Per la Turchia è arrivata l’ora della verità. Dopo settimane di campagna elettorale infuocata, dentro e fuori i suoi confini, oltre 55 milioni di votanti sono stati chiamati alle urne per il referendum sul super-presidenzialismo approvato il 21 gennaio scorso. La grande scommessa di Recep Tayyip Erdogan, che in caso di vittoria potrebbe restare al potere fino al 2034, è giunta alla prova delle urne tra molte incertezze. Negli ultimi giorni, la tendenza si è rovesciata a favore del ‘sì’, dopo una partenza in sordina. Ma per i sondaggi quello di oggi è stato un testa a testa. Dopo le 20 ora italiana i primi risultati.

I votanti sono stati chiamati alle urne per dire “sì” o “no” alla riforma costituzionale che vorrebbe istituire un sistema presidenziale di ampi poteri in sostituzione al modello parlamentare corrente. Per Erdogan significherebbe rimanere al potere fino al 2034. “Siamo qui da stamattina presto per dire no per il nostro Paese, i nostri figli e nipoti“, ha dichiarato un elettore, Murtaza. Husno, un altro elettore che intende votare contro, dice: “Non voglio salire su un autobus che non ha i freni. Un sistema con un uomo solo al comando è così”. Mualla, che vota invece ‘sì’ dice: “Sì, sì, sì! Il nostro leader è un dono di Dio. Noi lo sosterremo sempre, perché sta governando veramente bene”.

Le forze di sicurezza turche hanno impedito l’ingresso in alcuni seggi a Batman, nel sud-est del Paese a maggioranza curda, a una delegazione di tre italiani, giunti come osservatori indipendenti insieme al partito curdo Hdp. In base alle prime informazioni, secondo l’Ansa, non avrebbero avuto i permessi richiesti dalle autorità. I tre non sono in stato di fermo. Secondo quanto si apprende da altre fonti, la delegazione è composta dagli avvocati Elena Esposito e Nicola Giudice, dell’associazione Giuristi democratici, e da un reporter, Lorenzo Bianchi.

Di certo, fino all’ultimo il presidente, che votato in mattinata in una scuola media di Istanbul, non si è risparmiato nei comizi. “Non è un voto qualunque, dobbiamo prendere una decisione straordinaria”, ha detto ai giornalisti al seggio. Con il silenzio elettorale scattato solo nel tardo pomeriggio di sabato, ha parlato in quattro diversi quartieri di Istanbul, su entrambe le sponde del Bosforo, scegliendo quelli dove si stimano più indecisi. “Dovete assolutamente andare a votare. La nuova Costituzione porterà la fiducia e la stabilità che serve al Paese per crescere”, ha ribadito Erdogan, rivolgendosi anche agli elettori degli altri partiti. “È un sì per una nazione, una bandiera, una patria, uno stato”, è tornato a ripetere, pensando soprattutto ai voti decisivi dei nazionalisti.

“La Turchia è a un bivio. Domani prenderemo la nostra decisione. Vogliamo un sistema parlamentare democratico o il governo di un uomo solo?“, è stato l’appello finale da Ankara di Kemal Kilicdaroglu, leader del principale partito di opposizione, i kemalisti del Chp, mentre migliaia di attivisti per il ‘nò sfilavano lungo il Bosforo con in mano le bandiere rosse con la Mezzaluna della Turchia. Chiusura a Diyarbakir, ‘capitale del sud-est, per il partito filo-curdo Hdp, che ha chiesto un ‘no’ per “la pace, la libertà e la democrazia”, dopo una campagna irta di ostacoli. Come rilevato dagli osservatori internazionali dell’Osce, oltre 140 suoi rappresentanti di lista, che in Turchia sono gli unici a poter presenziare allo spoglio, sono stati rimossi d’ufficio. Gli attivisti del ‘no’ hanno inoltre denunciato oltre 100 episodi di violenze e intimidazioni. Su tv e giornali, indicano i dati, è stata preponderante la presenza di Erdogan e dei suoi, specie dopo l’eliminazione con un decreto dello stato d’emergenza delle sanzioni previste per le violazioni alla par condicio.

Ad accompagnare oggi i turchi negli oltre 167mila seggi è stato anche l’allarme sicurezza. Ieri per il terzo giorno consecutivo, l’antiterrorismo ha compiuto retate in grande stile per arrestare presunti militanti dell’Isis sospettati di preparare “attacchi sensazionali” contro le urne. Proprio sabato a Istanbul sono finite in manette 47 persone, tra cui 41 presunti foreign fighter, alcuni accusati anche di legami con l’attentatore uzbeko di Capodanno al nightclub Reina. Oggi, il dispiegamento di forze è massiccio, con 380mila agenti in tutto il Paese, 34mila solo a Istanbul. Altri mille hanno vigilato sulle infrastrutture strategiche, per evitare i rischi di black out, che in passato avevano scatenato dubbi sulla correttezza dello spoglio. Nel sud-est a maggioranza curda, sono  impegnate anche 50mila ‘guardie del villaggio’: una presenza che i curdi dell’Hdp contestano come intimidatoria verso i propri elettori. Almeno due persone sono morte e un’altra è rimasta ferita in una sparatoria avvenuta nel giardino di una scuola turca, adibita a seggi a una trentina di chilometri da Diyarbakir. Secondo  Ntv, secondo cui le cause dello scontro a fuoco, che sarebbe avvenuto tra due gruppi appartenenti a una stessa famiglia, sono al momento ignote. Sul posto è intervenuta la gendarmeria, che ha aperto un’inchiesta.

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