1 /18 Referendum Turchia, migliaia in piazza dopo risultato
Per l’Osce il voto “non è stato all’altezza degli standard internazionali“. Per il presidente Erdogan gli osservatori internazionali devono “stare al loro posto” e astenersi da attacchi tutti “politici”: il referendum costituzionale in Turchia, secondo il Sultano, è stata “l’elezione più democratica” vista in ogni Paese occidentale e la vittoria del Sì è un trionfo contro le nazioni con “una mentalità da crociati“. Mentre l’opposizione filo curda chiede l’annullamento del voto minacciando un ricorso alla Corte europea dei diritti umani. Alta tensione tra Turchia e organizzazioni internazionali nel day after del referendum che ha visto prevalere con il 51,4% dei voti i favorevoli alla riforma in senso iper presidenzialista voluta da Recep Tayyip Erdogan. Intanto migliaia di persone si sono riversate stasera per le vie di Istanbul, per protestare contro l’esito del referendum. Al grido di “Erdogan ladro, Erdogan assassino”, sbattendo pentole e padelle, circa duemila manifestanti sono scesi in piazza nel quartiere di Besiktas, nella parte europea di Istanbul, e altre migliaia a Kadikoy, nella parte asiatica, al grido di: “Il no non è finito, è solo l’inizio”. Manifestazioni di protesta dopo la vittoria del ‘sì al referendum con poco più del 51% si sono tenute anche ad Ankara e a Smirne.
Sul voto pesa il giudizio dell‘Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, negativo alla luce del fatto che la Commissione elettorale turca ha considerato valide anche le schede non timbrate. Una scelta che per l’Osce “ha minato le garanzie contro le frodi“. Tana de Zulueta, a capo della missione dell’Osce in Turchia, ha spiegato che “la consultazione si è svolta in un clima politico in cui le essenziali libertà fondamentali per un processo sinceramente democratico sono state ridotte dallo stato d’emergenza e le due parti non hanno avuto le stesse opportunità di presentare le loro ragioni agli elettori”. “La nostra missione di monitoraggio – ha continuato – ha dimostrato che la campagna per il Sì ha dominato la copertura dei media e questo, insieme alle restrizioni dei media, all’arresto dei giornalisti ed alla chiusura dei giornali, ha ridotto l’accesso degli elettori alla pluralità di punti di vista”. La replica del presidente non si è fatta attendere.
Ankara: “Critiche Osce? Attacchi politici. Stiano al loro posto” – Il ministero degli Esteri di Ankara ha respinto come “politicamente motivate” le osservazioni critiche degli osservatori internazionali, accusati di aver avuto un “approccio di parte e pregiudiziale” nello svolgimento del loro compiti, aggiungendo che sostenere che il referendum non ha risposto agli standard internazionali è “inaccettabile”. Il primo ministro turco Binali Yildirim si è limitato a dire che “il messaggio del popolo turco è chiaro”. “Non vedremo o ascolteremo i rapporti che preparate con motivazioni politiche”, ha detto dal canto suo Erdogan. Che ha rivendicato di aver “combattuto contro le nazioni potenti del mondo” che mi hanno “attaccato” con una “mentalità da crociati” salutando la folla che lo ha accolto all’aeroporto di Ankara. “Ieri sera un segnale è stato lanciato verso marzo 2019 e novembre 2019. Le vittorie non ci ubriacheranno“, ha aggiunto riferendosi alla data delle prossime elezioni amministrative e presidenziali. Gli osservatori elettorali internazionali dovrebbero “saper stare al loro posto”. Quanto al rischio che l’Unione europea blocchi i negoziati sull’adesione, “non è importante purché avvisi Ankara. Anzi, la Turchia potrebbe votare in un referendum la sospensione dei colloqui, se necessario”.
Berlino: “Governo turco cerchi un dialogo rispettoso con tutte le forze del Paese” – Il giudizio dell’Organizzazione per la sicurezza era atteso dalla Commissione europea che in una nota – firmata dal presidente Jean Claude Juncker, dall’alto rappresentante Federica Mogherini e del commissario alla politica di vicinato Johannes Hahn – si è limitata a spiegare di aver “preso nota dei risultati diffusi” in Turchia. Attendista la posizione della Germania – dove moltissimi turchi emigrati hanno votato a favore del referendum – che si è limitata a chiedere ad Ankara di impegnarsi in un “dialogo rispettoso di tutte le parti politiche e civili”, dopo che i risultati del referendum hanno mostrato “quanto profondamente la società turca sia divisa”. “Il governo federale si aspetta che, dopo una dura campagna elettorale per il referendum, il governo turco cerchi un dialogo rispettoso con tutte le forze politiche e sociali del Paese”, scrivono in una nota la cancelliera Angela Merkel e il ministro degli Esteri Sigmar Gabriel. I riferimenti di Berlino alla divisione della società turca si riferivano chiaramente non solo ai risultati percentuali del referendum, ma anche alle accuse di illegittimità del voto avanzate dalle opposizioni, con il partito partito filo-curdo Hdp che chiede l’annullamento delle schede senza timbro minacciando in contrario il ricorso alla Corte europea dei diritti umani.
Austria: “Stop a trattative per ingresso nell’Ue”. Usa: “Attendiamo rapporto Osce” – Netta è stata invece la presa di posizione dell’Austria, con il ministro degli Esteri, Sebastian Kurz, che ha chiesto di interrompere le trattative per l’ingresso di Ankara nell’Unione Europea. “La Turchia non può essere un membro- ha detto Kurz all’agenzia Apa – Occorre finalmente sincerità sui rapporti tra la Ue e la Turchia. Il tempo dei tatticismi deve finire”. Il dipartimento di Stato americano dal canto suo ha fatto sapere di aver preso nota delle preoccupazioni degli osservatori europei in relazione al referendum in Turchia e di attendere il rapporto finale, lasciando intendere che non commenterà sino ad allora. Lo ha dichiarato il portavoce, Mark Toner.
L’opposizione contesta il voto – I primi a sollevare dubbi sulla scelta di conteggiare anche le schede elettorali senza il necessario contrassegno erano stati gli esponenti del partito kemalista Chp, che già durante lo scrutinio avevano parlato di brogli. “Al momento, questo è un voto dubbio“, ha commentato il deputato Utku Cakirozer. “L’unico modo per porre fine alle discussioni sulla legittimità del voto e di tranquillizzare il popolo è che il Consiglio elettorale supremo cancelli il voto“, ha detto invece il vice-leader del Chp, Bulent Tezcan, denunciando che in molti seggi, almeno per la prima mezz’ora, agli osservatori dell’opposizione non è stato permesso di assistere allo scrutinio dei voti, come previsto dalla legge.
“Le schede non timbrate sono valide” – In giornata, però, alle opposizioni ha replicato la commissione elettorale turca. “Le schede non timbrate non sono false e sono valide, non c’è nessun dubbio”, ha detto Sadi Guven, il presidente della commissione, annunciando che entro 12 giorni verranno diffusi i risultati definitivi del voto. Per allora, la Turchia avrà già prorogato lo stato d’emergenza varato dopo il fallito golpe del luglio scorso. “Alle 19 e 30 di oggi ci riuniremo nel Consiglio di sicurezza nazionale, se il (successivo) Consiglio dei ministri lo approva, verrà prolungato”, ha detto il vicepremier Nurettin Canikli. Il probabile rinnovo dello stato d’emergenza – che scade in settimana -era già stato anticipato da Erdogan prima del referendum: a questo punto raggiungerebbe così la durata di almeno un anno.
La stampa governativa celebra la vittoria di Erdogan – E se quello che è uscito dalle urne – tra il fronte del No che si è imposto nelle città principali e le accuse di brogli – non è certo un plebiscito, al contrario i giornali filogovernativi celebrano la svolta super presidenzialista voluta da Erdogan con titoli enfatici. “La Turchia ha vinto“, “La vittoria delle nazione“, “La rivoluzione del popolo“, titolano le prime pagine di Yeni Safak, Star e Sabah, Le testate d’opposizione, invece, si concentrano sui dubbi relativi alla regolarità del voto. “Sulle urne è caduta un’ombra“, è l’apertura del laico Cumhuriyet. “La vostra coscienza è a posto?”, provoca Sozcu, evidenziando la presenza di “2,5 milioni di voti dubbi”. BirGun, voce della sinistra, titola invece “24 milioni di persone coraggiose”, sottolineando l’importante risultato del fronte del No, nonostante una campagna elettorale in cui gli osservatori dell’Osce hanno evidenziato diversi ostacoli.
Se a occidente si registra preoccupazione per quella che è stata definita la Sultanizzazione di Ankara, diverso è l’umore degli Stati orientali. Secondo le agenzie di stampa filo governative, infatti, primi a congratularsi con Erdogan per la sua vittoria sono stati il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev, l’emiro del Qatar, il leader dell’Autorità nazionale palestinese, Mahmoud Abbas, il presidente pakistano Mamnoon Hussain e dal vice presidente iracheno Osama al-Nujaifi.