Gli avevano chiesto di stare in un angolo. Di aspettare un turno in silenzio o al massimo di correre alle primarie per vedere l’effetto che faceva. Se fossimo in Italia, le parole del segretario del Ps Jean-Christophe Cambadelis, riportate da Le Monde, sarebbero un po’ come la profezia di Fassino sul Movimento 5 stelle: “Gioca al ‘trattenetemi o faccio qualcosa di brutto’, ma non ha spazio per andare da solo”. Detto, fatto. Era il 31 agosto 2016 e il ministro dell’Economia Emmanuel Macron lasciava il governo Valls dopo due anni di lavoro sotto la presidenza di François Hollande. Lui, pupillo dell’ex presidente uscente, aveva creato ad aprile 2016 il movimento “En Marche!” facendo credere a tutti che la sua fosse una specie di giovanile per rilanciare il partito. Aveva altro in testa. La corsa di Macron comincia così sul finire dell’estate e in pochi mesi il 39enne può ambire alla poltrona della presidenza. A settembre qualcuno ci prova a implorarlo di restare: “Che partecipi alle primarie”, gli dicono da più parti. Ma questo avrebbe voluto dire sfidare l’ex primo ministro Manuel Valls e logorarsi, secondo la sua ottica, nelle lunghe battaglie politiche interne. Quindi senza pensarci troppo, e mentre tutti lo accusano tra i drammi di essere un traditore, rinuncia e va per la sua strada.

I francesi, sarà per il tempo che minaccia xenofobia e razzismo, ma decidono di premiarlo: il solo fatto di aver sbattuto la porta in faccia al partito, gli fa ottenere l’etichetta di anti sistema. La magia a Emmanuel Macron riesce in poche settimane: ex ministro dell’Economia in uno dei periodi più difficili in quanto a tagli e manovre per la presidenza Hollande, ma soprattutto ex banchiere a Rothschild in un’epoca in cui aver lavorato per le banche equivale a dire di essere una creatura demoniaca, diventa all’improvviso il giovane rampollo che sfida l’establishment. Nemmeno il fatto di aver studiato all’Ena (école national d’administration) gli fa perdere consensi: è la scuola dove passa tutta la classe dirigente francese, presidenti della Repubblica in primis, e che per molti è il simbolo del classismo del sistema, ma per Macron si fa finta che non sia mai successo. Nel suo curriculum le ha tutte: ispettore delle finanze, quindi nel 2008 assunto da Rothschild di cui diviene socio. All’Eliseo arriva nel 2012 con Hollande: è il suo segretario generale aggiunto ed è regista di tutte le prime riforme economiche del presidente, quindi anche quelle che gli saranno più contestate. Per un pelo non diventa ministro del Bilancio nel governo Valls nel 2014, ma strappa la poltrona dell’Economia al posto di Arnaud Montebourg pochi mesi dopo. Tra i suoi interventi c’è addirittura la legge sul lavoro che porta il nome della ministra El Khomry, il Jobs act alla francese, e che trascinerà nelle piazze centinaia di migliaia di francesi. Lui la difende e anzi chiede di andare oltre, modificando il limite massimo delle 35 ore settimanali per ciascun dipendente: è il segno che il ragazzo può parlare a un elettorato non solo socialista.

In un clima di disaffezione alla politica e rabbia sociale, Macron arriva sulla scena con i modi felpati del vincitore. Rompe gli indugi il 16 novembre mentre è in visita a un centro di formazione per i lavoratori a Bobigny, banlieue di Parigi che mesi dopo sarà protagonista di rivolte per lo stupro di un ragazzo da parte della polizia. “Voglio unire i francesi, non la destra o la sinistra”, dice il neocandidato. E’ l’inizio di un’operazione per convincere tutti che lui è la soluzione per la Francia per evitare il buio nella ville lumière. La verità è che a Macron viene facile e lo aiutano tutti. Prima ci sono le primarie fratricide dei socialisti: lui, non solo li osserva da fuori senza commentare, ma nemmeno presenta il suo programma per evitare che i candidati del Ps parlino di lui e distolgano l’attenzione dall’uccidersi l’uno con l’altro. Finito il calvario, per gli altri, decide che nascondersi dietro il suo libro Révolution ogni volta che gli chiedono del suo piano è una strategia che non può durare per sempre e quindi svela i suoi punti per rilanciare il Paese. Neanche il tempo per gli esperti di analizzarne la fattibilità, che il destino galantuomo punisce il favorito François Fillon: scoppia lo scandalo dei presunti impieghi fittizi a moglie e figli e viene praticamente eliminato dai pronostici.

Quanto a Macron, in tutta la campagna fa un solo passo falso quando va in visita in Algeria: definisce la colonizzazione un crimine contro l’umanità e si guadagna le critiche di chi lo accusa di voler rinnegare la storia della Francia. La risposta rievoca uno dei suoi modelli, Charles De Gaulle: “Je vous ai compris”, dice chiedendo scusa. Funziona. Come funziona lo stesso tono che usa al grande meeting di Lione a inizio febbraio: “Je vous aime farouchement”, dice con le mani aggrappate al suo leggio, che significa più o meno “vi amo ferocemente”. Le frasi sono sempre quelle: “Io sono pronto”, “sono qui per guidarvi e per proteggervi”. Quasi sussurra ai francesi e loro ci credono che andrà tutto bene. A finire la sua immagine di vincitore c’è la moglie, Brigitte Trogneux. E’ la sua ex professoressa ed è più anziana di lui di 24 anni. La leggenda, verificata e confermata dai due, vuole che lui le avesse promesso che sarebbe tornato a prenderla una volta maggiorenne. Così è stato dopo il primo matrimonio di lei e quando aveva abbastanza barba sul viso. Una storia a dir poco romantica, che ha scatenato tutti i giornali francesi e gli avversari politici. Con un gossip che perseguita Macron: voci, soprattutto provenienti da ambienti Front National e sempre smentite, lo accusano di essere omosessuale e di essere in coppia con Mathieu Gallet di Radio France. Lui ha risposto pubblicamente: “Se fosse vero lo direi e vivrei la mia relazione”. Una frase che tra le altre cose gli ha fatto guadagnare l’appoggio di tutto il mondo omosessuale francese. Fine della storia.

Il quasi nuovo Macron arriva così sulla scena politica francese, ai tempi di una crisi politica ed economica senza precedenti e in un clima di disillusione per chi siede nelle stanze del potere capace di abbattere qualunque giovane prodigio. Alle spalle ha solo un movimento, En Marche, liquido e con un grande punto interrogativo sui finanziamenti (impossibile che gli bastino solo le donazioni dei suoi supporter), ma che soprattutto ora dovrà strutturarsi se vuole avere una specie di maggioranza alle legislative. Ma Macron l’ha detto dal palco di Porte de Versailles, la notte dopo i risultati del primo turno: “Io sono pronto”. Per ora ci credono tutti.

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