Sei mesi fa il Consiglio superiore della magistratura chiedeva per lui il trasferimento alla procura nazionale Antimafia per eccezionali motivi di sicurezza. Ipotesi che il diretto interessato aveva rifiutato. Adesso – a trasferimento alla Dna già acquisito per nomina ordinaria di palazzo dei Marescialli – il ministero della Giustizia ha invece deciso che il pm Nino Di Matteo può rimanere a Palermo per altri sei mesi. Da via Arenula è stata infatti recapitata al magistrato l’applicazione alla procura del capoluogo siciliano per altri sei mesi, a partire dal 15 maggio: potrà trasferirsi in via Giulia a partire dalla metà del novembre 2017.
Il Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria del ministero della Giustizia ha così accolto la richiesta del procuratore capo Francesco Lo Voi. Di Matteo, dopo la nomina del Csm alla procura nazionale Antimafia, aveva chiesto di essere applicato soltanto al processo sulla Trattativa Stato – mafia, di cui è il più antico conoscitore. In questo modo avrebbe fatto la spola tra Palermo e Roma solo fino alla fine del procedimento in corso davanti alla corte d’Assise della città siciliana e ormai in dirittura di arrivo, iniziando però subito a lavorare come sostituto procuratore della Dna. Poco dopo quella sua richiesta, però, il capo dell’ufficio inquirente siciliano Lo Voi aveva scritto al ministero per chiedere l’applicazione a Palermo del pm, facendo così slittare il suo trasferimento a Roma di sei mesi. E l’applicazione è arrivata oggi.
L’allarme sicurezza per il magistrato è alto da anni tanto che per il pm era stato deciso l’utilizzo di un jammer. Nel 2014 Totò Riina, intercettato in carcere, disse di volere per lui “la fine del tonno”. Un rancore covato da tempo nei confronti del magistrato, che è stato titolare dell’inchiesta sull’omicidio di Antonino Saetta, costata al boss di Corleone la prima condanna all’ergastolo. Più recenti le dichiarazioni di Vito Galatolo sull’acquisto di un carico di tritolo da usare per un attentato a Di Matteo.