Hanna Stulgis è una ex hostess Alitalia. Ex suo malgrado perché avrebbe voluto volare ancora, ma un incidente gravissimo l’ha costretta a vivere su una carrozzella. Ha perso il brevetto di volo, è dovuta andare in pensione e dopo 20 anni spesi sugli aerei ha scoperto ciò che molti suoi colleghi intuiscono, ma non possono sapere perché nessuno glielo vuole comunicare ufficialmente. E cioè che la pensione di un assistente di volo Alitalia è poca cosa. Hanna riscuote ogni mese 800 euro lordi di cui più della metà per l’invalidità al 100 per cento che le è stata riconosciuta. Sorpresa per una cifra così modesta, 370 euro di pensione per i 20 anni in Alitalia, si è fatta calcolare quanto avrebbe riscosso se avesse potuto volare fino a fine carriera, e si è stupita ancora di più: mille euro lordi. Forse è anche per non spaventare nessuno che l’Inps non ha inviato agli assistenti Alitalia la famosa busta arancione con la simulazione sulle pensioni.

Un assistente con gli stessi anni di servizio di Hanna e nelle sue stesse condizioni, cioè zero ore di volo, riceve un Cud (la certificazione dei redditi inviata dall’Agenzia delle entrate) di 16mila euro circa. Chi vola arriva in media a 18-20mila euro. Ed è su quella cifra che viene calcolata la pensione. Secondo la vulgata, però, Hanna e i suoi colleghi assistenti navigano nei privilegi, sono dei signorini scriteriati che pur di non perdere neppure un filo della bambagia in cui sono avvolti hanno segato il ramo su cui stavano comodamente seduti. In realtà è stato massiccio il no espresso dai lavoratori naviganti al referendum sul preaccordo sindacale che prevedeva una diminuzione media dell’8 per cento delle paghe che in alcuni casi e in determinate circostanze poteva arrivare fino a un terzo dello stipendio. Tra i 1.167 piloti e i 2.814 assistenti di volo aventi diritto, hanno votato 3.532 e 3.166 hanno detto no. I sì sono stati appena 304.

L’idea che piloti e assistenti Alitalia siano una casta di privilegiati è dura a morire. Nacque durante un’altra era geologica, ai tempi della Prima Repubblica, quando non solo Alitalia, ma tutta l’Italia era un’altra cosa. Per certi aspetti la compagnia di bandiera di proprietà dello Stato davvero allora era un circo Barnum usato dalla politica per i suoi trastulli clientelari e dai politici singoli per i loro comodi. Tra le mille follie è rimasto negli annali, per esempio, il volo Roma-Albenga sempre mezzo vuoto e quindi molto costoso, ma che Claudio Scajola, che è di quelle parti, aveva preteso come fosse un taxi. Hostess e piloti facevano davvero una vita da sogno: stipendi nemmeno paragonabili a quelli degli altri comuni lavoratori, alberghi a cinque stelle in ogni parte del mondo, pranzi a base di aragoste e champagne. Non è più così da molti anni.

Oggi un assistente di volo a metà carriera prende un po’ più di 2mila euro netti al mese, ma lo stipendio in senso stretto è appena la metà. Il resto è rappresentato da indennità su cui il lavoratore paga il 50 per cento di tasse, ma su cui viene versato appena il 50 per cento di contributi. Tutto ciò si ripercuote soprattutto sulla pensione che si immiserisce, oppure si fa sentire quando un dipendente è costretto a non lavorare. Le donne incinte, per esempio: a differenza di tutte le altre lavoratrici italiane che nel periodo della maternità riscuotono l’80 per cento circa dello stipendio, le hostess Alitalia non arrivano al 50 per cento.

Da quando è diventata privata, cioè dal primo gennaio 2009, l’Alitalia ha perseguito una politica retributiva che privilegia la parte variabile a discapito della parte fissa. La parte variabile si basa su 4 tipi di indennità: oraria, di ristrutturazione, garantita e diaria. Ognuna regolata con una miriade di minuziose clausole. La “garantita” è pagata per 12 mesi di fila, a prescindere dalle condizioni specifiche di lavoro, quindi è come se fosse stipendio a tutti gli effetti, ma stipendio non è. La diaria ammonta a 42 euro e dovrebbe servire a coprire le spese di pranzo e cena durante il servizio, ma in alcune parti del mondo basta poco più che per un panino e una birra.

Al confronto gli assistenti di una compagnia tradizionale, non low cost, come Air France sembrano davvero di un altro pianeta. Con 20 anni di anzianità ricevono uno stipendio base di 1.600 euro, più 2mila euro per 75 ore di volo in cui è calcolato anche il lavoro notturno, più 30 euro per andare e tornare dall’aeroporto, più 50 euro per il pranzo e 50 euro per la cena. E perfino 5 euro per la mancia. E dopo 30 anni possono andare in pensione perché il loro lavoro è considerato usurante e ricevono un assegno calcolato non su una parte, ma su tutto ciò che hanno ricevuto in busta paga.

Anche per i piloti l’Alitalia non è rose e fiori, ma la situazione è un po’ diversa. Almeno per i comandanti che, se decidono possono cambiare compagnia quando vogliono, sicuri di essere ben accolti in qualsiasi parte del mondo. Forse è per questo che nei mesi passati decine di piloti hanno lasciato la compagnia italiana per trasferirsi in Cina, India, negli Emirati e in altri paesi. Un comandante a fine carriera guadagna bene per i parametri italiani, almeno 8.500 euro netti al mese. Uno stipendio allineato con i livelli delle retribuzioni in ogni parte del mondo. Per i piloti giovani, però, la musica Alitalia sta cambiando. Gli assunti con i contratti Cityliner, i voli regionali, hanno uno stipendio base di 550 euro lordi al mese ed è su questo importo che viene calcolata la pensione. Poi incassano altri 500 euro circa di volo minimo garantito, più un bonus orario oltre le 30 ore volate che parte da un minimo di 6 euro l’ora.

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