È dall’indomani sul voto per la Brexit che la Scozia pensa a rimanere in Ue e l’unico modo per farlo è separarsi dal Regno Unito. Sono mesi che Edimburgo ci prova e oggi, il giorno dopo l’incontro tra la premier Uk Theresa May e quella scozzese Nicola Sturgeon, il Parlamento della Scozia ha votato in maggioranza a favore della richiesta di un referendum bis sulla secessione da Londra. La prima consultazione, il 18 settembre 2014, aveva visto il 55% degli scozzesi convinti a rimanere nel Regno, ma da allora molte cose sono cambiate.
L’avvio dell’iter per il nuovo referendum era stato deciso due settimane fa. La proposta era stata presentata dalla first minister e leader indipendentista dell’Snp, Nicola Sturgeon. Il voto dovrebbe tenersi nell’autunno 2018 o nella primavera del 2019. In questo modo, il governo autonomo di Edimburgo ha il mandato di negoziare con Londra la convocazione della nuova consultazione. Sessantanove i voti favorevoli, 59 quelli contrari. “Il voto di oggi deve essere rispettato – ha detto Sturgeon – Il mandato per il referendum è fuori questione”. Per la first minister, sarebbe “insostenibile” l’opposizione di Londra alla volontà espressa democraticamente da Edimburgo. Sturgeon si prepara quindi a compiere il passo successivo, l’approccio formale nei confronti del governo britannico “nei prossimi giorni, dopo che l’articolo 50 è stato attivato”, per chiedere il nuovo referendum. Da Londra, naturalmente, arriva un no netto. Il governo britannico non negozierà sulla proposta perché “sarebbe ingiusto per gli scozzesi chiedere loro di prendere una decisione cruciale senza le necessarie informazioni sulla nostra futura relazione con l’Europa”. “Non apriremo i negoziati sulla proposta della Scozia” aggiunge May, tramite un suo portavoce. “Ora non è il momento giusto”.
Si apre quindi un fronte interno per Theresa May proprio il giorno prima dell’attivazione del’articolo 50 del Trattato di Lisbona, passo senza ritorno (forse) sulla strada del divorzio dall’Unione Europea. La signora di Downing Street ieri aveva tentato di serrare le file in seno al regno di Sua Maestà, a due giorni da quel momento fatale e in vista di un biennio di negoziati con l’Ue che s’annunciano problematici, carichi d’insidie e incognite. Per farlo aveva iniziato appunto dalla sfida più difficile, quella del territorio del nord, dove la maggioranza è anti-Brexit. “Insieme siamo una forza inarrestabile”, l’appello che la premier britannica ha provato a lanciare prima di vedere riservatamente Sturgeon a Glasgow. Ma è evidente che l’incontro non ha ottenuto i risultati sperati.
“Non è ora il tempo” di una nuova consultazione sul futuro della Scozia, aveva insistito lady Theresa, non è il tempo di un regno “indebolito o diviso”. Al contrario, ha affermato, la Brexit può essere un’occasione per “rafforzare l’unione fra le nazioni” britanniche (l’Inghilterra e la Scozia, ma pure il Galles e quell’Irlanda del Nord alle prese in questi giorni con nuove tensioni fra repubblicani anti-brexiter e unionisti allineati). Il governo britannico sa che l’uscita dall’Europa, al di là dell’ottimismo ufficiale e di qualche allarmismo di troppo per ora smentito sui dati macroeconomici del Paese, resta una scommessa: come testimoniano i dubbi del Financial Times e di altri sull’adeguamento di leggi e normative chiave per gli interessi di business della City o sul trasferimento di competenze ora europee a regolatori e future autorità nazionali tutte da reinventare. E più ancora come dimostrano gli stress test con scenari ipotetici catastrofici per l’economia british che la Bank of England s’appresta a imporre. Ma sa anche che la secessione rischia di essere un azzardo, più che una soluzione, per la Scozia. Gradito tuttora, a credere ai sondaggi, da un 46% di scozzesi: una minoranza, per quanto robusta.