la spondilite anchilosante, l'artrite psoriasica, la colite ulcerosa e la dermatite atopica. Rimaniamo fiduciosi in attesa dei risultati della molecola nel programma di sviluppo del lupus eritematoso sistemico. Tra l'altro, l'upadacitinib è attualmente in studio anche in altre 2 patologie dell'ambito immunologico: la vitiligine e l'alopecia areata".
AbbVie, evidenzia il direttore medico, "è un'azienda fortemente votata alla ricerca e sviluppo. In Italia siamo presenti con 78 studi clinici che coinvolgono circa 400 centri sperimentali. A livello globale, l'impegno in ricerca nel 2024 è stato pari a circa 13 miliardi di dollari, che rappresenta un incremento del 66,66% rispetto all'impegno del 2023".
Marvin Vettori torna a combattere. Due anni dopo, il lottatore italiano torna a disputare un incontro di MMA domani, sabato 15 marzo, contro il georgiano Roman Dolidze all'Apex Center di Las Vegas. Vettori è stato assente dall'ottagono a causa di un grave infortunio alla spalla destra che ha interessato anche i muscoli del bicipite. Dopo un'operazione chirurgica e un lento processo di recupero e allenamento, è finalmente pronto.
Vettori ha già affrontato Dolidze nel 2023 in un match disputatosi a Londra e vinto, per verdetto unanime, proprio dall'italiano. "Pensavo che avrei combattuto contro Kopylov, invece è Dolidze", ha commentato Vettori, "ma era tanta la voglia di tornare che non mi interessava contro chi". L’ultima apparizione di Vettori sull’ottagono è stata sempre nel 2023, quando ha subito una dura sconfitta dall’allora numero 4 dei ranking Jared Cannonier.
Il match sarà molto importante per il proseguo della carriera di Vettori, che a 31 anni e dopo due fermo non può più permettersi pause. Al momento è ottavo nel ranking Ufc, posizione ottenuta due anni fa e mantenuta anche nel periodo di stop. L'incontro con Dolidze potrebbe rilanciare le speranze del trentino di guadagnarsi una sfida per il titolo pesi medi, oppure potrebbe affondarlo.
Il match tra Marvin Vettori e Roman Dolidze è in programma sabato 15 marzo alle 22 ora italiana. L'incontro sarà trasmesso in diretta televisiva sui canali Eurosport e sarà visibile anche in streaming sull'app SkyGo, sulla piattaforma Eurosport, su Discovery+ e Dazn.
Roma, 14 mar. (Adnkronos) - Accade che le richieste di connessione alla rete di progetti di impianti rinnovabili dopo 4-5 anni non vengono realizzati, creando una congestione virtuale della rete stessa e tenendo fuori nuovi entranti, magari più performanti. Si dovrà "capire la credibilità di 350 gigawatt di richieste di connessione", anche se sono stati "fatti passi avanti su trasparenza e visibilità". Lo afferma il presidente Arera, Stefano Besseghini, intervenendo alla presentazione del piano di sviluppo 2025 di Terna.
In questo contesto, spiega Besseghini, "tenere Terna costantemente agganciata a questi processi autorizzativi è il modo migliore perché il sistema evolva coerentemente nella capacità di programmazione e essere sempre proattivo" perchè ''qualunque disallineamento temporale tra capacità di programmazione e capacità di realizzazione diventa da qualche parte uno stranded cost che ci portiamo dietro''.
Roma, 14 mar. (Adnkronos) - Lo sviluppo delle infrastrutture, previsto dal piano 2025 di Terna ''costituisce un elemento fondamentale del nostro progetto''. La struttura della società ''sta accompagnando la trasformazione del nostro paese''. Lo afferma il ministro dell'Ambiente, Gilberto Pichetto, intervenendo alla presentazione del piano di Terna. Il sistema industriale sta vivendo ''un cambiamento di pelle'' verso l'elettrificazione che ''diventa cruciale per lo sviluppo nei prossimi anni e già attualmente'', sottolinea. Quanto è accaduto, le tensioni sui prezzi del gas, l'automatico ribaltamento sul prezzo dell'energia, ''ha messo anche alla prova quella che è la nostra capacità di dare sicurezza e, naturalmente, di lavorare su quello che è un obiettivo che dobbiamo avere di indipendenza e di governo di quelle che sono le tensioni anche sui prezzi''.
I 23 miliardi di investimenti, annunciati da Terna, "sono una cosa importante perché questa e' l'ossatura dell'energia nazionale, e se non abbiamo l'ossatura della rete non possiamo rispondere alla domanda di cittadini e imprese". "L'obiettivo è creare un mix di produzione che riesca a soddisfare la domanda di energia che sta crescendo in modo vertiginoso ed oggi ne abbiamo avuto la dimostrazione dai dati di Terna di quanto cresca la domanda ed automaticamente debbano crescere le rinnovabili in ottica di neutralità e decarbonizzazione", aggiunge Pichetto.
Roma, 14 mar. (Adnkronos) - Il piano di sviluppo 2025 è "il più importante mai realizzato da Terna nella sua storia ed è un piano che credo sottolinei tre elementi in questa mia veloce introduzione che voglio portare sul tavolo oggi". Lo afferma il presidente di Terna, Igor De Biasio, nel corso della presentazione del piano.
"E' un piano che migliora il Paese perché attraverso quegli investimenti riusciamo a essere abilitatori verso la transizione energetica, verso la decarbonizzazione, consentendo allacciamenti alle nuove forme di produzione green ma soprattutto anche unendo, connettendo e integrando i territori quindi aiutando tutte le comunità italiane verso lo sviluppo della transizione energetica", sottolinea il presidente.
Il piano, aggiunge De Biasio, ''porta con sé una serie di investimenti che aumenteranno la sicurezza, la resilienza, l'efficacia della rete che è un elemento competitivo nella trazione degli investimenti internazionali. Prima il video citava il caso dei data center, non è un caso che tantissimi investitori italiani e stranieri oggi puntino sull'Italia per la realizzazione di data center e non in Francia, non in Germania. E non più in Inghilterra. E grazie alla qualità della rete che oggi Terna gestisce e amministra e quindi è un fattore straordinario per la trazione e la competitività dell'Italia''.
Terzo elemento, prosegue il presidente, è che ''questo patrimonio di conoscenze e esperienze che Terna ha è un'opportunità nelle relazioni internazionali e nella costruzione di partnership con altri Paesi, essendo oggi l'energia un elemento qualificante e strategico proprio in ambito geopolitico''.