di Flaminio de Castelmur per @SpazioEconomia
L’istituzione delle Regioni a Statuto Speciale nell’immediato dopoguerra, avvenne per la prevalenza di preoccupazioni politiche: l’Alto Adige e la Sicilia sull’orlo della secessione, la Valle d’Aosta per metà francese, la Sardegna invocava l’autonomia per uscire da una miseria secolare, mentre il Friuli Venezia Giulia (diventata speciale solo nel 1963) era più di là della cortina di ferro jugoslava che di qua. Ma dopo quasi settanta anni, il mondo è molto cambiato. E l’esistenza di Enti così regolati non ha più alcun senso sul piano politico, e ancora meno sul piano economico.
Le Regioni a statuto speciale sono cinque:
– Sicilia, prima a nascere con legge costituzionale n.2 del 1948;
– Sardegna,mediante legge costituzionale n.3 del 1948;
– Valle d’Aosta, mediante legge costituzionale n.4 1948;
– Trentino-Alto Adige, legge cost. n.5 del 1948. Essa è costituita a sua volta dalle Province autonome di Trento e Bolzano, ai sensi dell’articolo 116 della Costituzione e dello stesso statuto speciale;
– Friuli-Venezia Giulia, legge cost. n.1 del 1963.
La differenza con quelle a statuto ordinario, detto invece statuto di diritto comune, è che mentre il secondo è adottato e modificato con legge regionale, lo statuto speciale è adottato con legge costituzionale, così come ogni sua modifica.
Le regioni a statuto speciale godono di autonomia legislativa, detta anche potestà, che può essere di tre tipi:
– la potestà esclusiva, che è la più caratteristica;
– la potestà legislativa concorrente, che incontra gli stessi limiti delle Regioni ordinarie, ma si differenzia da esse per le materie elencate;
– potestà integrativa e attuativa, grazie alla quale le Regioni a statuto speciale possono creare norme su determinate materie, al fine di adeguare la legislazione statale alle esigenze regionali. Riservando le materie residuali allo Stato.
Le Regioni a statuto speciale, rispetto alle ordinarie, hanno un importante privilegio fiscale per cui possono trattenere quasi tutte le imposte (Irpef e Iva) pagate dai cittadini sul loro territorio. Privilegio non eguale per tutte: la Sicilia trattiene il totale delle imposte, Valle d’Aosta e Trentino i nove decimi, la Sardegna i sette decimi, il Friuli i sei decimi. Quanto faccia in cifre è impressionante. Per la sola Sicilia, l’Irpef vale più di 5 miliardi, mentre per la Sardegna è pari a 2,8 miliardi. Ma il totale delle loro entrate è più alto: 42 miliardi di euro, contro i 125 miliardi delle 15 Regioni ordinarie messe insieme.
Le entrate pro-capite, ovvero il denaro dei contribuenti che finisce nelle tasche degli abitanti delle Regioni speciali, sono anch’esse variabili in base al numero dei loro abitanti: si va dai 10.500 euro della Valle d’Aosta ai 3.730 della Sicilia. Somme irraggiungibili per le Regioni ordinarie, dove l’entrata regionale pro-capite è in media di 2.500 euro.
Quanto alle spese, le Regioni a statuto speciale hanno una grande libertà di azione. Così la Valle d’Aosta ha una spesa pro-capite (11.720 euro) che supera di oltre quattro volte quella di una Regione ordinaria come la Lombardia (2.220 euro); quella di Trento e Bolzano è superiore di tre volte a quella lombarda, mentre in Sardegna e in Friuli è il doppio. Quanto ai risultati, si va da un estremo all’altro: in Trentino e in Valle d’Aosta i soldi della Regione alimentano un welfare di tipo svedese, mentre in Sicilia servono a mantenere un carrozzone ormai fallito.
La sostanza dei dati ci dice che nessuna delle cinque Regioni è in attivo. Sebbene possano trattenere gran parte delle imposte raccolte e godano di una spiccata autonomia legislativa, sono tutte in rosso. Ma con differenze sostanziali. Al primo gruppo appartengono Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Aldo Adige con un deficit pro capite attorno ai 2mila euro; le altre sfondano quota 4mila con il primato negativo della Valle d’Aosta che sfiora i 5mila euro. Eppure considerando le cifre assolute il quadro cambia ancora. Il deficit della Valle D’Aosta risulta di appena 617 milioni di euro, quello della Sicilia di quasi 22 miliardi, la Sardegna segna 7 miliardi, le altre due regioni si limitano a rossi di due miliardi ciascuna.
A questo proposito Luca Ricolfi è netto: «Il livello della spesa pubblica delle tre Regioni a statuto speciale del nord è eccessivo, ma i risultati che ottengono sono spesso eccellenti». Qualche esempio: la Giustizia civile di Bolzano è la più efficiente d’Italia e ogni anno contende il primato a Torino. I livelli scolastici del Friuli o del Trentino sono ottimi, ben sopra gli standard europei.
Nel Mezzogiorno è un’altra storia. Il livello di spesa di Sicilia e Sardegna è accompagnato da un pessimo utilizzo delle risorse finanziarie. In queste due regioni il tasso di spreco è superiore al 50 per cento. Dunque, i servizi pubblici costano molto e rendono poco, meno della metà di quanto dovrebbero.
A proposito di sprechi, proviamo ad analizzare il dato riguardante i dipendenti. La Sicilia ne ha tanti quanti tutte le altre regioni a statuto speciale messe assieme, e nel 2011 sono costati 1,27 miliardi di euro. Nello stesso anno, e per la stessa causa, la Lombardia ha speso 171,5 milioni: l’amministrazione ai lombardi è costata 13 euro a testa, ai siciliani 204.