Il “passeur citoyen” è stato assolto. Il suo gesto “non costituisce reato”, ma è un gesto umanitario, come quello dei pescatori che salvano i migranti naufragati. Per questo il tribunale di Imperia oggi ha discolpato Félix Croft, 28enne di Vence (vicino a Nizza), dall’accusa di aver favorito la migrazione clandestina di una famiglia di cinque sudanesi che da Ventimiglia, dove erano accampati insieme a centinaia di altri profughi, volevano raggiungere la Francia per poi proseguire verso il Nord Europa. Il 28enne rischiava una condanna a tre anni e quattro mesi di carcere, la pena chiesta per lui dal procuratore aggiunto Grazia Pradello, ma il collegio presieduto da Donatella Aschero ha respinto questa richiesta permettendo a Croft di uscire dal tribunale da innocente. Non dovrà pagare neanche un’ammenda, come è successo a Cédric Herrou, il contadino francese condannato dal tribunale di Nizza a pagare tremila euro per aver portato quasi duecento profughi dall’Italia in Francia.
Croft di migranti ne avrebbe portati soltanto cinque, senza neanche riuscire a valicare il confine. La scorsa estate il giovane francese faceva il volontario a Ventimiglia insieme ad altri “No Border”: “Andavo regolarmente a Ventimiglia per aiutare i volontari che distribuiscono cibo”, aveva raccontato in aula durante il suo esame. Un impegno umanitario, il suo, cominciato durante le manifestazioni dei giovani delle “Nuits debout” a Nizza e proseguito con una piccola esperienza di volontariato nel campo profughi di Dunkerque, nel Nord della Francia. A Ventimiglia, distribuendo pasti negli accampamenti, viene a conoscenza della situazione di questa famiglia africana. Lui e la sua ragazza, laureata in psicologia vanno a trovarli per dare un po’ di sostegno morale. Gli africani aspettano da giorni di varcare il confine, ma non hanno soldi per pagare un biglietto del treno o un passeur, vogliono passare la frontiera, andare in Francia e da lì risalire verso la Germania, dove affermano di avere dei parenti. Chiedono a Croft un passaggio, lui all’inizio si rifiuta, ma dopo aver sentito il racconto della loro fuga da un villaggio in fiamme in Darfur e dopo aver visto le ustioni sul corpo di uno dei bambini decide di darsi da fare: “Ho visto coi miei occhi le ustioni del bambino – ha spiegato nel corso della sua deposizione in aula -. A partire da quel momento mi è apparso che non ci fosse altro da fare”. Il 22 luglio, intorno alle dieci di sera, li carica sulla sua auto e si dirige verso la frontiera, ma un’auto dei carabinieri li nota e i militari decidono di controllarli. Li fermano e li portano in caserma perché i migranti non avevano documenti. Lì rifiutano i rilievi dattiloscopici, compilano la scheda di autocertificazione dei loro dati personali e poi vengono affidati alla Caritas, mentre Croft passa qualche notte in cella. “Ma lei sapeva di commettere un reato?”, gli aveva chiesto il procuratore aggiunto nell’udienza del 16 febbraio. “Sì”, ha risposto con una certa fierezza.
Il 16 marzo scorso la pm ne ha chiesto la condanna, ma la sua ricostruzione è stata bocciata dai giudici del tribunale. “È una sentenza importante perché riconosce la cosiddetta ‘clausola umanitaria’ per l’aiuto dei migranti più bisognosi – spiega l’avvocata Laura Martinelli che difende il francese insieme all’avvocata Ersilia Ferrante -. Questa scriminante è stata utilizzata per i pescatori che soccorrono i migranti in mare, non mi risulta sia stata utilizzata altre volte per casi simili”. Secondo Martinelli è una sentenza che, in questi giorni, assume un particolare significato: “Riconosce che gli atti di solidarietà come quello di Felix non sono un reato ed è importante adesso che certe organizzazioni solidali sono messe sotto accusa”.