Mai come nel processo contro Mafia Capitale si sono avute tante prove per dimostrare la corruzione tra funzionari pubblici e imprenditori corrotti: dalle migliaia di pagine di intercettazioni, dai pedinamenti e grazie alle microspie e agli accertamenti finanziari, emerge un insieme di prove che è il “karaoke della corruzione“. Il procuratore aggiunto Paolo Ielo e il sostituto Luca Tescaroli avevano chiuso così la penultima parte della requisitoria del processo ai 46 imputati da due anni alla sbarra nell’aula bunker di Rebibbia. Una mafia nuova senza apparirlo davvero, che ha fatto il salto di qualità passando dalla strada agli appalti e che non ha bisogno di imporre la propria forza con la violenza, perché può contare su un “capitale criminale originario” che ha le radici in quella Roma in cui comandavano la banda della Magliana e l’eversione nera. Una mafia che ha retto alla prova del processo perché “totalmente inattendibili” i principali imputati, Salvatore Buzzi e Massimo Carminati.
Chiesti complessivamente 515 anni di carcere per 46 imputati
Un quadro così complesso ha portato a richieste di pena severe. Secondo i pm Carminati deve essere condannato a 28 anni di carcere: l’ex Nar è ritenuto dalla procura il capo e l’organizzatore dell’associazione mafiosa. Quando il pm ha chiesto che fosse riconosciuto come delinquente abituale l’imputato ha alzato le braccia al cielo in segno di vittoria. A Salvatore Buzzi, il ras delle Cooperative, secondo la procura devono essere inflitti 26 anni e 3 mesi di carcere. L’aggiunto Ielo e i sostituti Giuseppe Cascini e Tescaroli, hanno impiegato quattro udienze per indicare le prove e le verifiche effettuate che sono alla base delle loro richieste. Diciannove anni e 6 mesi invece la richiesta per Luca Gramazio, ex consigliere prima del comune di Roma e poi della Regione Lazio per Forza Italia, e 21 anni per Franco Panzironi, ex ad di Ama. Le accuse per i 46 imputati, vanno, a seconda delle posizioni, dalla corruzione, alla turbativa d’asta, l’usura, fino all’associazione mafiosa. Il gruppo, secondo la procura di Roma, avrebbe condizionato per anni, con tangenti e minacce la gestione di appalti e risorse della pubblica amministrazione. Sono complessivamente 515 gli anni chiesti.
A 19 dei 46 imputati, tra cui Carminati, Buzzi, Panzironi, Gramazio, Brugia e Testa, la procura contesta l’associazione di stampo mafioso. La procura ha poi chiesto per Riccardo Brugia 25 anni e 10 mesi; per Franco Testa 22 anni; per Cristiano Guarnera 16 anni; per Giuseppe Ietto 16 anni e 2 mesi; per Agostino Gaglianone 18 anni; per Carlo Pucci 19 anni; per Roberto Lacopo 21 anni; per Matteo Calvio 21 anni; per Nadia Cerrito 18 anni (segretaria di Buzzi); per Carlo Maria Guarany 19 anni (imprenditore); per Alessandra Garrone 18 anni e 6 mesi; per Paolo Di Ninno 19 anni; per Claudio Caldarelli 19 anni; per Rocco Rotolo 16 anni; per Salvatore Ruggiero 16 anni; per Claudio Bolla 9 anni; per Emanuela Bugitti 9 anni; per Stefano Bravo 4 anni e 2 mesi; per Mario Cola 4 anni; per Mirko Coratti 4 anni e 6 mesi (presidente dell’Assemblea capitolina, Pd); per Sandro Coltellacci 9 anni; per Michele Nacamulli 3 anni e 6 mesi; per Giovanni De Carlo 4 anni; per Antonio Esposito 4 anni; per Giovanni Lacopo G. 7 anni; per Franco Figurelli 4 anni e 10 mesi; per Claudio Turella 7 anni; per Giovanni Fiscon 5 anni; per Guido Magrini 4 anni; per Giuseppe Moiani 6 anni; per Sergio Menichelli 4 anni; per Marco Placidi 4 anni; per Mario Schina 4 anni; per Angelo Scozzafava 5 anni; per Fabio Stefoni 4 anni; per Andrea Tassone 4 anni (presidente del X municipio di Ostia, Pd); per Giordano Tredicine 4 anni (vicepresidente dell’assemblea capitolina, Fi); per Luca Odevaine 2 anni e 6 mesi; per Pierpaolo Pedetti 4 anni (presidente della commissione Patrimonio e politiche abitative, Pd); per Tiziano Zuccolo 3 anni 6 mesi; per Daniele Pulcini 3 anni; per Pierina Chiaravalle 4 anni.
L’aggiunto Ielo: “Appalti pubblici gestiti come fette di caciotta”
“La fama criminale determina paura, assoggettamento e omertà, che sono le caratteristiche di un’organizzazione mafiosa”, sostiene l’accusa, secondo cui era questo aiuto che l’imprenditore Salvatore Buzzi si assicurava pagando il 50 per cento degli utili a Massimo Carminati: secondo i pm l’imprenditore aveva scelto il ‘cecato’ per il timore che incuteva il suo nome, per i suoi contatti con la destra romana, e soprattutto per avere un socio sempre pronto al ‘lavoro sporcò fatto di minacce, e violenza contro chi non stava ai patti dettati dall’associazione. Una organizzazione in cui tutti i componenti “avevano la consapevolezza di farvi parte” e per tutti era ben chiaro il ruolo da svolgere secondo la procura di Roma. Carminati, il ‘portatore’ di violenza con passato criminale, Buzzi “che mette a disposizione un capitale istituzionale e i rapporti con la ‘ndrangheta”. Le “cerniere” con la politica garantite da Panzironi e Gramazio. Quella struttura criminale tracciata dall’accusa e che, a detta della Procura, “regge dal 2011” non uscendo “depotenziata” dalle oltre cento udienze del processo. “Gli appalti della pubblica amministrazione sono stati gestiti come fette di una caciotta, un qualcosa da spartire e non certo facendo attenzione al bene comune – ha detto Ielo – in questa storia, in nome dell’emergenza si è passati troppe volte sopra le regole”.
Difesa Buzzi: “Ennesima forzatura della Procura”
“L’entità delle pene richieste non ci stupisce ma troviamo esagerate quelle fatte nei confronti di alcuni soggetti ritenuti solo partecipi e non promotori della presunta associazione mafiosa come il benzinaio Roberto Lacopo per il quale hanno chiesto ventuno anni di reclusione – dice l’avvocato Ippolita Naso, difensore di Carminati -. Ora la parola passa alle difese e non vediamo l’ora di poter replicare alle argomentazioni dei pubblici ministeri“.
“Con assoluta serenità assistiamo a questa ennesima forzatura con la quale la Procura della Repubblica di Roma ha chiuso il processo di Mafia Capitale. Le richieste di pena – affermano in nota gli avvocati Alessandro Diddi e Pier Gerardo Santoro, difensori di Buzzi -dimostrano come la Procura abbia perso una grande occasione per riparametrare il trattamento sanzionatorio richiesto alle esatte dimensioni di un fenomeno che il dibattimento ha dimostrato non avere nessuna somiglianza a quello mafioso. Il dibattimento ha praticamente demolito tutti gli elementi accusatori delineati nel corso delle indagini. Spiace – concludono – che una Procura cosi attenta e autorevole non abbia saputo cogliere l’occasione, con la pacatezza che un impegno tanto importante avrebbe richiesto, per ricondurre nei giusti confini le vicende di un imprenditore che nel corso degli anni ha dovuto barcamenarsi tra le costanti e continue richieste provenienti dalla politica“.
Sentenza entro la prima metà di luglio
Dopo le richieste dell’accusa, le udienze del 2 e 3 maggio saranno dedicate alle parti civili e dall’8 maggio inizieranno le arringhe difensive: ogni settimana verranno prese in esame 12 posizioni processuali, a cominciare da quelle con il minor numero di capi d’accusa. A giugno prenderanno la parola gli avvocati delle persone ritenute a capo della presunta associazione: il 5 e il 6 giugno, in particolare, sono previsti gli interventi degli avvocati Alessandro Diddi e Piergerardo Santoro, per gli imputati Salvatore Buzzi, la sua compagna Alessandra Garrone, il commercialista Paolo Di Ninno, e la sua collaboratrice Emanuela Bugitti. Mentre il 12 e il 13 giugno saranno gli avvocati Bruno e Ippolita Naso a parlare, davanti alla corte presieduta da Rosanna Iannello, per Massimo Carminati, e i suoi stretti collaboratori Fabrizio Franco Testa e Riccardo Brugia. Se verrà rispettato il calendario fin qui stabilito, la sentenza potrebbe arrivare entro la prima metà di luglio.
Lo scorso 7 febbraio il gip di Roma ha archiviato 113 posizioni: tra cui Gianni Alemanno e Nicola Zingaretti come richiesto dalla Procura. Il processo a Mafia Capitale “ha resistito ad ogni usura probatoria”: l’associazione mafiosa contestata agli imputati è “la stessa del 2011. Non si è sgonfiato nulla” aveva detto Ielo all’inizio della requisitoria sottolineando che le tante archiviazioni sono state fatte perché “c’erano
duplicazioni, mentre altre posizioni generavano da dichiarazioni di Buzzi che richiedevano verifiche”. “Il cuore” del processo, aveva aggiunto Ielo, sono le intercettazioni. Telefonate “spontanee e credibili” che la procura chiede al Tribunale di ascoltare di nuovo: “sentitele e diteci se quello è il tono di quattro chiacchiere di amici al bar”. Ielo aveva anche risposto indirettamente a Carminati che nel suo interrogatorio aveva detto di essere ancora in guerra. “La procura non è in guerra con nessuno – aveva sottolineato – l’azione penale si è esercitata per tutti”. Dunque “l’ufficio non ha giocato barando, in questo come in altri processi”.
Giustizia & Impunità
Mafia Capitale, pm: “Karaoke della corruzione” e chiede 28 anni per Carminati e 26 anni e 3 mesi per Buzzi
L'aggiunto Ielo e i sostituti Giuseppe Cascini e Tescaroli, hanno impiegato quattro udienze per indicare le prove e le verifiche effettuate che sono alla base delle loro richieste. Diciannove anni e 6 mesi invece la richiesta per Luca Gramazio, ex consigliere prima del comune di Roma e poi della Regione Lazio, e 21 anni per Franco Panzironi, ex ad di Ama
Mai come nel processo contro Mafia Capitale si sono avute tante prove per dimostrare la corruzione tra funzionari pubblici e imprenditori corrotti: dalle migliaia di pagine di intercettazioni, dai pedinamenti e grazie alle microspie e agli accertamenti finanziari, emerge un insieme di prove che è il “karaoke della corruzione“. Il procuratore aggiunto Paolo Ielo e il sostituto Luca Tescaroli avevano chiuso così la penultima parte della requisitoria del processo ai 46 imputati da due anni alla sbarra nell’aula bunker di Rebibbia. Una mafia nuova senza apparirlo davvero, che ha fatto il salto di qualità passando dalla strada agli appalti e che non ha bisogno di imporre la propria forza con la violenza, perché può contare su un “capitale criminale originario” che ha le radici in quella Roma in cui comandavano la banda della Magliana e l’eversione nera. Una mafia che ha retto alla prova del processo perché “totalmente inattendibili” i principali imputati, Salvatore Buzzi e Massimo Carminati.
Chiesti complessivamente 515 anni di carcere per 46 imputati
Un quadro così complesso ha portato a richieste di pena severe. Secondo i pm Carminati deve essere condannato a 28 anni di carcere: l’ex Nar è ritenuto dalla procura il capo e l’organizzatore dell’associazione mafiosa. Quando il pm ha chiesto che fosse riconosciuto come delinquente abituale l’imputato ha alzato le braccia al cielo in segno di vittoria. A Salvatore Buzzi, il ras delle Cooperative, secondo la procura devono essere inflitti 26 anni e 3 mesi di carcere. L’aggiunto Ielo e i sostituti Giuseppe Cascini e Tescaroli, hanno impiegato quattro udienze per indicare le prove e le verifiche effettuate che sono alla base delle loro richieste. Diciannove anni e 6 mesi invece la richiesta per Luca Gramazio, ex consigliere prima del comune di Roma e poi della Regione Lazio per Forza Italia, e 21 anni per Franco Panzironi, ex ad di Ama. Le accuse per i 46 imputati, vanno, a seconda delle posizioni, dalla corruzione, alla turbativa d’asta, l’usura, fino all’associazione mafiosa. Il gruppo, secondo la procura di Roma, avrebbe condizionato per anni, con tangenti e minacce la gestione di appalti e risorse della pubblica amministrazione. Sono complessivamente 515 gli anni chiesti.
A 19 dei 46 imputati, tra cui Carminati, Buzzi, Panzironi, Gramazio, Brugia e Testa, la procura contesta l’associazione di stampo mafioso. La procura ha poi chiesto per Riccardo Brugia 25 anni e 10 mesi; per Franco Testa 22 anni; per Cristiano Guarnera 16 anni; per Giuseppe Ietto 16 anni e 2 mesi; per Agostino Gaglianone 18 anni; per Carlo Pucci 19 anni; per Roberto Lacopo 21 anni; per Matteo Calvio 21 anni; per Nadia Cerrito 18 anni (segretaria di Buzzi); per Carlo Maria Guarany 19 anni (imprenditore); per Alessandra Garrone 18 anni e 6 mesi; per Paolo Di Ninno 19 anni; per Claudio Caldarelli 19 anni; per Rocco Rotolo 16 anni; per Salvatore Ruggiero 16 anni; per Claudio Bolla 9 anni; per Emanuela Bugitti 9 anni; per Stefano Bravo 4 anni e 2 mesi; per Mario Cola 4 anni; per Mirko Coratti 4 anni e 6 mesi (presidente dell’Assemblea capitolina, Pd); per Sandro Coltellacci 9 anni; per Michele Nacamulli 3 anni e 6 mesi; per Giovanni De Carlo 4 anni; per Antonio Esposito 4 anni; per Giovanni Lacopo G. 7 anni; per Franco Figurelli 4 anni e 10 mesi; per Claudio Turella 7 anni; per Giovanni Fiscon 5 anni; per Guido Magrini 4 anni; per Giuseppe Moiani 6 anni; per Sergio Menichelli 4 anni; per Marco Placidi 4 anni; per Mario Schina 4 anni; per Angelo Scozzafava 5 anni; per Fabio Stefoni 4 anni; per Andrea Tassone 4 anni (presidente del X municipio di Ostia, Pd); per Giordano Tredicine 4 anni (vicepresidente dell’assemblea capitolina, Fi); per Luca Odevaine 2 anni e 6 mesi; per Pierpaolo Pedetti 4 anni (presidente della commissione Patrimonio e politiche abitative, Pd); per Tiziano Zuccolo 3 anni 6 mesi; per Daniele Pulcini 3 anni; per Pierina Chiaravalle 4 anni.
L’aggiunto Ielo: “Appalti pubblici gestiti come fette di caciotta”
“La fama criminale determina paura, assoggettamento e omertà, che sono le caratteristiche di un’organizzazione mafiosa”, sostiene l’accusa, secondo cui era questo aiuto che l’imprenditore Salvatore Buzzi si assicurava pagando il 50 per cento degli utili a Massimo Carminati: secondo i pm l’imprenditore aveva scelto il ‘cecato’ per il timore che incuteva il suo nome, per i suoi contatti con la destra romana, e soprattutto per avere un socio sempre pronto al ‘lavoro sporcò fatto di minacce, e violenza contro chi non stava ai patti dettati dall’associazione. Una organizzazione in cui tutti i componenti “avevano la consapevolezza di farvi parte” e per tutti era ben chiaro il ruolo da svolgere secondo la procura di Roma. Carminati, il ‘portatore’ di violenza con passato criminale, Buzzi “che mette a disposizione un capitale istituzionale e i rapporti con la ‘ndrangheta”. Le “cerniere” con la politica garantite da Panzironi e Gramazio. Quella struttura criminale tracciata dall’accusa e che, a detta della Procura, “regge dal 2011” non uscendo “depotenziata” dalle oltre cento udienze del processo. “Gli appalti della pubblica amministrazione sono stati gestiti come fette di una caciotta, un qualcosa da spartire e non certo facendo attenzione al bene comune – ha detto Ielo – in questa storia, in nome dell’emergenza si è passati troppe volte sopra le regole”.
Difesa Buzzi: “Ennesima forzatura della Procura”
“L’entità delle pene richieste non ci stupisce ma troviamo esagerate quelle fatte nei confronti di alcuni soggetti ritenuti solo partecipi e non promotori della presunta associazione mafiosa come il benzinaio Roberto Lacopo per il quale hanno chiesto ventuno anni di reclusione – dice l’avvocato Ippolita Naso, difensore di Carminati -. Ora la parola passa alle difese e non vediamo l’ora di poter replicare alle argomentazioni dei pubblici ministeri“.
“Con assoluta serenità assistiamo a questa ennesima forzatura con la quale la Procura della Repubblica di Roma ha chiuso il processo di Mafia Capitale. Le richieste di pena – affermano in nota gli avvocati Alessandro Diddi e Pier Gerardo Santoro, difensori di Buzzi -dimostrano come la Procura abbia perso una grande occasione per riparametrare il trattamento sanzionatorio richiesto alle esatte dimensioni di un fenomeno che il dibattimento ha dimostrato non avere nessuna somiglianza a quello mafioso. Il dibattimento ha praticamente demolito tutti gli elementi accusatori delineati nel corso delle indagini. Spiace – concludono – che una Procura cosi attenta e autorevole non abbia saputo cogliere l’occasione, con la pacatezza che un impegno tanto importante avrebbe richiesto, per ricondurre nei giusti confini le vicende di un imprenditore che nel corso degli anni ha dovuto barcamenarsi tra le costanti e continue richieste provenienti dalla politica“.
Sentenza entro la prima metà di luglio
Dopo le richieste dell’accusa, le udienze del 2 e 3 maggio saranno dedicate alle parti civili e dall’8 maggio inizieranno le arringhe difensive: ogni settimana verranno prese in esame 12 posizioni processuali, a cominciare da quelle con il minor numero di capi d’accusa. A giugno prenderanno la parola gli avvocati delle persone ritenute a capo della presunta associazione: il 5 e il 6 giugno, in particolare, sono previsti gli interventi degli avvocati Alessandro Diddi e Piergerardo Santoro, per gli imputati Salvatore Buzzi, la sua compagna Alessandra Garrone, il commercialista Paolo Di Ninno, e la sua collaboratrice Emanuela Bugitti. Mentre il 12 e il 13 giugno saranno gli avvocati Bruno e Ippolita Naso a parlare, davanti alla corte presieduta da Rosanna Iannello, per Massimo Carminati, e i suoi stretti collaboratori Fabrizio Franco Testa e Riccardo Brugia. Se verrà rispettato il calendario fin qui stabilito, la sentenza potrebbe arrivare entro la prima metà di luglio.
Lo scorso 7 febbraio il gip di Roma ha archiviato 113 posizioni: tra cui Gianni Alemanno e Nicola Zingaretti come richiesto dalla Procura. Il processo a Mafia Capitale “ha resistito ad ogni usura probatoria”: l’associazione mafiosa contestata agli imputati è “la stessa del 2011. Non si è sgonfiato nulla” aveva detto Ielo all’inizio della requisitoria sottolineando che le tante archiviazioni sono state fatte perché “c’erano
duplicazioni, mentre altre posizioni generavano da dichiarazioni di Buzzi che richiedevano verifiche”. “Il cuore” del processo, aveva aggiunto Ielo, sono le intercettazioni. Telefonate “spontanee e credibili” che la procura chiede al Tribunale di ascoltare di nuovo: “sentitele e diteci se quello è il tono di quattro chiacchiere di amici al bar”. Ielo aveva anche risposto indirettamente a Carminati che nel suo interrogatorio aveva detto di essere ancora in guerra. “La procura non è in guerra con nessuno – aveva sottolineato – l’azione penale si è esercitata per tutti”. Dunque “l’ufficio non ha giocato barando, in questo come in altri processi”.
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Ucraina, nuova offensiva nel Kursk russo. Kiev: ‘Nemici colti di sorpresa’. Mosca: ‘Attacco respinto’
Perugia, 5 gen. (Adnkronos) - Ha sparato con la pistola di servizio (Glock 17 cal. 9) regolarmente detenuta un colpo alla moglie 29enne, romena, per poi spararsi alla tempia. Sono i dettagli emersi dalla ricostruzione dell'omicidio-suicidio avvenuto questa mattina a Gualdo Tadino, nella frazione Gaifana, in una abitazione in via degli Ulivi.
L'uomo, una guardia giurata di 38 anni, è stato trovato senza vita accanto alla vittima. I rilievi ancora in corso, a cura della Sezione rilievi del Nucleo Investigativo di Perugia e Compagnia Carabinieri di Gubbio, confermano la dinamica. Secondo gli investigatori, il movente sarebbe legato a dissidi coniugali. Sul posto il medico legale e il sostituto procuratore di turno.
Roma, 5 gen. (Adnkronos) - Una pronuncia del Consiglio regionale della Sardegna sulla decadenza della presidente della Regione Alessandra Todde per presunte irregolarità sul rendiconto delle spese elettorali non è ipotizzabile nell'immediato. "Secondo la Corte costituzionale (sent. 387/1996) la questione della pronuncia del Consiglio regionale sulla decadenza si porrà solo nel momento in cui il provvedimento diventerà 'definitivo'". A indicare la significativa sentenza della Consulta è il professore ordinario di Diritto pubblico all'università di Roma Tor Vergata, Giovanni Guzzetta che, analizzando all'Adnkronos una vicenda ingarbugliata sia sul fronte politico che giudiziario, rileva anche che"il giudizio del Consiglio regionale è sempre sindacabile in sede giurisdizionale".
Pertanto, "immaginando che la Presidente della Regione Sardegna impugni effettivamente l’atto, sul piano giudiziario i tempi non saranno brevi: la lunghezza dei tempi si trasforma in una prolungata spada di Damocle 'politica' sulla Presidente e sulla sua legittimazione. E qui, subentrano tutte le valutazioni di opportunità che non spetta a me fare".
Secondo il costituzionalista, "la vicenda è molto complessa perché ha evidentemente implicazioni politiche e giuridiche ma le letture appaiono molto semplificate e assertive". "Sul piano politico - analizza - ci troviamo di fronte ad una ordinanza-ingiunzione che contesta gravi violazioni della disciplina in materia di spese elettorali e relativa rendicontazione. In base alla legislazione vigente applicabile anche alla regione Sardegna, a seguito dell’accertamento di tali violazioni consegue anche la sanzione accessoria della decadenza, in quanto si concretizza una causa di ineleggibilità del consigliere regionale che si riflette sulla carica di presidente della Regione, perché, in base alla disciplina vigente ribadita dalla stessa legislazione sarda, il Presidente non può non essere anche membro del consiglio regionale. Sul piano politico la rilevanza della questione, e quindi le conseguenze in termini di opportunità, sono rimesse alle valutazioni degli interessati e al dibattito politico".
"Sul piano giuridico quello che succede è che il provvedimento, che è immediatamente esecutivo, è comunque un provvedimento amministrativo, sebbene adottato da un organo particolarmente autorevole in quanto istituito presso la Corte d’Appello e presieduto dal Presidente della Corte d’Appello. A tale provvedimento si può fare opposizione davanti al giudice ordinario, cui spetta anche decidere se sospenderne o meno l’esecutività. Secondo la Corte costituzionale (sent. 387/1996) la questione della pronuncia del Consiglio regionale sulla decadenza si porrà nel momento in cui il provvedimento diventerà “definitivo” (cioè una volta esauriti i gradi di giudizio di impugnazione dell’ordinanza o qualora tale impugnazione non ci sia, nei termini di 30 giorni dall’adozione del provvedimento). Da questa sentenza della Corte costituzionale sembrerebbe dunque che fino a quel momento il Consiglio non possa pronunciarsi, anche se il provvedimento del Collegio regionale di Garanzia rimanesse esecutivo".
Guzzetta osserva che "in questa prospettiva, immaginando che la Presidente della Regione Sardegna impugni effettivamente l’atto bisognerà attendere i vari gradi di giudizio e potrebbero passare mesi. Nel momento in cui il provvedimento, confermato dai giudici, divenisse effettivamente definitivo spetterebbe al Consiglio regionale dichiarare la decadenza. Sui poteri del Consiglio in questa materia c’è molta confusione, perché si tende a pensare in modo analogo a quello che vale per le Camere. Ma c’è una fondamentale differenza. Le Camere sono organi costituzionali e la Costituzione riserva a esse in via esclusiva la valutazione della decadenza. Lo stesso principio non vale per i Consigli regionali, le cui deliberazioni sono impugnabili davanti al giudice ordinario secondo i principi generali che valgono in questa materia, peraltro ribaditi dalla stessa legge statutaria della regione Sardegna 2007 articolo 26 comma 9. Questo vuol dire che i margini di valutazione dei Consiglio regionale sono comunque più ristretti, perché le loro scelte sono sindacabili quanto al rispetto delle norme sulla decadenza".
"Il controllo del Consiglio regionale, dunque, è vincolato dal quadro normativo e non può ritenersi politicamente libero. Il che non vuol dire che il suo voto sia una formalità (possono essere rilevati vizi procedurali ad esempio), ma certo la valutazione non è meramente politica. Né la legge ordinaria potrebbe riconoscere ai consigli regionali quella garanzia di insindacabilità degli atti che è assicurata dalla Costituzione alle Camere - sottolinea il professore di Tor Vergata - Questo peraltro vale per tutti i casi in cui i Consigli regionali accertino cause di decadenza. Le dichiarazioni di decadenza sono impugnabili davanti al giudice ordinario. Al limite possono ipotizzarsi anche dei conflitti di attribuzione davanti alla Corte costituzionale tra Regione e autorità giudiziaria".
"Sul piano giudiziario, dunque, i tempi non saranno brevi.Sul piano politico, ovviamente, la lunghezza dei tempi si trasforma in una prolungata spada di Damocle 'politica' sulla Presidente e sulla sua legittimazione. E qui, subentrano tutte le valutazioni di opportunità che non spetta a me fare", conclude il costituzionalista. (di Roberta Lanzara)
Roma, 5 gen. (Adnkronos) - Papa Francesco ha ricevuto una targa con riflessioni su Gesù da parte della Guida suprema iraniana, l'Ayatollah Ali Khamenei. Secondo quanto rende noto l'agenzia di stampa Irna, la targa è stata consegnata al Pontefice dall'ambasciatore iraniano presso la Santa Sede, Mohammad Hossein Mokhtari, ricevuto nei giorni scorsi.
''Se Gesù fosse tra noi oggi - scrive Khamenei - non esiterebbe un attimo a combattere i leader dell'oppressione e dell'arroganza globale. Non tollererebbe la fame e lo sfollamento di miliardi di persone spinte dalle potenze egemoniche verso la guerra, la corruzione e la violenza".
Partendo dal fatto che ''l'importanza di Gesù per i musulmani non è senza dubbio inferiore alla sua importanza e stima agli occhi dei devoti cristiani'', il testo sottolinea che ''questo grande profeta divino ha trascorso tutto il suo tempo tra il popolo in lotta per opporsi all'oppressione, all'aggressione e alla corruzione'' e ''a coloro che usavano la loro ricchezza e il loro potere per schiavizzare le nazioni e trascinarle nell'inferno di questo mondo e dell'aldilà''.
Nelle riflessioni di Khamenei è contenuto un invito: ''Cristiani e musulmani che credono in questo grande profeta devono rivolgersi ai suoi insegnamenti per stabilire un giusto ordine mondiale. Devono promuovere le virtù umane come sono state insegnate da questi maestri dell'umanità''. Quindi, prosegue il testo, ''per essere un seguace di Gesù Cristo bisogna sostenere la verità e rifiutare i poteri che vi si oppongono. Si spera che i cristiani e i musulmani in ogni angolo del mondo manterranno viva questa profonda lezione del profeta Gesù nelle loro vite e azioni'', auspica il leader iraniano.
Perugia, 5 gen. (Adnkronos) - Marito e moglie sono stati trovati morti nell'abitazione nella quale vivevano a Gualdo Tadino, in provincia di Perugia. Sul posto sono intervenuti i carabinieri che indagano sull'ipotesi di omicidio-suicidio. Da una prima ricostruzione si tratta di una coppia giovane, i due avevano una trentina di anni. L'uomo, dai primissimi accertamenti, avrebbe ucciso la donna per poi togliersi la vita.
Milano, 5 gen. (Adnkronos) - Sono in corso le indagini dei carabinieri per fare luce sulla morte di un 28enne marocchino trovato morto ieri sera a Cisliano in provincia di Milano. E' stato un passante ieri a chiamare il 112 dopo aver notato un uomo riverso sul ciglio della strada in via Regina Elena, quasi all'incrocio con una strada provinciale. Sul posto sono intervenuti, insieme al 118, i carabinieri di Bareggio e Magenta che non hanno potuto fare altro che constatare il decesso. A quanto si apprende si indaga per omicidio perché, da una prima ispezione del medico legale, è emersa sul cadavere una lesione all'addome inferiore compatibile con un'azione violenta. Tuttavia sarà l'autopsia a fare definitivamente chiarezza.
Roma, 5 gen. (Adnkronos) - Visita lampo di Giorgia Meloni a Mar-a-Lago, dove la premier ha incontrato il presidente eletto degli Usa Donald Trump. Dopo circa 5 ore dal suo arrivo a Palm Beach, la premier è risalita sul volo che la sta riconducendo a Roma.
(Adnkronos) - Il Napoli vince 3-0 in casa della Fiorentina oggi 4 gennaio 2025 nel match valido per la 19esima giornata della Serie A. La formazione di Conte passa al Franchi con i gol di Neres (29'), Lukaku (54' su rigore) e McTominay (68'). Il successo consente al Napoli di salire a 44 punti e di conquistare il primo posto solitario in classifica con 3 punti di vantaggio sull'Atalanta e 4 sull'Inter. Bergamaschi e milanesi hanno una partita in meno.
Il Napoli parte bene e al 15' Olivera va in gol dopo lo scambio con Lukaku, ma l'azione del Napoli è viziata da due posizioni di fuorigioco dei due protagonisti dell'azione. Al 18' altro squillo del Napoli con Spinazzola che impegna De Gea. La Fiorentina non riesce ad essere pericolosa e la squadra di Conte al 26' ci prova con Neres che converge e ci prova con il mancino.
Al 29' Napoli in vantaggio: combinazione tra Neres e Lukaku, con il brasiliano che in area danza sul pallone, salta gli avversari e di destro da posizione laterale infila De Gea sotto la traversa per l'1-0. Immediata la reazione viola che al 35' manda Kean in gol, ma l'attaccante prima del tiro in porta tocca il pallone con una mano e la rete viene annullata dopo il consulto con il Var. Al 39' ancora Fiorentina pericolosa con la conclusione verso la porta di Mandragora, parata in tuffo da Meret.
Ad inizio ripresa ancora Napoli protagonista. Al 53' Neres serve McTominay ma lo scozzese in area non inquadra la porta. Il raddoppio arriva un minuto dopo. Al 54' intervento in ritardo di Moreno su Anguissa e calcio di rigore trasformato da Lukaku, per il 2-0. Palladino cambia faccia alla squadra inserendo Gosens e Colpani e al 61' arriva una clamorosa doppia occasione: prima Meret respinge il tiro da centro area di Mandragora, poi si salva anche sul tentativo di Beltran. Poi sul cross di Dodò, svetta ancora Beltran ma il pallone esce di poco a lato.
I viola riversati in avanti lasciano ampi spazi alle ripartenze del Napoli che al 63' sfiora il tris sull'asse Lukaku-Neres, ma questa volta il brasiliano conclude sull'esterno della rete. Al 68' il Napoli trova il terzo gol: ennesimo errore viola a centrocampo con Anguissa che ruba palla e si invola, sul suo cross in area Comuzzo non riesce a liberare, e McTominay arriva da dietro e mette il pallone alle spalle di De Gea per il 3-0. La Viola non si arrende nonostante il pesante passivo e al 70' arriva il tiro a giro di Sottil dal limite dell'area che esce fuori di poco. Con il passare dei minuti la pressione della Fiorentina si affievolisce con il Napoli che controlla il possesso del pallone senza correre altri rischi.