La lotta al terrorismo, sì. Ma anche i rapporti con l’Europa: dentro o fuori o da rinegoziare. Poi la difesa del Jobs act all’italiana e l’energia, la laicità e l’educazione. La Nato, un altro problema. L’integrazione che ancora arranca. La Francia, lacerata da crisi economica ed attentati, va alle urne con la testa piena di pensieri e dopo i mesi stanchi di campagna elettorale, la scelta sarà anche e per forza sui temi. Prendiamo ad esempio le frontiere: Marine Le Pen le vuole rigorosamente chiuse, in coppia con il collega a destra François Fillon; sono almeno da rafforzare per Emmanuel Macron. C’è poi la spesa militare che mette d’accordo quasi tutti: è da aumentare. Si continua con la flessibilità dell’orario di lavoro e il Jobs act che sono da difendere per i Repubblicani e il leader di En Marche, quello né di destra né di sinistra. Contro si mettono il Front National e Jean-Luc Mélenchon. Ma anche il quasi dimenticato candidato dei socialisti Benoit Hamon. A proposito di storie dimenticate: l’ambiente. Uno dei temi più cari per i francesi, resta a galleggiare sul fondo. C’è la promessa della sinistra di Mélenchon di uscire dal nucleare, ci sono i temporeggiamenti di tutti gli altri.
La festa alla Bastiglia di cinque anni fa, di quando François Hollande venne salutato come il liberatore dall’era di Nicolas Sarkozy sembra oggi più che mai un lontano ricordo. Archiviata in malo modo la sua presidenza, la Francia sceglie chi sarà per i prossimi cinque anni e quale idea di Paese porterà in Europa. I sondaggi da mesi riflettono l’indecisione di un popolo in piena crisi di nervi di fronte a visioni del mondo spesso distanti, anche se a volte convergenti nella pratica. In testa, se così si può chiamare un vantaggio di circa 2 punti percentuali, c’è Macron, ex banchiere ed ex ministro dell’Economia del governo Hollande. Il candidato prodigio si predica né di destra né di sinistra, progressista, liberale e difensore dell’Europa. In ambito economico è molto vicino al collega di destra Fillon e mette tra le priorità il rilancio della produzione: E’ contro l’idea di inserire una quota massima di migranti, ma è a favore di un rafforzamento dei controlli alle frontiere e per ridurre i tempi d’attesa sul processo di diritto d’asilo. Sul lavoro difende il Jobs act votato dai socialisti, chiede più flessibilità al limite delle 35 ore settimanali e propone di togliere i sussidi a chi rifiuta per due volte offerte di impiego. Con il suo movimento “En Marche” ha conquistato la galassia dei renziani in Italia che vedono non poche affinità con l’ex presidente del Consiglio di casa nostra. Quando dal comizio di Lione ha proposto di copiare il bonus alla cultura di 500 euro per i giovani di Renzi, i fedelissimi dell’ex segretario sono impazziti dalla gioia su Twitter.
Subito dietro Macron, si piazza la tanto chiacchierata Marine Le Pen. Leader del Front National e regista della grande operazione che ha reso presentabile un partito da sempre considerato razzista e xenofobo. E’ quella che ha le parole più dure verso Bruxelles: predica un referendum per l’uscita dall’Unione europea, la sovranità monetaria e il ritorno al franco. Va oltre e chiede anche l’uscita dal comando integrato della Nato. Suo cavallo di battaglia naturalmente la sicurezza: il controllo alle frontiere, l’inserimento di una quota massima di stranieri per l’accoglienza e l’inasprimento delle condizioni per ottenere l’asilo politico. Chiede anche l’abolizione del Jobs act e la difesa del Made in France. In politica estera non ha mai nascosto le sue simpatie per Vladimir Putin e Donald Trump che, in un viaggio in Usa a gennaio scorso ha pure cercato di incontrare. E’ partita che faceva paura a tutti, è finita che arranca dietro i timori dei francesi che lei sia, ancora una volta, una scelta estrema malgrado tutto. Qualcosa, di sicuro, nel corso dei mesi si è incrinato. Ci si sono messe ad esempio le convocazioni dei giudici per l’inchiesta sugli assistenti pagati dal Parlamento europeo e utilizzati per lavorare nel partito: lei ha invocato l’immunità e non si è presentata, ma comunque non ha giovato alla sua immagine. Non da ultimo il risultato delle elezioni in Austria e Olanda: gli estremisti non hanno sfondato e di sicuro non potrà godere di un vento generale favorevole. E per lei, che ha fatto tutte le foto della campagna elettorale su una barca a vela in Bretagna, non è che un brutto segno.
Il terzo che aspira ad andare al secondo turno delle elezioni è il candidato dei Repubblicani François Fillon. E’ il nome che ha vinto le primarie della destra a novembre scorso a sorpresa e tra grandi entusiasmi, salvo poi essere stroncato dall’inchiesta sui presunti impieghi fittizi a moglie e figli. E’ un miracolato della campagna elettorale: dato per dimissionario decine di volte, ha deciso di restare dopo la prova di forza di una manifestazione organizzata al Trocadero, di fronte alla Torre Eiffel: pioveva, la piazza era piccola, ma piena e ha funzionato. Ha dalla sua parte uno zoccolo di elettorato molto fidelizzato che potrebbe, nonostante le polemiche, scegliere di votare per lui. Nel corso dell’ultimo dibattito in tv, ha annunciato il suo programma contro il terrorismo proprio mentre sugli schermi trasmettevano le immagini dell’attacco agli Champs-Elysées: espulsione dei criminali segnalati come radicalizzati e per cui è possibile stabilire un legame con lo Stato islamico, ma anche ritiro della nazionalità ai francesi partiti per fare la jihad. Lo pensa anche la Le Pen, da cui in tema sicurezza si distingue molto poco, ma detto da lui suona per molti più ragionevole. La differenza principale è su Bruxelles: Fillon chiede un rafforzamento dell’Unione europea e difende la regola del 3 per cento per il rispetto del patto di stabilità. Per le sue proposte in ambito economico lo chiamano il “thatcheriano” e ha più volte annunciato un programma choc per sistemare i conti pubblici. Che significa nella pratica: diminuzione della spesa pubblica, taglio di 500mila impieghi statali e abolizione della durata massima dell’orario di lavoro a 35 ore. Ma anche riduzione delle tasse. Naturalmente difende il Jobs act voluto da Hollande. Tra i suoi temi “forti”: l’abolizione dell’adozione per le coppie omosessuali.
Se per molte settimane la gara è stata a tre, con il passare dei giorni è emersa l’ennesima sorpresa. Il candidato della sinistra Jean-Luc Mélenchon ha staccato il collega socialista fino a poter ambire ad arrivare al secondo turno. La formula è stata quella dei comizi su Youtube e del passaparola con una campagna di terreno senza precedenti. I suoi dicono che hanno fatto la differenza anche e soprattutto i temi del programma. L’ex socialista e leader de la France Insoumise si distingue intanto per la tutela dell’ambiente e ha un piano per la transizione verso l’uso delle risorse rinnovabili e l’uscita dal nucleare. Ma piace molto anche il suo approccio all’Europa: mentre difende Schengen, chiede anche di ridiscutere le regole europee e di far coesistere una moneta nazionale a fianco dell’Euro. Non da ultimo promuove l’uscita dalla Nato (come il nostro M5s), piazzandosi su una posizione più radicale di quella di Marine Le Pen. Tra le misure proposte c’è anche e soprattutto la riforma della Costituzione che tanto piace ai suoi e la possibilità di revocare gli eletti, previo referendum. Il leader si fa portavoce del populismo di sinistra della filosofa belga Chantal Mouffe che crede che anche a gauche non si debba aver paura di parlare alla “pancia del popolo”. Sarà un caso, ma ha preso in prestito (copiato) da Beppe Grillo l’idea dell’ologramma: per tutta la campagna ha organizzato comizi in contemporanea in più città dove veniva trasmessa la sua immagine duplicata.
In coda, senza possibilità di appello, c’è come da copione il candidato dei socialisti Benoit Hamon. Ha vinto le primarie alla faccia del partito, battendo il plurisostenuto ex primo ministro Manuel Valls. Ma non è bastato per conquistare gli elettori e far rialzare i consensi ai minimi storici per i socialisti. François Hollande lascia la presidenza come un appestato e tutti quelli che hanno avuto in qualche modo a che fare con lui ne vengono travolti. Hamon ha fatto discutere per la sua proposta di reddito di cittadinanza universale e la tassazione dei robot nel mondo del lavoro. Chiede un rafforzamento dell’Unione europea e difende l’euro. E’ per la transizione ecologica, anche se con un programma meno rigido rispetto a quello di Mélenchon. Nella lista ha anche la richiesta della legalizzazione della cannabis (come il suo collega a sinistra). Piace, ma non abbastanza, e sembra destinato a pagare tutte le colpe dei colleghi che hanno seduto in Parlamento fino ad oggi.
I temi sul tavolo sono tanti, anche se sono emersi nel dibattito generale con non poche difficoltà. A dominare la scena è stata “la paura della paura” dei francesi. L’ultima volta che un candidato del Front National è arrivato al secondo turno delle elezioni presidenziali è anche l’unica. Era il 2002, il candidato era Jean-Marie Le Pen e tutta la Francia andò alle urne per “proteggere la Repubblica” dai razzisti. I testimoni di quel giorno vengono ancora oggi chiamati “generazione 21 aprile”, dal giorno in cui si tennero le elezioni. Sono passati quindici anni e la Francia, quella degli attentati, della crisi economica e dei problemi di sicurezza, si sente completamente diversa e non per forza più matura. Di questo timore degli estremismi hanno goduto Macron, visto come il salvatore della patria dall’orlo del lepenismo, e Fillon, la destra che fa meno spavento. L’attentato sugli Champs-Elysées alla vigilia delle elezioni? La prova lampante di come una campagna può scivolare nel sensazionalismo dell’ultimo minuto.
In totale sono undici i candidati. Con un invitato speciale che dice molto agli italiani: la disillusione verso i partiti tradizionali. Mai come questa volta, i francesi invocano un nome che sia fuori dal sistema e che possa dare (non solo promettere) il cambiamento. Tanto che fino a pochi giorni fa, fonti del ministero dell’Interno, dicevano di temere un’astensione oltre il 30 per cento. La dimostrazione? Il grande successo nel penultimo dibattito tv di Philippe Poutou, candidato del semi sconosciuto partito anticapitalista. Uno che fa l’operaio, che non ha mai lasciato il suo lavoro e che in tv si è presentato senza giacca e cravatta. Faccia a faccia a Marine Le Pen l’ha accusata di essere così anti-sistema da proteggersi con l’immunità del Parlamento europeo dalle inchieste: “Noi non abbiamo l’immunità da operai”, ha detto. La clip ha fatto il giro del mondo.