“Un monopolio perfetto nel territorio ternano nel settore degli appalti di servizi al medesimo raggruppamento di imprese cooperative“. Era il meccanismo architettato, secondo la Procura di Terni, dal combinato disposto di politici e tecnici che ha portato agli arresti domiciliari il sindaco del Comune di Terni, Leopoldo Di Girolamo, e l’assessore ai Lavori pubblici Stefano Bucari, entrambi del Pd. Cuore dell’indagine, condotta dagli uomini della polizia e dai militari della Guardia di finanza, una lunga serie di appalti di servizi pubblici a cooperative locali. A due componenti di cooperative sociali di tipo B – che impiegano lavoratori di categorie svantaggiate – è stato invece applicato il divieto temporaneo di esercizio dall’attività d’impresa. Si tratta dello sviluppo di un’indagine chiamata “Spada” per gli inquirenti avevano chiesto e ottenuto la proroga d’indagine. Era stato lo stesso sindaco Di Girolamo a rendere noto che fosse indagato. In quell’occasione era emerso che i reati ipotizzati a suo carico erano tra gli altri associazione a delinquere e turbata libertà degli incanti.
Gli appalti nel mirino: dal verde ai servizi turistici
L’indagine, in corso da tempo, ha riguardato una serie di appalti di servizi pubblici che hanno interessato al momento la manutenzione del verde pubblico in città e nei cimiteri, la gestione dei servizi cimiteriali e quella dei servizi turistici presso l’area della cascata delle Marmore. Tutti predisposti e gestiti – hanno rilevato gli investigatori – dall’attuale giunta municipale di Terni. Secondo la procura di Terni il quadro emerso ha consentito di fare luce su quella che viene ritenuta la “illecita gestione della cosa pubblica” negli anni a cavallo tra il 2011 e il 2016 che invece di operare nel rispetto delle rispetto delle regole comunitarie e nazionali della libera concorrenza finalizzata alla scelta del miglior contraente, è stata improntata all’alterazione delle regole di mercato secondo un sistema illegale finalizzato a favorire le stesse cooperative sociali di tipo B, operanti nel territorio di Terni e con affluenza extraprovinciali ed extraregionali. Attraverso – secondo l’accusa – l’individuazione e il successivo inserimento nei bandi di gara di requisiti “spaziali” e “strutturali” quali il possesso di un’unità operativa sul territorio e l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate.
Appalti senza gara per 5 anni e fino a 63 proroghe illegittime
Secondo gli inquirenti l’amministrazione comunale “ha favorito sempre” le stesse cooperative senza bandire nuove gare, ma prorogando gli appalti di servizi scaduti oppure procedendo con l’affidamento diretto. “Così continuando a garantire, a volte, anche per oltre 5 anni consecutivi la gestione del contratto al medesimo raggruppamento di cooperative sociali costituite in Ati: Alis, Ultraservizi, Gea e Asso. Per quanto riguarda il verde pubblico l’appalto è stato gestito senza gara aperta dal 2008 al 2015 per un totale di 2 milioni e 700mila euro cui si devono sommare gli appalti nel 2015 per una somma superiore ai 560mila euro, poi frazionati in tre lotti. Per l’appalto del servizio verde all’interno del cimitero comunale il contratto ha subito 63 proroghe dal 2011 al 2016 per oltre 286mila euro; per i servizi cimiteriali all’interno dei 16 centri le proroghe sono durate dal 2014 al 2016 e il costo è stato fissato in oltre 687mila euro; per l’appalto dei servizi turistici all’interno delle Cascate delle Marmore il contratto ha fatto registrare atti comunali di proroga illegittima dal 201o al 31 dicembre 2013. I lavori poi appaltati con procedura negoziale riservata sono stati aggiudicati per oltre un milione e 700mila euro. “Protagonisti” della vicenda, per la Procura di Terni, sia “la componente politica politica sia la componente tecnica”. I primi erano gli ideatori, i secondi gli esecutori del “meccanismo perfetto”. Ed è così che poi i bandi venivano “cuciti addosso” alle cooperative, “le uniche titolate a vestire il prodotto il prodotto sartoriale confezionato” da arrestati ed indagati. Con loro gli inquirenti hanno individuato altri “personaggi inseriti” all’interno del Dipartimento Lavori Pubblici con il compito “di contribuire alla realizzazione del programma di alterazione della concorrenza”. Presenti nel “disegno illecito”, secondo la procura, c’erano anche “i legali rappresentati delle cooperative di tipo B, impegnati nell’opera di turbativa degli incanti, suggeritori e fruitori finali degli esiti delle procedure amministrative irregolarmente attivate che, nonostante la diversa denominazione formalmente attivata, alla fine hanno garantito un monopolio perfetto nel territorio ternano nel settore degli appalti di servizi al medesimo raggruppamento di imprese cooperative”.
Lo scorso 17 novembre 16 avvisti di garanzia
L’indagine “Spada” era emersa il 17 novembre scorso con il sequestro in Comune, da parte di Squadra mobile e Finanza, di documenti informatici e cartacei relativi all’affidamento degli appalti di sette diversi settori, dalla gestione della cascata delle Marmore al verde pubblico, dall’illuminazione cittadina alle mense. Sedici gli avvisi di garanzia notificati in quell’occasione ad altrettante persone, tra cui gli assessori al Verde pubblico, Stefano Bucari, e quello al Bilancio, Vittorio Piacenti d’Ubaldi, oltre 4 dipendenti comunali e a rappresentanti legali delle cooperative coinvolte. Di Girolamo è già imputato insieme ad altre 19 persone per turbativa d’asta in concorso per una vicenda diversa. “Questo Comune adotta una sistematica violazione del quadro delle norme comunitarie degli appalti” aveva detto il pm in udienza in quell’occasione. La Procura aveva chiesto che il sindaco e altri 19 fossero mandati a processo, ma la decisione del gup arriverà il 10 maggio. Quest’ultima indagine riguarda alcuni affidamenti, dal 2009 al 2015, operati dal Comune a soggetti privati per il trasporto e lo smaltimento del percolato derivante dalla discarica Ast di vocabolo Valle. In particolare la guardia di finanza e la Procura si erano soffermate su una cinquantina di atti tra delibere di giunta e dirigenziali per un importo totale di 3 milioni e mezzo di euro. Le procedure ad evidenza pubblica, secondo l’accusa, erano aggirate con un frequente frazionamento degli importi sotto-soglia.