Renzi domina ed esulta. Concede che eventuali irregolarità debbano essere verificate, ma già riprende in mano il vocabolario appena messo da una parte dopo le dimissioni: “Chiediamo a tutti di riconoscere la verità dei numeri che non possono essere oscurati da nessuna polemica. Quando si vince, si vince. Quando si perde, si ammette”. Il segretario uscente e ricandidato parla forte del risultato ottenuto ai congressi dei circoli, dai quali è uscito con il 68,2 per cento dei voti, che sono 141.245 effettivi. Dati non ancora definitivi e che comunque sono contestati dai suoi avversari, Andrea Orlando e Michele Emiliano (il comitato del ministro li definisce “non convincenti“). La base, secondo la nota del dipartimento Organizzazione del largo del Nazareno ancora diretto da Lorenzo Guerini, è un’affluenza di iscritti del 59,29 per cento rispetto ai 449.852 totali, quindi si sono presentati a votare nei congressi locali in 266.726. Il Pd sottolinea che l’affluenza è superiore al congresso precedente del 2013, quando arrivò al 55,34 per cento. Tuttavia, sotto il profilo dei numeri assoluti, quattro anni fa gli iscritti erano 539.354 e dunque parteciparono ai congressi in 298mila circa. Quindi il calo di partecipazione è di oltre 30mila iscritti. Tutto questo in preparazione delle primarie del 30 aprile, alle quali una soglia per capire quanto è in salute la partecipazione dentro e intorno al Pd è fissata a circa due milioni di partecipanti.
“Viva la democrazia” gioisce intanto su instagram Renzi. Restano scettici sia Orlando che Emiliano: il ministro, secondo le proiezioni del Nazareno, ha totalizzato 52.630 voti, pari al 25,42 per cento, mentre il presidente della Puglia ha raccolto 13.168 preferenze per una percentuale del 6,36. Le due mozioni alternative al segretario uscente continuano a toccare il tasto della legalità e della regolarità delle operazioni di voto (l’ultimo caso ieri a Catania sollevato dai sostenitori del Guardasigilli) rilanciando con risultati che modificano leggermente i numeri (62 Renzi, 29 Orlando, 8 Emiliano), pur mantenendo inalterati classifica e entità dei distacchi. “Qualcuno dice che in qualche caso ci sono stati dei problemi e delle incongruenze – rilancia lo stesso Renzi – Sono il primo a dire che dove ci sono problemi riconosciuti (ammesso che ci siano) è giusto che si intervenga invalidando il voto. Noi siamo i primi ad avere interesse che tutto sia trasparente: perché una vittoria così larga e così bella non sia sporcata dalle polemiche del giorno dopo. Allo stesso tempo chiediamo a tutti di riconoscere la verità dei numeri che non possono essere oscurati da nessuna polemica”. “Noi – sostiene l’ex segretario Pd – siamo i primi ad avere interesse che tutto sia trasparente: perché una vittoria così larga e così bella non sia sporcata dalle polemiche del giorno dopo. Allo stesso tempo chiediamo a tutti di riconoscere la verità dei numeri che non possono essere oscurati da nessuna polemica. Quando si vince, si vince. Quando si perde, si ammette. Punto”.
Secondo i primi dati – non ancora ufficiali – a pesare, come sempre in questi casi, è la geografia: Michele Emiliano è primo in Puglia (anche se “solo” con il 42 per cento), Andrea Orlando è primo nella sua La Spezia anche se esulta per il suo miglior risultato (36 per cento) registrato a Roma, infine Renzi che a Firenze fa praticamente cappotto (82%) e in generale convince le regioni cosiddette “rosse”.
Matteo Richetti, portavoce nazionale della mozione Renzi, la spiega così: “La nostra gente ci dice: basta con l’autolesionismo a sinistra. Si sono stretti tutti attorno a quello che sentono come il proprio segretario. E’ normale vedere qualche iscritto che vota contro al referendum, ma non è digeribile vedere chi brinda con i nostri avversari alla sconfitta”. “Io sono amico personale di Orlando e stimo Emiliano – aggiunge – Però per i nostri iscritti c’è un leader naturale”, dice Richetti in un’intervista a Repubblica. “Certo, non gli fanno sconti. Certo, sottolineano i suoi errori e chiedono di non fare più tutto da solo. Ma il carisma di Matteo non lo discutono, lo riconoscono. Parliamoci chiaramente, è l’unico leader nell’attuale classe dirigente”.
Toni non condivisi naturalmente da Francesco Boccia, braccio destro di Emiliano: “Punto primo, l’autonarrazione di Renzi, che pensava di portare 300mila persone a votare, è fallita: siamo sotto il 50 per cento, questo dicono i nostri dati. Punto secondo, Matteo continua a fare disinformazione, ma Emiliano è ben sopra il 5 per cento: insomma, non è l’ex segretario che è magnanimo e ci concede di superare quella soglia, è Emiliano che è sopra il 5”. Secondo Boccia, intervistato sempre da Repubblica, “il rottamatore è diventato il capo dell’apparato. Questi numeri del voto dei tesserati lo dimostrano”.
Andrea Martella, coordinatore della campagna di Orlando, pone di nuovo la questione della regolarità del voto e della legalità. “Noi andiamo bene al Centro-Nord, meno bene al Sud: e dire che Renzi nel Mezzogiorno aveva promesso di arrivare con il lanciafiamme, invece si è appoggiato sui capibastone. Noi, per dire, in alcune realtà non abbiamo neanche partecipato: a Crotone, Scampia, Pompei, ad esempio, perché non c’erano le condizioni di regolarità”. “Orlando è l’unico che può davvero unire il centrosinistra”, insiste Martella, mentre “Renzi non va bene, è divisivo. Può anche vincere tra gli iscritti o nei gazebo, ma rischia di perdere le elezioni“.
Se ieri Orlando ha mandato un messaggio un po’ ruvido agli ex compagni Democratici e Progressisti (Bersani ha detto che rivincerà Renzi, il ministro ha risposto che forse se fossero rimasti nel partito le chance sarebbero state maggiori), oggi è Gianni Cuperlo – dal Corriere della Sera – a trasformare il messaggio da negativo a positivo: “A tanti amici e compagni orfani di un partito diverso, io dico: venite a votare il 30 aprile e aiutateci ad ancorare il Pd alla sua natura e missione. Che non è dividere il campo della sinistra, ma ricucire quello che Renzi ha strappato. Oggi la candidatura in grado di farlo è quella di Orlando”.