Ha un’odore stantio di una vecchia cantina quel mondo che Massimo Carminati ricrea attorno a sé. Sembra di rivedere i volti dei “pischelli” della banda della Magliana (“Bravi ragazzi alcuni, presidente, e lei lo sa che io non sono una mammola”) e i titoli dei giornali con le foto dei morti rimasti sull’asfalto, in una Roma dei misteri, dove si incrociavano servizi segreti, pezzi di cosa nostra, batterie di rapinatori e fascisti dal grilletto facile. Ed è forse il rosso acceso del sangue l’unico assente dal racconto autocelebrativo del “cecato”, alias “samurai”, alias “il pirata”. O il “nero”. Un mondo un po’ fantastico, fatto di onore ed omertà (“io non parlo di chi non è nel processo”), dove le vittime non devono avere spazio. Il primo giorno del suo interrogatorio ha richiamato quel manipolo di “200 persone”, la “comunità degli anni ’70”, come il suo mondo.
Ed eccoli i reduci, oggi in aula, testa rasata e tatuaggi, faccia dura e tanti ricordi. Quando Carminati inizia a ripercorrere il passato criminale nell’edificio bunker di Rebibbia Maurizio Boccacci, classe ’57, ascolta in silenzio, assorto. E’ accanto al fratello di Carminati, insieme a qualche altro camerata. Niente bar nella pausa. Nessun contatto con avvocati o giornalisti. Uno come lui rappresenta quel mondo che ancora oggi si richiama al fascismo, che corse al funerale di Eric Priebke per rendere omaggio al boia delle Fosse ardeatine, che ogni gennaio si schiera in via Acca Larentia per commemorare gli studenti di destra morti, che si nasconde dietro le sigle di Militia, il gruppo antisemita e neonazista al centro di indagini recenti della Procura di Roma. E che oggi viene in aula, perché parla il samurai.
La guerra non è finita – Apparivano come rivolte più a loro che al processo le parole pronunciate da Massimo Carminati all’inizio della seconda udienza, rispondendo all’avvocato Ippolita Naso: “A quanto pare la guerra con il mondo non è finita, a me non mi fa paura nulla, a me mi fanno ridere”. Il suo legale gli aveva chiesto di commentare una intercettazione con l’imprenditore Cristiano Guarnera, dove ripercorreva la sua storia criminale. E per ribadire ancora una volta quella sua immagine – tutta estetica e criminale – di guerriero, di vero Samurai, ha proseguito ricordando la sparatoria che gli fece perdere l’occhio sinistro: “Ma chi se ne frega che questo dato continua ad essere riproposto… Sì, il 21 aprile 1981 sono stato ferito, in un appostamento della Digos, stavano dentro un camion, hanno trovato 145 colpi poi nell’automobile, mi hanno colpito in faccia. Ci hanno sparato e basta, ma erano altri tempi, io ho dato legittimità a questo fatto, per me è una ferita di guerra, in quel momento era giusto che ci sparassero, la procura sa che è così, non mi interessa neanche spiegarlo”. Ed ecco che nell’aula bunker di Rebibbia – dove sono passati pezzi di neofascismo e della banda della Magliana – ritornano quelle tinte grige, plumbee degli anni ’70.
Le parole di Carminati suonano quasi come un richiamo. Un segnale, un assist politico. Difficile interpretare il gesto, ma di certo quella “comunità” è ancora oggi attiva. Nelle informative gli investigatori del Ros avevano ricostruito nei dettagli – durante le indagini – gli incontri tra Massimo Carminati e Maurizio Boccacci: il 24 gennaio 2012 l’esponente di Militia era stato scarcerato e solo quattro giorni dopo le microspie registrano l’incontro tra i due. Boccacci, annotano i carabinieri, ”discuteva del panorama politico italiano del momento”. Una conoscenza ed un rapporto che, però, lo stesso Carminati cercava di occultare, secondo gli investigatori: “In tale circostanza – scrivono i carabinieri del Ros – assumeva particolare interesse la volontà espressa dal Carminati di evitare controlli di Polizia che avrebbero lasciato traccia dell’incontro con l’interlocutore”. Un dettaglio che racconta l’importanza che il “nero” dava al quel rapporto.
Le ultime parole di Carminati – Le ore dell’interrogatorio scorrono poi con una certa stanchezza, tra puntualizzazioni, ricostruzioni contrapposte a quelle dell’accusa e un attacco ai carabinieri del Ros. La storia riguarda quella che per la Procura era una intimidazione, una vera e propria minaccia, nei confronti di Luigi Seccaroni, un concessionario romano in stretti rapporti con Carminati. “Ci sono voluti due mesi ma alla fine con l’avvocato abbiamo ricostruito quello che è accaduto”, spiega nel corso dell’interrogatorio. “Io non ho incontrato quel giorno Seccaroni, i dati del gps messo sulla mia automobile lo dimostrano”. E’ l’occasione per partire a testa bassa contro gli investigatori.
Riemerge, per qualche minuto, il Samurai, il bandito che non perdona “le guardie”: “Io penso che in questo atto c’è una azione dolosa, non da parte della Procura. Io posso fare il bandito, posso fare qualsiasi reato, ma voi, come Ros, non lo potete fare, mi è stata fatta una porcheria, hanno omesso le prove, io non ho mai minacciato Seccaroni in questa cosa non c’è niente che va bene”. Nel controesame il pm Luca Tescaroli gli contesta una telefonata fatta con Riccardo Brugia, proprio quel giorno, dove lui usa parole pesantissime nei confronti del concessionario: “Nano putrefatto, capito? Io ti piscio addosso, capito? Mo’ vai a denunciarmi ai carabinieri, non me ne frega niente…”, erano le parole di Carminati su Seccaroni intercettate quel giorno. Ma questa era l’occasione che il “cecato” aspettava, colpire il Ros, il suo nemico giurato con accuse pesanti di indagini manipolate; ancora una volta può mostrare alla Roma che voleva dominare di che pasta è fatto.
Il controesame, che dura meno di un’ora, lo vede con un atteggiamento molto diverso rispetto a quello mostrato fino al momento. Quando il pm Tescaroli gli chiede delle armi, la prima risposta vorrebbe quasi essere ironica: “Negli anni ’70 facevo il rapinatore, può essere che con qualche arma ho avuto a che fare, dottore”. E quando la Procura gli contesta un’intercettazione dove parlava con Brugia di armi durante le indagini di Mafia capitale, la risposta è secca: “Stavamo parlando di qualche film. Abbiamo parlato di armi, a me piacciono le armi”. E aggiunge: “Non mi risulta che siano state trovate… sì, non sono state trovate, non sono state usate… parlavamo di film visti la sera prima”.
Sfugge anche alle domande sui suoi rapporti con altri pezzi del mondo criminale romano: “Diottallevi? Era passato solo per un saluto, ci siamo presi solo un caffè”. Rivendica solo l’amicizia con Michele Senese, il boss inserito nel famoso articolo de L’Espresso sui quattro Re di Roma: “Michele era uscito dal carcere, ero felicissimo, ci siamo salutati e abbiamo parlato del più del meno, io con lui non ho avuto processi o indagini insieme; io sono contento anche quando evade qualcuno, si figuri se non sono felice quando qualcuno esce dalla galera”.
Nessuna disputa, nessuna discussione per spartizioni che, dice, “non esistono”, “nessun motivo di contendere”. E di droga non ne vuole poi proprio sentire parlare, storie “inventate dalla stampa”, spiega, che lo fanno infuriare. “Io denuncerò tutti – aggiunge poi promettendo una guerra di carte bollate – quando sarà finito il processo; gli unici che rispetto sono Il Fatto Quotidiano e Report. Mi attaccano, ma attaccano tutti e non hanno padroni”.
Sono probabilmente le ultime parole in pubblico di Massimo Carminati, che rischia la pena più dura della sua lunghissima carriera criminale. Non aveva mai risposto in aula, salvo qualche breve intervento, molto spesso per controbattere ad inchieste giornalistiche. Prima dell’estate arriverà la sentenza, che chiuderà la prima parte di una lunghissima battaglia giudiziaria. Il “nero”, l’uomo a cavallo tra l’eversione di destra e il mondo del crimine della banda della Magliana, ripiomberà nel silenzio. Con l’accusa peggiore, che tra poco verrà valutata dai giudici: quel suo mondo altro non è se non Mafia capitale.
Giustizia & Impunità
Mafia Capitale, Boccacci e i camerati in aula: Carminati parla e torna il clima di piombo anni ’70: “Io ancora in guerra”
Platea di reduci nell'aula bunker di Rebibbia: testa rasata e tatuaggi, faccia dura e tanti ricordi. Tra loro anche l'esponente di "Militia". Il "cecato" ricorda la sparatoria che gli fece perdere l’occhio sinistro: "Era il 21 aprile 1981, in quel momento era giusto che ci sparassero". Poi l'accusa ai carabinieri: "Mai minacciato Seccaroni, mi è stata fatta una porcheria, hanno omesso le prove"
Ha un’odore stantio di una vecchia cantina quel mondo che Massimo Carminati ricrea attorno a sé. Sembra di rivedere i volti dei “pischelli” della banda della Magliana (“Bravi ragazzi alcuni, presidente, e lei lo sa che io non sono una mammola”) e i titoli dei giornali con le foto dei morti rimasti sull’asfalto, in una Roma dei misteri, dove si incrociavano servizi segreti, pezzi di cosa nostra, batterie di rapinatori e fascisti dal grilletto facile. Ed è forse il rosso acceso del sangue l’unico assente dal racconto autocelebrativo del “cecato”, alias “samurai”, alias “il pirata”. O il “nero”. Un mondo un po’ fantastico, fatto di onore ed omertà (“io non parlo di chi non è nel processo”), dove le vittime non devono avere spazio. Il primo giorno del suo interrogatorio ha richiamato quel manipolo di “200 persone”, la “comunità degli anni ’70”, come il suo mondo.
Ed eccoli i reduci, oggi in aula, testa rasata e tatuaggi, faccia dura e tanti ricordi. Quando Carminati inizia a ripercorrere il passato criminale nell’edificio bunker di Rebibbia Maurizio Boccacci, classe ’57, ascolta in silenzio, assorto. E’ accanto al fratello di Carminati, insieme a qualche altro camerata. Niente bar nella pausa. Nessun contatto con avvocati o giornalisti. Uno come lui rappresenta quel mondo che ancora oggi si richiama al fascismo, che corse al funerale di Eric Priebke per rendere omaggio al boia delle Fosse ardeatine, che ogni gennaio si schiera in via Acca Larentia per commemorare gli studenti di destra morti, che si nasconde dietro le sigle di Militia, il gruppo antisemita e neonazista al centro di indagini recenti della Procura di Roma. E che oggi viene in aula, perché parla il samurai.
La guerra non è finita – Apparivano come rivolte più a loro che al processo le parole pronunciate da Massimo Carminati all’inizio della seconda udienza, rispondendo all’avvocato Ippolita Naso: “A quanto pare la guerra con il mondo non è finita, a me non mi fa paura nulla, a me mi fanno ridere”. Il suo legale gli aveva chiesto di commentare una intercettazione con l’imprenditore Cristiano Guarnera, dove ripercorreva la sua storia criminale. E per ribadire ancora una volta quella sua immagine – tutta estetica e criminale – di guerriero, di vero Samurai, ha proseguito ricordando la sparatoria che gli fece perdere l’occhio sinistro: “Ma chi se ne frega che questo dato continua ad essere riproposto… Sì, il 21 aprile 1981 sono stato ferito, in un appostamento della Digos, stavano dentro un camion, hanno trovato 145 colpi poi nell’automobile, mi hanno colpito in faccia. Ci hanno sparato e basta, ma erano altri tempi, io ho dato legittimità a questo fatto, per me è una ferita di guerra, in quel momento era giusto che ci sparassero, la procura sa che è così, non mi interessa neanche spiegarlo”. Ed ecco che nell’aula bunker di Rebibbia – dove sono passati pezzi di neofascismo e della banda della Magliana – ritornano quelle tinte grige, plumbee degli anni ’70.
Le parole di Carminati suonano quasi come un richiamo. Un segnale, un assist politico. Difficile interpretare il gesto, ma di certo quella “comunità” è ancora oggi attiva. Nelle informative gli investigatori del Ros avevano ricostruito nei dettagli – durante le indagini – gli incontri tra Massimo Carminati e Maurizio Boccacci: il 24 gennaio 2012 l’esponente di Militia era stato scarcerato e solo quattro giorni dopo le microspie registrano l’incontro tra i due. Boccacci, annotano i carabinieri, ”discuteva del panorama politico italiano del momento”. Una conoscenza ed un rapporto che, però, lo stesso Carminati cercava di occultare, secondo gli investigatori: “In tale circostanza – scrivono i carabinieri del Ros – assumeva particolare interesse la volontà espressa dal Carminati di evitare controlli di Polizia che avrebbero lasciato traccia dell’incontro con l’interlocutore”. Un dettaglio che racconta l’importanza che il “nero” dava al quel rapporto.
Le ultime parole di Carminati – Le ore dell’interrogatorio scorrono poi con una certa stanchezza, tra puntualizzazioni, ricostruzioni contrapposte a quelle dell’accusa e un attacco ai carabinieri del Ros. La storia riguarda quella che per la Procura era una intimidazione, una vera e propria minaccia, nei confronti di Luigi Seccaroni, un concessionario romano in stretti rapporti con Carminati. “Ci sono voluti due mesi ma alla fine con l’avvocato abbiamo ricostruito quello che è accaduto”, spiega nel corso dell’interrogatorio. “Io non ho incontrato quel giorno Seccaroni, i dati del gps messo sulla mia automobile lo dimostrano”. E’ l’occasione per partire a testa bassa contro gli investigatori.
Riemerge, per qualche minuto, il Samurai, il bandito che non perdona “le guardie”: “Io penso che in questo atto c’è una azione dolosa, non da parte della Procura. Io posso fare il bandito, posso fare qualsiasi reato, ma voi, come Ros, non lo potete fare, mi è stata fatta una porcheria, hanno omesso le prove, io non ho mai minacciato Seccaroni in questa cosa non c’è niente che va bene”. Nel controesame il pm Luca Tescaroli gli contesta una telefonata fatta con Riccardo Brugia, proprio quel giorno, dove lui usa parole pesantissime nei confronti del concessionario: “Nano putrefatto, capito? Io ti piscio addosso, capito? Mo’ vai a denunciarmi ai carabinieri, non me ne frega niente…”, erano le parole di Carminati su Seccaroni intercettate quel giorno. Ma questa era l’occasione che il “cecato” aspettava, colpire il Ros, il suo nemico giurato con accuse pesanti di indagini manipolate; ancora una volta può mostrare alla Roma che voleva dominare di che pasta è fatto.
Il controesame, che dura meno di un’ora, lo vede con un atteggiamento molto diverso rispetto a quello mostrato fino al momento. Quando il pm Tescaroli gli chiede delle armi, la prima risposta vorrebbe quasi essere ironica: “Negli anni ’70 facevo il rapinatore, può essere che con qualche arma ho avuto a che fare, dottore”. E quando la Procura gli contesta un’intercettazione dove parlava con Brugia di armi durante le indagini di Mafia capitale, la risposta è secca: “Stavamo parlando di qualche film. Abbiamo parlato di armi, a me piacciono le armi”. E aggiunge: “Non mi risulta che siano state trovate… sì, non sono state trovate, non sono state usate… parlavamo di film visti la sera prima”.
Sfugge anche alle domande sui suoi rapporti con altri pezzi del mondo criminale romano: “Diottallevi? Era passato solo per un saluto, ci siamo presi solo un caffè”. Rivendica solo l’amicizia con Michele Senese, il boss inserito nel famoso articolo de L’Espresso sui quattro Re di Roma: “Michele era uscito dal carcere, ero felicissimo, ci siamo salutati e abbiamo parlato del più del meno, io con lui non ho avuto processi o indagini insieme; io sono contento anche quando evade qualcuno, si figuri se non sono felice quando qualcuno esce dalla galera”.
Nessuna disputa, nessuna discussione per spartizioni che, dice, “non esistono”, “nessun motivo di contendere”. E di droga non ne vuole poi proprio sentire parlare, storie “inventate dalla stampa”, spiega, che lo fanno infuriare. “Io denuncerò tutti – aggiunge poi promettendo una guerra di carte bollate – quando sarà finito il processo; gli unici che rispetto sono Il Fatto Quotidiano e Report. Mi attaccano, ma attaccano tutti e non hanno padroni”.
Sono probabilmente le ultime parole in pubblico di Massimo Carminati, che rischia la pena più dura della sua lunghissima carriera criminale. Non aveva mai risposto in aula, salvo qualche breve intervento, molto spesso per controbattere ad inchieste giornalistiche. Prima dell’estate arriverà la sentenza, che chiuderà la prima parte di una lunghissima battaglia giudiziaria. Il “nero”, l’uomo a cavallo tra l’eversione di destra e il mondo del crimine della banda della Magliana, ripiomberà nel silenzio. Con l’accusa peggiore, che tra poco verrà valutata dai giudici: quel suo mondo altro non è se non Mafia capitale.
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Roma, 14 mar. (Adnkronos Salute) - Le scelte nello stile di vita possono avere un impatto significativo anche nella gestione della fibrillazione atriale, un disturbo del ritmo cardiaco che rischia di sviluppare 1 over 40 su 4 e che rappresenta una delle principali cause di ictus che colpisce milioni di donne e uomini in tutta Europa. Alcuni alimenti come alcol, caffeina o cibi piccanti possono scatenare un episodio di questa condizione cronica che spesso può passare inosservata: molti non ne sono consapevoli e non ricevono una diagnosi. Per aiutare le persone a comprendere meglio il legame tra alimentazione e fibrillazione atriale - riporta una nota - Daiichi Sankyo Europe ha ospitato a Milano oggi 'Beats and Bites', che gioca sul suono dei termini inglesi 'battiti e morsi'. All'evento, esperti di malattie cardiovascolari insieme alla European Nutrition for Health Alliance e Alice (Associazione per la lotta all'ictus cerebrale) Lombardia hanno affrontato le preoccupazioni comuni ed evidenziato le strategie di riduzione del rischio con la partecipazione dello chef italiano Ruben Bondì, che ha creato un menù di ricette semplici, gustose e salutari per il cuore.
"Gli operatori sanitari oggi devono fornire ai pazienti le giuste informazioni per comprendere il loro rischio di fibrillazione atriale e adottare misure proattive di prevenzione - spiega Daniele Andreini, direttore della Divisione di Cardiologia universitaria e Imaging cardiaco dell'Irccs ospedale Galeazzi Sant'Ambrogio di Milano - I cambiamenti nello stile di vita, come il movimento regolare e l'alimentazione equilibrata, svolgono un ruolo cruciale nel migliorare la salute del cuore". Tra le strategie alimentari da adottare, gli esperti consigliano: consumare 2 porzioni di pesce ricco di omega-3 alla settimana per gli adulti e ridurre il sale a meno di 5 g al giorno; fare attenzione alle dimensioni delle porzioni e gestire i livelli di stress e di sonno, che potrebbero portare all'obesità e complicare i problemi cardiovascolari se non gestiti correttamente. Infine, fare circa 2 ore di esercizio fisico di intensità moderata alla settimana - passeggiare, fare le scale o ballare - oltre ad un allenamento di resistenza, 2 giorni alla settimana.
"Eventi come 'Beats and Bites' forniscono un utile supporto, offrendo consigli pratici e mostrando l'impatto che semplici cambiamenti nella dieta e nel movimento possono avere nel ridurre il rischio di fibrillazione atriale - rimarca Giacomo Falzi, vicepresidente Alice Lombardia - E' incoraggiante vedere al centro dell'attenzione il benessere dei pazienti, con esperti e sostenitori che si uniscono per dare a individui e famiglie la possibilità di assumere il controllo della propria salute cardiovascolare".
Le lacune nella conoscenza e nella gestione della fibrillazione atriale lasciano molti pazienti senza le informazioni e il supporto di cui hanno bisogno. "Daiichi Sankyo Europa aspira ad arricchire la qualità della vita delle persone in tutto il mondo - afferma Ilaria Leggeri, direttore del Patient Engagement della farmaceutica - Per questo è necessario andare oltre la malattia, guardare alle persone che convivono con la patologia, alla loro qualità della vita, alle loro scelte di vita e ai risultati che contano per loro". L'evento 'Beats and Bites' fa parte della più ampia iniziativa dell'azienda 'Il tuo cuore, nelle tue mani: fibrillazione atriale', dedicata all'educazione e alla responsabilizzazione delle persone, affinché diano priorità alla loro salute cardiovascolare.
Roma, 14 mar. (Adnkronos) - In occasione della Giornata dell'Unità nazionale e del Tricolore, che ricorre lunedì prossimo, 17 marzo, sulla facciata di Montecitorio verrà proiettata la bandiera nazionale, dalla mezzanotte e nelle successive ore serali e notturne.
Roma, 14 mar. (Adnkronos) - "Per il loro concreto e costante sostegno nel percorso di avvicinamento delle comunità di Gorizia e Nova Gorica soprattutto nel contesto di Go 2025", il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e quello emerito della Slovenia, Borut Pahor, verranno insigniti domani, con una cerimonia in programma alle 11.30 al Teatro comunale Giuseppe Verdi, del Premio 'Santi Ilario e Taziano-Città di Gorizia'. Un nuovo riconoscimento per i due statisti ai quali nell'aprile scorso fu attribuita la laurea honoris causa in Giurisprudenza dall'Università di Trieste, a conferma di un impegno comune per rimarginare le ferite della storia e mantenere vivi un'amicizia e un legame tra due i popoli, saldando un rapporto anche sul piano personale.
Numerose le occasioni di incontro e i gesti simbolici. A partire dal 26 ottobre 2016, quando i due presidenti parteciparono alla cerimonia sul tema "L'Europa luogo di superamento dei conflitti", nel centenario dell'unione di Gorizia all'Italia. Fu quella l'occasione per la deposizione di due corone d'alloro sul monumento dedicato ai soldati sloveni caduti sul fronte dell'Isonzo 1915-1917 a Doberdò del Lago, mentre in precedenza il Capo dello Stato italiano, al Parco della Rimembranza di Gorizia, aveva reso omaggio al monumento ai caduti della Prima guerra mondiale e al lapidario che ricorda i deportati goriziani.
Ma fu soprattutto il bilaterale a Trieste il 13 luglio 2020 particolarmente denso di significati. Mattarella e Pahor resero omaggio, mano nella mano, alla Foiba di Basovizza e al Monumento ai caduti sloveni antifascisti Ferdo Bidovec, Fran Marusic, Zvonimir Milos e Alojzij Valencic, condannati a morte nel 1930. Quindi i due presidenti conferirono a Boris Pahor, scrittore sloveno naturalizzato italiano, rispettivamente l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana e l’Ordine per Meriti eccezionali. Fu quindi firmato il protocollo di restituzione del Narodni Dom, l'edificio che ospitava le associazioni culturali slovene distrutto dalla violenza nazionalista dello squadrismo fascista nel 1920.
"La storia –disse Mattarella in quella occasione- non si cancella e le esperienze dolorose, sofferte dalle popolazioni di queste terre, non si dimenticano. Proprio per questa ragione il tempo presente e l’avvenire chiamano al senso di responsabilità, a compiere una scelta tra fare di quelle sofferenze patite, da una parte e dall’altra, l’unico oggetto dei nostri pensieri, coltivando risentimento e rancore, oppure, al contrario, farne patrimonio comune, nel ricordo e nel rispetto, sviluppando collaborazione, amicizia, condivisione del futuro".
"Al di qua e al di là della frontiera -il cui significato di separazione è ormai, per fortuna, superato per effetto della comune scelta di integrazione nell’Unione europea -sloveni e italiani sono decisamente per la seconda strada, rivolta al futuro, in nome dei valori oggi comuni: libertà, democrazia, pace. Oggi, qui a Trieste -con la presenza dell’amico presidente Borut Pahor- segniamo una tappa importante nel dialogo tra le culture che contrassegnano queste aree di confine e che rendono queste aree di confine preziose per la vita dell’Europa". Concetti ribaditi nell’incontro del 21 ottobre 2021, per celebrare la designazione congiunta di Gorizia e Nova Gorica 'Capitale europea della Cultura 2025 con il progetto 'Go! Borderless'. “Un meraviglioso esempio della costruzione di un futuro comune nell’Unione europea".
L'avvicendamento alla guida della Slovenia, con l'elezione della presidente Nataša Pirc Musar, ha visto proseguire le iniziative di collaborazione e dialogo tra i vertici istituzionali dei due Paesi. Mattarella nell'aprile dello scorso anno partecipò alle celebrazioni per il ventennale dell'adesione della Slovenia all'Ue e con l'omologa Pirc Musar ha inaugurato a febbraio di quest'anno Go 2025, Prima Capitale europea della cultura transfrontaliera.
Roma, 14 mar. (Adnkronos Salute) - Il lupus eritematoso sistemico (Les) è una malattia autoimmune che può colpire vari organi e apparati del nostro organismo. Da qui la difficoltà nella diagnosi e nel trattamento. "Negli ultimi 10 anni, per la malattia, è cambiato il paradigma terapeutico" ed è possibile "raggiungere la remissione, spegnere una delle sue complicanze, quale la nefrite lupica, e ridurre al minimo", fino "anche a sospendere, il cortisone". Protagonisti di questa rivoluzione sono, "in particolare, i Jak inibitori, famiglia di nuovi farmaci già disponibili in Italia da dicembre 2017 per l'artrite reumatoide". Così Fabrizio Conti, professore di Reumatologia Università Sapienza e direttore della Uoc di Reumatologia del Policlinico Umberto I di Roma, riassume all'Adnkronos Salute l'evoluzione nella gestione di questa patologia cronica che è caratterizzata da manifestazioni eritematose cutanee e mucose con sensibilità alla luce del sole, ma che può coinvolgere altri organi come rene, articolazioni e sistema nervoso centrale.
"Il Les si presenta in modo variabile da persona a persona", sottolinea Rosa Pelissero, presidente Gruppo Les Odv, ma colpisce "soprattutto donne giovani in età fertile". Il rapporto di incidenza tra femmine e maschi è di 9 a 1. "Dopo la diagnosi ci si trova da un giorno all'altro malati di una malattia cronica. Si deve imparare a convivere con una nuova normalità. La ricerca è importante: 40-50 anni fa l'obiettivo era la sopravvivenza. C'era solo il cortisone ad alti dosaggi", come cura. "L'avvento di nuovi farmaci - chiarisce - apre alla possibilità di sospenderlo e quindi anche di ridurre gli effetti collaterali e i danni" del farmaco. "La gravidanza", allora, era "assolutamente" inimmaginabile. "Oggi invece, grazie ai progressi fatti, le donne affette da lupus sanno di poter affrontare un gravidanza. La nostra aspettativa è sempre di avere nuovi farmaci, il più efficaci possibili, con meno effetti collaterali e che possano essere somministrati su larga scala".
Il decorso della patologia, spesso, "è di tipo relapsing-remitting in cui, a fasi di attività di malattia, si alternano fasi di quiescenza - spiega Gian Domenico Sebastiani, direttore Uoc di Reumatologia dell'Azienda ospedaliera San Camillo-Forlanini di Roma - I Jak inibitori, piccole molecole sintetizzate chimicamente, assunte per via orale, inibiscono l'attività di diverse citochine, che sono molecole pro infiammatorie. I Jak inibitori differiscono dai farmaci usati fino ad oggi perché - precisa - vanno a colpire meccanismi mirati della patologia", ma anche perché, essendo orali, hanno più "facilità di somministrazione", cosa importante per "l'aderenza" al trattamento. Inoltre, "per la rapidità di azione", se devono essere sospesi "smettono velocemente di agire".
Questa "nuova classe di immunomodulatori per via orale bloccano uno specifico enzima", janus chinasi, "che attiva diversi recettori cellulari - rimarca Gianluca Moroncini, professore di Medicina interna, direttore Dipartimento Scienze cliniche e molecolari, Università Politecnica delle Marche e direttore Clinica medica, Aou delle Marche - Pur riconoscendo un bersaglio molecolare specifico, in realtà, sono antinfiammatori modulatori ad ampio spettro. Il mio centro è impegnato in un trial clinico multicentrico per verificare se abbiano, nel Lupus eritematoso sistemico, un'efficacia pari a quella che hanno già dimostrato in altre malattie per le quali sono autorizzate, come l'artrite reumatoide o l'artrite psoriasica. Attendiamo con ansia l'esito delle sperimentazioni".
Roma, 14 mar (Adnkronos) - "Ho apprezzato molto la posizione di Elly Schlein quando ha detto no al piano di riarmo. Una buona premessa per impostare un progetto di alternativa a questo governo". Lo ha detto Giuseppe Conte alla Stampa estera.
"Se ci dobbiamo ritrovare con una alternativa che segue la Meloni e sottoscrive la politica estera disastrosa della Meloni è un disastro, che alternativa puoi presentare agli italiani se ti trovi a votare con la Meloni per l'escalation militare? Per non parlare di Gaza", ha spiegato il leader del M5s.
Roma, 14 mar (Adnkronos) - "Il problema è che il Pd ha dimostrato di essere un partito troppo plurale, lo dico con una battuta. Ci sono dei momenti di sintesi e quando il tuo leader prende una posizione così chiara, qualche chiarimento adesso andrebbe operato. Ma il problema non riguarda me ma un'altra forza politica". Lo ha detto Giuseppe Conte alla Stampa estera.
Roma, 14 mag (Adnkronos) - "Oggi scopriamo che ci sono i proprietari delle reti che vogliono dettare le condizioni, vogliono utilizzare gli algoritmi per condizionare il dibattito, usare gli algoritmi per condizionare le elezioni. Ci dobbiamo svegliare". Lo ha detto Giuseppe Conte alla Stampa estera.
"Il problema vero è che sono monopolisti, come Starlink per i satelliti a bassa quota. Che garanzia di sicurezza abbiamo che domani, come per l'Ucraina, Musk non si svegli e dica chiudo l'interruttore? L'Europa è l'unico contesto sovranazionale che cerca di dettare regole su questo fronte. E' un problema serio da affrontare", ha spiegato il leader del M5s.