Anche quest’anno gli italiani hanno pagato una tassa occulta sui figli e sull’istruzione pubblica. Un balzello tanto più odioso perché viene imposto ai genitori con la forza del ricatto e in spregio al principio normativo e costituzionale di gratuità della scuola dell’obbligo. Si chiama “contributo volontario alla scuola” ed è un versamento che viene incassato direttamente dall’istituto per – in teoria – “finanziare l’ampliamento dell’offerta culturale e formativa. Per questo si tratterebbe di un contributo facoltativo, detraibile al 19% dalla dichiarazione dei redditi, ma le segnalazioni dei genitori raccontano una realtà diversa: in molte scuole italiane anche quest’anno presidi e consigli d’istituto hanno imposto il versamento rendendolo di fatto obbligatorio, con importi variabili dai 27 ai 200 euro annui, pena la non iscrizione ai corsi. Importo raramente speso per ottimizzare l’offerta scolastica che diventa invece l’unico canale per garantire servizi base. Si tratta di una realtà ben nota, tanto che ogni ministro dell’Istruzione promette di intervenire ma finora, al di là di circolari che vengono facilmente aggirate, non è stato fatto molto. E il 16 febbraio, termine per le iscrizioni, è scattata puntuale la tassa occulta sulla scuola.
Un balzello che in viale Trastevere non registrano nel bilancio del ministero perché le scuole non sono obbligate a comunicare quanto incassano dai contributi volontari. Solo il 40% circa degli istituti provvede a informare gli uffici romani. “L’ultimo dato in nostro possesso – spiegano al Miur – risale all’anno scolastico 2014/2015 in riferimento al quale i contributi delle famiglie ammontano a circa 146 milioni”. Una cifra che, tuttavia, non comprende solo i cosiddetti contributi volontari ma anche altre entrate, eccetto le mense scolastiche e i viaggi d’istruzione. Resta, quindi, l’interrogativo per cui nessuno ha una risposta: a quanto ammonta il tesoretto che le scuole hanno accumulato grazie a questa “tassa” che tanto volontaria non è?
La fa pagare, ad esempio, l’Istituto Luzzatti di Mestre, dove qualcuno ha però deciso di far valere i propri diritti portando agli uffici scolastici regionali le circolari ministeriali che sistematicamente disapplicano pretendendo importi che – fatti due conti – sono anche dieci volte superiori a quello ufficialmente richiesto dallo Stato, oltre le tasse. Nonostante il Miur con un’apposita circolare (prot. 312 del 20/3/2012), diramata a tutti gli uffici scolastici e da qui alle scuole, abbia chiarito nel 2012 che “si configura come una violazione del dovere d’ufficio subordinare la regolarità dell’iscrizione degli alunni (vincolata solo al corretto pagamento delle sole tasse erariali) al preventivo versamento del contributo scolastico”. Infatti “i versamenti in questione sono assolutamente volontari, anche in ossequio al principio di obbligatorietà e gratuità dell’istruzione inferiore ribadito più di recente dalla legge 296/2007 (legge finanziaria 2007)”. E ancora che “all’atto del versamento le famiglie vanno sempre informate in ordine alla possibilità di avvalersi della detrazione fiscale di cui all’art 13 della legge n. 40/2007” e che “le istruzioni scolastiche inoltre dovranno improntare l’intera gestione delle somme in questione a criteri di trasparenza ed efficienza. In particolare le famiglie dovranno preventivamente essere informate sulla destinazione dei contributi”.
Ma l’antifona deve essere suonata alquanto oscura in diverse scuole, se l’anno dopo il Miur ha dovuto ribadire il concetto con una seconda circolare (prot. 593 del 7/3/2013): “Nonostante le indicazioni fornite con la precedente nota n. 312 del 20/3/2012, continuano a pervenire a questo Dipartimento da parte delle famiglie numerose segnalazioni di irregolarità ed abusi nella richiesta di contributi scolastici”. E dunque: “Si ricorda ancora una volta che nessuna ulteriore capacità impositiva viene riconosciuta dall’ordinamento a favore delle istituzioni scolastiche, i cui consigli di istituto, pur potendo deliberare la richiesta alle famiglie di contributi di natura volontaria, non trovano però in nessuna norma la fonte di un vero e proprio potere di imposizione che legittimi la pretesa di un versamento obbligatorio di tali contributi. Si invitano, pertanto, tutti i dirigenti scolastici ad astenersi, sia all’atto dell’iscrizione che nel corso dell’anno scolastico, da qualunque comportamento volto ad esigere coattivamente il versamento di contributi il cui carattere resta assolutamente volontario.”
Poco importa. A Mestre, come altrove, ogni anno spunta una contro-circolare d’istituto che in forza del ricatto batte quelle del ministero. Così anche per l’anno scolastico 2016-2017 alle famiglie che volevano iscrivere i figli ai corsi dei tre plessi (Luzzatti, Edison e Gramsci) il 20 gennaio viene inviata la n.246 che smaccatamente intima: “Verrà consegnato nei prossimi giorni il modulo di iscrizione, scaricabile anche dal sito della scuola. Il modulo va compilato in ogni sua parte e restituito in segreteria didattica entro il 6 febbraio 2017, allegando ricevuta del versamento del contributo e delle tasse erariali ove previste”. Se non si allega ricevuta del versamento del contributo l’iscrizione per l’anno viene rifiutata. E siccome magari è il secondo o il terzo o il quarto i genitori prontamente pagano l’obolo richiesto, piuttosto che far perdere l’anno al figlio o iniziare a vagare tra le scuole in cerca della mosca bianca che non lo pretende.
Facciamo due conti. L’importo preteso a titolo di “contributo volontario” varia da scuola a scuola ma spesso supera di gran lunga le tasse scolastiche erariali: quella per l’iscrizione annuale è di 6,40 più 15,14 euro per la frequenza, poi l’una tantum per esami e diplomi da 15, 3 e 12 euro. All’Istituto Luzzatti, ad esempio, all’atto dell’iscrizione viene chiesto di versare 110 euro a titolo di contributo volontario che diventano 550 per l’intero ciclo scolastico contro i 212 di giuste tasse. Ogni anno i genitori pagano più del doppio di quanto effettivamente dovuto per l’intero quinquennio: in pratica il “contributo volontario” è la vera tassa sull’istruzione, il resto son briciole. Chiamiamo la scuola chiedendo lumi. La segreteria didattica ribadisce che “il versamento è obbligatorio, se non lo si versa non si può accedere all’iscrizione. Così ha deliberato il Consiglio d’istituto”. Punto.
Ma se il contributo è obbligatorio non è più volontario. “Eh lo so ma se non lo si versa non compriamo neppure la carta igienica. Gli unici esentati sono i nuclei familiari con Isee inferiore a 5mila euro l’anno, gli altri pagano tutti”. In realtà il contributo facoltativo, per legge, dovrebbe essere destinato al “miglioramento e all’ampliamento dell’offerta formativa degli alunni e per raggiungere livelli qualitativi più elevati nelle scuole” protestano alcuni genitori. Non alla carta igienica. “Inutile poi chiedere come siano stati spesi trecentomila euro incamerati negli ultimi tre anni tassando indebitamente gli studenti, anche se le circolari del Miur prevedevano l’obbligo di trasparenza. C’è l’autonomia scolastica, rispondono i presidi, e l’uso di quei fondi rientra in quella”. E così, addio alla trasparenza.
I più combattivi sul punto hanno deciso di andare fino in fondo. Quelli del serale, in particolare, si sono presi la briga di contarsi e verificare quanti hanno versato l’indebita tassa negli ultimi anni. “Nella settimana del 13-03 mi sono mobilitato per raccogliere le firme che confermano che negli anni scorsi, chi per 1, chi per 2, chi per 3 e chi per 4 anni ha pagato il contributo “volontario” solo ed elusivamente perché vincolato all’accettazione dell’iscrizione da parte della scuola”, racconta Mauro Quintavalle che non ha pagato e per risposta è stato iscritto ma “con riserva”. “Il giovedì la preside ci ha convocati tutti in aula magna dicendo che il contributo era volontario, e che si scusava, ma non ha portato le rendicontazioni e non ha detto quali cose siano state fatte con i contributi degli anni precedenti. Sui siti delle altre scuole si ritrovano queste voci da consultare, da noi la rendicontazione non è mai comparsa da nessuna parte”. Quelle attestazioni finiscono poi sul tavolo del dirigente dell’ufficio scolastico regionale Domenico Martino. “Chiedevamo di bloccare il pizzo sui corsi e avviare un’indagine su come vengano spesi i soldi. Non abbiamo più saputo nulla”.
Non bisogna andar lontano per trovare storie simili. Ad esempio all’11esimo Istituto comprensivo di Padova, quartiere sud-ovest della città che ha ben sette scuole tra materna, primarie e secondarie. Quasi mille studenti. Il contributo “volontario” era di 27,50 euro ciascuno. La componente dei genitori del Consiglio d’Istituto, capitanata dal presidente Vincenzo Agosto, ha fatto una lunga campagna contro la vessazione al fine di far capire a tutti i genitori che il contributo non era affatto dovuto. “Non eravamo contrari al contributo volontario in sé, ma al fatto che venisse proposto in maniera scorretta ai genitori e utilizzato non per migliorare l’offerta formativa ma per le spese correnti della scuola o quant’altro. In più non veniva detto ai genitori che indicando correttamente i versamento come Pof e non come tassa scolastica potevano detrarre il 19%”. Sul destino dei fondi versati a lungo è rimasto il mistero. “La scuola non pubblicava alcun rendiconto e nell’opacità accadeva di tutto, anche che la preside si nominasse da sola responsabile di progetti formativi accessori per i quali si accordava da sola un compenso aggiuntivo, con tanto di lettera d’incarico da se stessa a se stessa”. Così la lotta si fa dura.
I genitori non approvano il consuntivo e a fine 2014 bussano alla porta del Provveditore che sembra accogliere la loro protesta, ma viene prontamente retrocesso a preside e trasferito. Presentano quindi una denuncia alla Guardia di Finanza. “Non sappiamo neppure che fine abbia fatto. L’unica cosa che abbiamo notato è che la scuola ha preso a pubblicare sul sito come impiega i fondi sotto la voce “Piano per l’offerta formativa”. Una piccola vittoria, ma non basta perché bisogna spezzare il meccanismo vessatorio”. Che ha affinato le sue leve. “Pur di far pagare il contributo i consigli d’istituto utilizzano quella dell’assicurazione, così da terrorizzare i genitori”, racconta Agosti. “Ti dicono: se si fa male suo figlio…?”. “Noi ad esempio pagavamo a questo titolo 6 euro sulla quota di 27,50. Ma è l’ennesima scorrettezza perché ci mancherebbe che la scuola pubblica non sia assicurata. Cosa paghiamo le tasse a fare? Ci manca solo che se un ragazzo si fa male la scuola non sia coperta da assicurazione”. Il punto è che “i presidi ormai sono dei manager dei conti e vengono premiati o rimossi se fanno andare le cose con il misero budget che hanno. Siccome non ce la fanno trovano molto più conveniente tassare indebitamente le famiglie e tollerare un sopruso generalizzato piuttosto che alzare la voce e pretendere le giuste risorse. E lo Stato e il Ministero dicono che è illegittimo ma tollerano non facendo nulla. Non è un bell’insegnamento per i nostri figli”.