Daya se ne sta in prima fila sotto il maxischermo e fissa i candidati con la testa quasi rovesciata all’indietro: “Ma con che coraggio Marine Le Pen dice certe cose?”. Ventiquattro anni, origini indiane, aspetta una bimba e si accarezza la pancia mentre intorno la sala ride nervosa. “Io non sono tranquilla finché non avremo vinto”. Al Loft du Louvre, un bar nel quartiere bene di Parigi tra Les Halles e le Palais Royal, l’ultimo dibattito tra i due candidati alle presidenziali francesi si guarda tutti in piedi con la birra in mano. La serata l’hanno organizzata i “Jeunes pour Macron”, i giovani referenti del leader di En Marche!: sono i responsabili dei comitati sul territorio e sono stati richiamati per compattare le truppe in vista del secondo turno. Perché nonostante i sondaggi diano Macron quasi venti punti davanti alla candidata del Front National (59 a 41%), il clima è di preoccupazione. “Io ho paura”, dice Clément che ha 19 anni ed è appena uscito dal suo corso a Sciences Po. “Siamo tutti testimoni di quello che è successo negli Stati Uniti: la gente per protesta, per vedere l’effetto che faceva, ha votato Donald Trump. Poi il giorno dopo abbiamo visto gli stessi elettori in tv piangere per quello che era successo. Lo stesso può capitare a noi. Io ho paura di chi anche in Francia vuole solo fare casino e non capisce che la situazione è pericolosa”. Lo dice sottovoce mentre sullo schermo va in scena il dibattito-duello tra insulti e derisioni: “Ecco, lei vuole proprio questo. Trascinarci nel suo campo”.

Il confronto, il numero otto delle presidenziali, è difficile e scivoloso. L’ultima volta che un candidato alla presidenza ha dovuto sfidare un leader del Front National era il 2002: Jacques Chirac si rifiutò di sedersi in uno studio televisivo di fronte a Jean-Marie Le Pen perché, disse, “con l’odio non si discute”. Erano quindici anni fa e Macron oggi non può tirarsi indietro, ma la vera sfida è differenziarsi senza lasciar passare niente. Il dibattito è un gioco di forza che vivono con apprensione. I primi venti minuti si giocano sulle provocazioni: Macron risponde a tono, abbassa la voce quando Marine Le Pen alza la sua e ogni volta che la smentisce nella sala si alzano i cori. L’ex ministro azzarda qualche derisione, tra i suoi scende il gelo. “È complicato”, dice il militante Marc Besson mentre sorseggia il suo vino, “perché lei continua ad attaccarlo e per forza deve reagire. Almeno spero che questo piglio piacerà agli indecisi”.

Non fanno che ripeterselo gli uni con gli altri: l’elezione può dirsi vinta solo dopo che anche l’ultimo voto è stato scrutinato. E oggi come non mai bisogna stare attenti perché la mole di chi non andrà alle urne potrebbe essere più consistente del previsto. Anche per questo i Jeunes pour Macron si sono radunati. Il motore di quello che Macron chiama il suo Movimento “En Marche!” ha tra i 18 e i 35 anni: sono studenti, ma soprattutto giovani lavoratori che si sono messi in fila per vedere il dibattito con giacca e camicia stropicciate dalla mattina prima.“Sono preoccupato”, dice Sébastien, 30 anni e imprenditore, “non riesco a capire come i francesi non si rendano conto della posta in gioco. Io avrei lottato con tutte le mie forze per far saltare l’estrema destra, a prescindere da chi si fosse presentato dall’altra parte”. E invece: “Invece adesso rischiamo l’effetto Trump”. Si aggiusta il ciuffo di capelli con una mano e poi indica la ormai famosa bandiera dell’Europa che “En Marche!” sfodera a ogni iniziativa pubblica: “Quello che propone Macron è rivoluzionario e la maggior parte di noi è qui per questo. Vuole migliorare e riformare l’Unione europea e vuole farlo facendo sedere al tavolo non solo la Germania. L’Italia di Matteo Renzi ad esempio: è chiaro a tutti noi che è uno dei leader più carismatici in questo momento, è formidabile. Anche lui ha fatto saltare le classiche divisioni tra destra e sinistra e ha rimesso il suo Paese al centro della discussione. La presidenza Macron saprà ascoltarlo”. E chiude citando le parole dell’eurodeputato ecologista Daniel Cohn-Bendit, che, parlando dei pregi dell’Europa ha detto: “Ha garantito la pace”. “Io”, gli va dietro Sébastien, “pure se sono piccolo, non me lo dimentico”.

La generazione Macron è lei da sola un manifesto. Disillusi da tutti gli altri partiti, si fidano il meno possibile, dosano gli applausi per il loro leader e intanto organizzano con lo smartphone il volantinaggio per il giorno dopo. “È il momento più difficile”, spiega Audrey Pamburn, 26 anni e referente giovani per il 18esimo arrondissement. “Io passo le mie giornate a fare banchetti e portare informazioni porta a porta. Il mio quartiere è uno di quelli più di sinistra e ricevo spesso brutte risposte: in tanti non vogliono andare a votare, dicono che è la stessa cosa. A me si stringe il cuore perché è davvero la prova che Marine Le Pen è riuscita a ripulire la sua immagine. Quello che i miei concittadini non capiscono è che se anche prende il 40 per cento, è comunque tantissimo”. Audrey lavora nel campo delle telecomunicazioni e dice che ha scelto Macron per la sua idea di educazione: “Vuole rimettere l’ascensore sociale, che significa dare una chance a tutti. La sinistra se ne renda conto: Macron propone innovazione, mettendo al centro i diritti. E’ la strada da seguire”. Dietro di lei c’è Gaye Maye, che ha 45 anni ed è stata tra le prime a creare un’associazione in sostegno a Macron in Seine Saint-Denis, una delle periferie più calde. “È il candidato repubblicano che predica i valori dello stare insieme e che può salvarci. Basta con le promesse non mantenute dei governi socialisti”. Gaye fa la contabile ed Emmanuel l’ha conosciuto quando ancora non era un politico: “Ha esperienza fuori dall’Eliseo, già questo dovrebbe bastare”.

La maggior parte dei presenti, nel 2002 aveva poco più di quindici anni. Delle manifestazioni contro il Front National, le barricate per non far passare Jean-Marie Le Pen, ricordano poco. Non gli importa delle lotte tra partiti, piuttosto parlano di “semplificazione”, “futuro” e “innovazione”. E non lasciano speranza agli ultimi politici rimasti sulla scena. “Io ho 26 anni e sono stanco di questa politica”, dice Mathieu che lavora per un’azienda farmaceutica, “sono stanco di vedere il teatrino della destra e della sinistra che litigano per qualsiasi cosa. Finalmente abbiamo una chance: unire le buone idee a prescindere delle appartenenze”. Le accuse a Macron di essere espressione del sistema? “Sono caricature funzionali allo scontro. La verità è che lui al governo c’è stato solo quattro anni, mentre gli altri sono lì da decenni ed è ora che se ne vadano a casa”. I Jeunes per Macron si definiscono concreti e realisti, gente cresciuta con il terrorismo dentro le città, ma anche con l’angoscia quotidiana della disoccupazione. Quindi nemmeno il Jobs act all’italiana, la legge che ha portato nelle piazza centinaia di migliaia di giovani e che Macron ha sostenuto quando era al governo, li fa tentennare. Anzi, è uno dei motivi per cui loro continuano a seguirlo. “È una riforma necessaria”, chiude Mathieu. “È stata mal spiegata al Paese, ma creerà tanti posti di lavoro. Giusto che Emmanuel voglia andare oltre”.

In fondo alla sala Clément e Benoit, 22 anni a testa, ascoltano il dibattito mentre mangiano il loro tagliere di salumi da ben 15 euro. “Noi siamo studenti di economia. E ci riteniamo di sinistra: c’è il rischio che Marine alla fine ce la faccia, per questo sentiamo di doverci mobilitare finché ancora siamo in tempo”. Macron lo sostengono dal primo giorno, che vuol dire febbraio scorso, quando è nato il Movimento. “È un candidato che vede il progresso. Non siamo più ragazzini: sappiamo che ci sono sacrifici da fare e il suo liberalismo è necessario in molti campi. Ma è un liberalismo dell’uguaglianza e in questo momento storico non vediamo grandi alternative”. Glielo grida in faccia poco dopo anche Marine Le Pen: “Voi siete il candidato che tutti votano perché non sanno chi altro scegliere”, dice verso la fine del dibattito. Lui risponde guardandola negli occhi: “Oui, d’acord”. La sala scoppia a ridere come se fossimo semplicemente al cinema, ed è uno dei pochi segnali rimasti della sicurezza sfacciata dei giorni scorsi. Solo Lucas fa lo spavaldo fino alla fine: “Io ho votato in ordine: Sarkozy, Hollande e ora Macron. Io voto solo per i vincenti”. Simula una risata e intanto, dietro le spalle, incrocia le dita.

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