All’inizio era il Salone del Mobile, riservato solo agli addetti ai lavori. Adesso è il supertop degli eventi. La fashion week al confronto è un raduno di paesani. Di settimane della moda Milano ne ospita 4 all’anno (due per la Donna, due per l’Uomo) e deve vedersela con la fashion week di Parigi, Londra, New York, Mosca, Dubai… Il Salone del Mobile è un unicum, dal 3 al 9 aprile Milano apre le porte al mondo intero, con installazioni sperimentali, interattive, tecnologie digitali, domotica sostenibile, illuminotecnica, workplace 3.0, artshow, fuorisalone, salone satellite e via dicendo. Il design diventa un’ossessione: oltre duemila espositori (di cui il 34% stranieri), 650 designer e 450 eventi.
Impossibile andare a tutti. Noi giornalisti praticamente stalkerizzati, per ogni invito, ne arrivano cinque, sei: il primo save the date 10 giorni prima che cominci il salone. Poi ancora un memorandum e poi un altro ancora, il giorno prima e il giorno stesso non c’è tregua. La casella di posta elettronica è ingolfata. Ritorno all’abc, mi segno con una matita su un taccuino gli eventi più uaoooo. E comincio la maratona. Mi infilo alla prevue delle prevue, domenica 2 aprile: entro con passo monacale nella chiesa sconsacrata seicentesca di San Paolo Converso, sede mozzafiato dello studio d’architettura di Massimiliano Locatelli e sotto le volte affrescate abbraccio il nuovo concept di tavoli e sedute componibili di materiale tech.
Cuffia, telecomando in mano, clicco e mi lascio ipnotizzare dalla realtà virtuale di “Urban Up“, un progetto avveniristico, tutto in verticale, della Unipol e mi ritrovo all’ultimo piano di un grattacielo di cristallo sotta un diluvio di stelle filanti. Cambio location e cambio posizione. Dall’attenti mi metto in orizzontale sulle chaise longe di UNOPIU’ e, tra un gozzovigliare di tartare di funghi porcini e altre prelibatezze, mi lascio cullare dalla music lounge mentre Canio Mazzaro, l’imprenditore eco/sostenibile, mi racconta una bella storia. Lo storico brand specializzato in arredi da giardino e ogni tipo di dehors stava per essere ceduta a un fondo inglese. Ancora una fuga di un talento tutto made in Italy, invece no ci pensa Mazzaro. Eccitazione davanti all’Erotic Pop Design con le abat-jour di Maurizio Bertolio in via Brera 2 (tranquilli, niente spettacolo a luci rosse, anche se l’invito era promettente). Mi illumino d’immenso sotto la galassia di stelle. “Sky over the vineyard” (“Cielo sopra la vigna”) è l’installazione dell’architetto Piero Castellini Baldissera nel suo atelier di via Zenale 3 che si affaccia sull’avvolgente giardino di Leonardo Da Vinci.
Attraverso i “Liquid Walls Broken Forest” (traduco letteralmente i “Muri liquidi della Foresta Spezzata”) di Kris Ruhs in Corso Como 10 e annuso “Il Giardino dei sensi” all’Orto Botanico, all’ombra di un profumatissimo glicine. Gioco con le “Bubble Gum“, realizzate dalla scultrice del cemento Carla Milesi e da Maria Grazia Rosin, artigiana del vetro. Leggerezza e solidità per sposare il tema di quest’anno “Material and Immaterial“, scelto da Gilda Bojardi, direttore di Interni e zarina del Grande Evento. Location l’Università Statale: un’installazione luminosa di cemento verde con vetro soffiato iridescente di Murano. Il cemento sta nel dna della Milesi e già nel 1988 creava “Concreta“, un laboratorio di ricerca dove chiamò a collaborare Starck, Mendini, Sottsass. Cammino in punta di piedi in una mega bolla d’aria interattiva e plurisensoriale, è l’interpretazione di Simone Micheli. Mi rifletto nel gioco catturante di specchi di Antonio Citterio che rimandano all’infinito le volte rinascimentali del chiostro.
Scorro con gli occhi i rifrangenti pilastri di luce visti da Luca Trazzi che in omaggio alla azienda giapponese sponsor li ha battezzati Kochu. Avrei bisogno di un master al MIT per capire l’algoritmo che processa i suoni provenienti dallo spazio circostante e dalla folla nella maestosa cornice del cortile di Corso Venezia 11: l’Audi City Lab si affida all’intelligenza artificiale per mettere in mostra i nuovi modelli. L’era di internet era invece lontana anni luce e all’insegna di una creatività d’altri tempi mi rapiscono le “Mirabili Visioni, rassegna di vedute ottiche del ‘700 dei Remondini” dove alla Biblioteca Ambrosiana la storica griffe Chiodelli Arte espone i “teatrini” veneziani di eccellente manifattura. Mi catapulto al padiglione Giappone alla Triennale e sembra di entrare in un videogioco dei Manga. Su giganteschi schermi si muove di tutto. Il vero spettacolo tuttavia è al piano di sotto nello spazio riservato alla Corea del Sud. L’effetto di un antico tempio è sorprendente. Dentro una proliferazione di ceramiche tradizionali che coniugano il tema “Costancy and Change in Korean traditional craft 2.0“. Per un vaso che sembra di merletto ci sono voluti dodici mesi di lavoro, la loro ceramica è sensuale, verrebbe voglia di accarezzarla. Lo faccio, malgrado il divieto.
Da Cartier mi servono polvere d’oro nello champagne e grattugiata di polvere d’oro anche sui minisouflè al caramel sotto una pioggia di mega bulloni dorati, chiodi e cerchioni. La maison ha trasformato il garage Sanremo in una meraviglia. Se non sapete dove buttare i vestiti vecchi, dateli a Gaetano Pesce che li compatta e dà forma a una mega poltrona all’ingresso dell’Accademia di Brera. E non è ancora finita! C’è ancora da pedalare prima che cali il sipario.
PS: Anzi no, dite al sindaco Sala che le stazioni di Bikemi per le bici a noleggio sono andate in tilt. In fondo, non basta pomparsi l’ego!