In Venezuela continuano le proteste di piazza dell’opposizione contro il governo Maduro e sale a 32 il numero dei morti durante le manifestazioni. Intanto la ministra degli esteri Delcy Rodriguez ha anticipato il ritiro del Paese dall’Organizzazione degli Stati americani dopo che l’Oas ha convocato una riunione straordinaria sulla crisi venezuelana, per discutere della “profonda preoccupazione” per la situazione. Il Parlamento europeo si è mosso denunciando “la repressione brutale” che si sta consumando nel Paese e, in una risoluzione approvata a larga maggioranza, ha chiesto all’esecutivo di Caracas di presentare un calendario elettorale che preveda elezioni libere e trasparenti “il prima possibile”. Gli eurodeputati condannano “la violazione continua dell’ordine costituzionale in Venezuela” e chiedono al governo di rispettare la separazione dei poteri e di liberare i detenuti politici. Inoltre vogliono inviare una delegazione nel Paese per dialogare con le parti e di inviare aiuti umanitari.
Da un mese le manifestazioni antigovernative sono quotidiane e, secondo gli osservatori, hanno portato in piazza le classi più povere, quelle tradizionalmente più vicine al potere socialista (e un tempo all’amatissimo ex presidente, Hugo Chavez). Il clima è teso dall’autunno dello scorso anno, quando l’opposizione aveva raccolto le firme necessarie per chiedere un referendum sul capo dello Stato, accusato di aver causato la gravissima crisi economica, ma il voto non era poi stato organizzato su decisione della commissione elettorale.
La situazione è ulteriormente degenerata a marzo, quando il Tribunale supremo di giustizia, controllato dal governo, ha assunto il potere giudiziario, sottraendolo al Parlamento dove l’opposizione ha la maggioranza. Giorni di proteste e forti pressioni internazionali avevano poi spinto il Tribunale al dietrofront. Intanto, al leader dell’opposizione Henrique Capriles (candidato alle presidenziali e sconfitto da Maduro nel 2013, dopo la morte di Chavez) è stato impedito di candidarsi a funzioni elettive per 15 anni. Questa sequenza di vicende ha alimentato lo scontento e le manifestazioni.
Maduro ha definito l’uscita dall’Osa “un passo gigante per rompere con l’interventismo imperialista”. Ha chiesto alle nazioni dell’America latina e del mondo di essere solidali per “sconfiggere il piano interventista” contro Caracas, alludendo alle accuse agli Stati Uniti di volere un golpe simile a quello del 2002 contro Chavez, che fallì. La ministra degli Esteri Rodriguez ha spiegato: “Domani, come ha indicato il presidente Nicolas Maduro, presenteremo il documento di denuncia all’Organizzazione e inizieremo un procedimento che durerà 24 mesi”, tempo che previsto tra la notifica e l’effettivo ‘divorzio’. Nessuno Stato prima d’ora ha mai avviato il processo di uscita dall’Osa.
La notte scorsa Caracas è stata di nuovo teatro di violente proteste. Dopo che un’autostrada era stata bloccata, gruppi di giovani l’hanno invasa creando barricate con rifiuti incendiati, hanno saccheggiato un deposito governativo, incendiato due camion e rubato il materiale medico da un’ambulanza. I leader dell’opposizione più moderata sinora hanno tentato invano di fermare le violenze e i saccheggi, sospinti dalla crisi economica. Prima che i disordini della notte scoppiassero, erano state evidenti le tensioni tra i manifestanti pacifici e gruppi di violenti. L’opposizione ha anche accusato il partito socialista di mandare infiltrati per delegittimare le proteste. La polizia è intervenuta con gas lacrimogeni e un 20enne è morto colpito da un candelotto di sostanze urticanti, dopo che un 22enne e un 28enne erano stati uccisi da colpi di pistola in altre zone del Paese.