In una tv generalista sempre meno capace di innovarsi e di tentare strade nuove, con un vuoto autoriale che spaventa, ecco che i signori del tubo catodico non possono fare altro che riesumare cadaveri in avanzato stato di decomposizione, tentando di giocare la carta della nostalgia per accalappiare un pubblico sempre più frammentato e attirato dalle sirene delle tv tematiche. Dopo il ritorno di Furore su RaiDue, infatti, pare che stia per tornare su Italia1 anche Sarabanda, il gioco musicale condotto da Enrico Papi dal 1997 al 2004. L’occhialuto conduttore romano era sparito da tempo, roba che nemmeno Federica Sciarelli avrebbe potuto compiere il miracolo, fino a quando Tale & Quale Show non l’ha riportato in vita e gli ha dato una nuova ondata di popolarità. Roba da social network, soprattutto, con Papi guest star nell’ultimo video di Fabio Rovazzi e il grido “MOOSECA!” che è diventato un tormentone e addirittura una canzone, scritta assieme a Danti (autore proprio dei tormentoni rovazziani).
Il brano è brutto assai, il videoclip senza senso alcuno e girato con un approccio dilettantistico che inorridisce. Eppure Papi sembra credere a questa sua resurrezione mediatica, al rilancio possibile di una carriera che sembrava destinata a oziare pigramente nell’oblio dei più. Secondo il blog televisivo BubinoBlog, però, Sarabanda tornerebbe a giugno con tre puntate speciali in prima serata. Non è ancora chiaro se con concorrenti nuovi di zecca o magari con un ancora più proustiano torneo dei campioni dei tempi d’oro (dall’Uomo Gatto ad Allegria, da Valentina alla Professora).
La voce non è ancora stata confermata ma di sicuro è verosimile. Il problema, però, è capire se c’è in un senso, in questa furia nostalgica che sembra aver travolto i dirigenti televisivi. Così come è importante capire se un senso ce l’ha ancora lo stesso Papi, figlio di una stagione televisiva che è lontana assai dagli scenari attuali. La cosa certa è che sull’onda di fenomeni da social network (quindi circoscritti in una nicchia e per nulla rappresentativi del paese reale) si stanno compiendo disastri televisivi di dimensioni enormi. Lo si è visto con Furore (il cui reboot sta mostrando impietosamente i segni del tempo di un format che aveva senso allora, non oggi), probabilmente lo si vedrà anche con Sarabanda.
A Enrico Papi, comprensibilmente, non sembra vero di esser tornato ad avere una pur minima rilevanza mediatica e sta provando in ogni modo a reinventarsi, a giocare sul cazzeggio puro, ad assecondare gli istinti “cretinisti” di una parte minoritaria di animali da social network. Perché è bene dirlo subito: il fenomeno Papi 2.0 è cretino assai (il fenomeno, non lui) e vedere un uomo di 51 anni fare la macchietta pur di esistere fa tristezza. Ma è una sua scelta, sono affari suoi. Il lato ancora più triste della vicenda è la giustificazione di questo fenomeno che arriva anche da commentatori solitamente dotati di palato fine, in nome di una esaltazione sciocca della subcultura da gruppo Facebook. Come se la risposta all’aridità creativa della tv (e dell’industria della cultura pop in generale) possa venire dalla viralità di stronzate colossali, dal sacrosanto ma inutile cazzeggio internettaro.
Il messaggio proveniente da chi comanda in televisione sembra chiaro: “Bambole, non c’è una lira! Dobbiamo spendere poco e ottenere il massimo possibile”. Pazienza, però, se il massimo di questi tempi corrisponde a briciole, se ormai i programmi di questo genere non sono altro che contenitori vuoti, specchietti per allodole social, se il massimo della vita, oggi come oggi, è raggiungere le prime posizioni dei trending topic su Twitter. È una tv che si autoalimenta con il nulla, con l’idiozia più totale. E il personaggio Enrico Papi (il personaggio, non la persona) è l’alfiere perfetto di questa bolla senza senso che prima o poi (speriamo prima che poi) dovrà pur scoppiare.