Maxime raccoglie la distesa di bicchieri vuoti afferrandoli a due a due con le dita e quasi li lancia dentro il lavandino. La notte dell’attentato agli Champs Elysées, al Cafè de New York della Galerie Berrie è finita quasi alle tre del mattino. Ma non era per una festa. “Prima abbiamo sentito gli spari, poi le saracinesche che si chiudono e noi siamo rimasti in ostaggio fino a notte fonda. Abbiamo bevuto e abbiamo parlato. Che altro avevamo da fare? Questa è la situazione a Parigi oggi”. La Galerie Berrie Washington è a 500 metri di distanza dal luogo dell’attacco, è un passaggio coperto e poco distante dall’angolo dove il terrorista Karim Cheurfy ha abbandonato la macchina e cominciato a sparare a colpi di kalashnikov contro la polizia, uccidendo un agente. Ci sono negozi, bar, ristoranti e un parrucchiere. Che all’ora dell’attacco aveva già finito l’attività e che oggi lavora con il doppio dell’impegno quasi dovesse essere lui l’ambasciatore che riporta la normalità. “Qui ci conosciamo tutti”, continua Maxime. “Lavoriamo da quindici anni ogni mattina e sera in questo posto. Quando ci hanno detto che non avremmo potuto lasciare la galleria per motivi di sicurezza, ci siamo ritrovati seduti a un tavolino e abbiamo aspettato che passasse. Tanto dopo Charlie Hebdo e il Bataclan abbiamo imparato la lezione: quando è finita, è finita. Basta aspettare”.
Questa volta però, ancora una volta, la sensazione è diversa. “Un attacco agli Champs-Elysées è la prova che siamo arrivati davvero alla fine: non possono succedere attentati qui, in strada, con tutte le misure di sicurezza che dobbiamo subire. Non succedono attacchi a Times square. Il nostro governo ha fallito”. Maxime si volta e indica il dipinto che ha voluto appendere dietro il bancone del suo bar: è Jacques Mesrine, bandito che nella Francia degli anni ‘80 ha fatto parlare di sé a lungo. “Ecco io penso”, conclude il ristoratore “che il mio paese abbia bisogno di una rivoluzione, di un bel bordello. E se per farlo serve la vittoria di Marine Le Pen, ben venga. Che vinca lei, che tutta la classe politica venga spazzata via e vediamo cosa succede”. Ride mentre pronuncia quella frase un po’ troppo ad alta voce. Si guarda intorno per vedere se i clienti hanno sentito quella che suona quasi come una bestemmia. “Ma quale paura. Cosa credete che faccia, le sue sono solo parole. Ma almeno avremo una rivoluzione. Serve il bordello in questo Paese, perché così non possiamo continuare ad andare avanti”.
Le gallerie, i passages, sono posti di Parigi dove il tempo rimane sospeso, piccole cittadine con le loro dinamiche e regole. Nella Galerie Washington Berrie oggi c’è solo rassegnazione e nessuna voglia di stare a commentare quello che è ormai diventato abitudine. “Non ho niente da dire. Solo che non vedo l’ora di andare a votare domenica e voterò per il cambiamento”, dice Alina con la testa alta. Lei è algerina con la cittadinanza francese, qui vende panini fatti in casa. E ha scelto di dare la sua fiducia a Marine Le Pen: “E’ l’ultima speranza. Noi arabi stiamo male di fronte a quello che è successo. E’ arrivato il momento di far sentire la nostra voce: i terroristi non sono arabi e per questo devono essere cacciati per sempre”. Alina non vede razzismo nel pensiero del Front National: “E’ solo severità necessaria di fronte a quello che succede in questo Paese. Tutta l’Europa deve prendere esempio da noi. Non abbiate paura perché ora noi prendiamo in mano la situazione”.
La donna racconta della notte passata in “ostaggio” insieme ai colleghi di lavoro, dietro le saracinesche sbarrate e in attesa di poter tornare a casa: “Ormai siamo abituati, agli attentati, alla paura, a doverci aspettare di tutto. E’ ora di finirla e sono sicura che domenica andranno a votare molte più persone di quelle attese. Fidatevi di me. Sono tantissimi i francesi di origine araba che voteranno per madame Le Pen”. Per tutte la giornata, nella Galerie Berrie, si vedono poche decine di persone: i tavolini suono vuoti e i pranzi scarseggiano. “Vi hanno detto che voteranno per il Front National?”, dice Adir, libanese di origine e francese di passaporto che lavora nel ristorante iraniano che chiude la serie. “Non esiste. Mai, mai nella vita. Gli attentati ormai sono la nostra quotidianità, ma non vuol dire che faremo un passo indietro. Non uno, non succederà. La Francia ha bisogno degli stranieri”.
Quando sono le quattro del pomeriggio passate, i turisti cominciano a riprendere la via degli Champs-Elysées per lo shopping come se niente fosse. Si fermano al numero 104 solo per andare a vedere i segni degli spari nella vetrata del palazzo che ospita l’ufficio del turismo della Turchia. Poi passano oltre. Nei negozi del lusso l’ordine è tassativo: alle commesse è vietato parlare con i giornalisti, al massimo viene il responsabile che taglia corto con un “no comment”. Davanti alla Galerie di Rue Berrie si fermano solo i tassisti e l’argomento naturalmente è solo quello che è successo la notte scorsa e che avrebbe potuto travolgere anche loro. “Era imprevedibile, non faccio che ripeterlo da stamattina. Non ci vengano a parlare delle falle della sicurezza”, dice Mohamed, tunisino con cittadinanza francese e che voterà per il candidato comunista Jean-Luc Melenchon. “Sappiamo che è il destino. Può succedere ovunque e non dobbiamo farne un caso. Andiamo avanti e pensiamo a votare nel modo giusto”. E’ come se Parigi guardasse rassegnata agli spari e agli attacchi, come se le camionette della polizia e i disordini fossero all’ordine del giorno e che ogni giornalista con una telecamera che decide di raccontare quella storia desse più fastidio degli spari stessi. Salim fa la guardia di sicurezza del negozio Zara, a dieci metri da dove è successa la sparatoria e mentre parla si commuove: “Io penso a quell’uomo che è morto ieri sera per difendere noi, per difendere la sua gente. Chapeau a lui. Io sono egiziano ed ero un militare nel mio Paese, ora sono un francese che crede in questo Stato. Sono cittadino di qui ormai, nel mio cuore. Non possiamo dirlo che abbiamo paura, ma è così”. Parla tutto d’un fiato e si interrompe solo per perquisire i clienti e le loro borse, uno a uno con una precisione maniacale. “Sapete cosa vi dico? Io non la voterò Marine Le Pen, ma a questo punto che vinca lei. Ha detto che risolve tutti i problemi del Paese. Bene, benvenuta. Vediamo cosa sa fare”.