Cinquemila privati hanno messo mano al portafogli e donato 168 milioni di euro allo Stato per interventi a sostegno di enti e beni culturali pubblici. Evviva il “bonus art” e l’Italia dei piccoli mecenati. A un privato soltanto, Luca Barbareschi, è riuscita invece l’impresa di farsi assegnare ben due milioni di fondi pubblici per un solo teatro, anch’esso privato al 100%. L’ex parlamentare e attore dal 2014 è direttore artistico e amministratore unico dell’Eliseo di Roma, teatro nazionale che perde 8mila euro al giorno anche quando sta fermo e rischia di chiudere i battenti proprio a ridosso del suo centenario (1918). Il pericolo è però scampato. Il nero Barbareschi ingaggia una lunga battaglia, che lui stesso ha definito “politica”, e alla fine ottiene il soccorso rosso del governo: nella “manovrina” è spuntato infatti un comma in carta regalo da due milioni di euro che si aggiungono allo stanziamento ordinario proprio “al fine di garantire la continuità delle sue attività in occasione del centenario della sua fondazione”. Alla notizia tremano i polsi dei contribuenti al pensiero che il partito della spesa pubblica si ricordi del lirico Farnese di Parma, la cui prima pietra fu posata 400 anni fa. E poi di tutti gli altri. Ebbene, niente panico: è una misura ad theatrum di cui beneficia solo Barbareschi, forte di una vittoria molto “politica” per la quale si è speso in prima persona.
“Chiudiamo per l’inerzia delle istituzioni e per le promesse eluse” aveva denunciato il 15 marzo scorso in una conferenza stampa “convocata d’urgenza” per annunciare pubblicamente la chiusura del palcoscenico da due sale che ha rilevato due anni fa, dietro la garanzia – dice Barbareschi – di un contributo unatantum nel Milleproroghe di 4 milioni di euro. Una cifra “promessa dal Ministero”, a suo dire, proprio per il centenario della sala con un emendamento “che ho seguito come un bambino, di sopra, di sotto – racconta – e che aveva tutti d’accordo, persino due presidenti della Repubblica e tutti i ministri coinvolti”. Soldi, precisa “non per la ristrutturazione da 4 milioni di euro pagata di tasca mia, né per le stagioni. Ma per andare a colmare un buco da 5 milioni di euro accumulato in tre stagioni da una struttura che anche ferma costa 4 milioni di euro l’anno, 8 mila euro al giorno”. La promessa però è infranta.
L’emendamento, che ”inizialmente avrebbe dovuto essere di 5 milioni”, è stato prima ritirato, ”poi qualcuno, per populismo, ha detto ‘diamoli ai terremotati’ e i soldi sono confluiti in un totale ‘fino a 12 milioni’ a disposizione del Ministro. I soldi li ha nelle sue casse e li può dare a chi vuole”. Torna alla carica nei giorni dei ritocchi finali alla “manovrina” e mentre si avvicina l’appuntamento con le primarie del Pd. “Far chiudere l’Eliseo è una scelta politica”, sostiene allora Barbareschi, che ha esercitato l’arte sotto diverse insegne (An, Pdl, Fli e Misto) per approdare al renzismo (“con lui mi candiderei domani”) fra tanti complimenti a Franceschini (“Per fortuna ho trovato in lui un interlocutore serio…”) finché non intravede il rischio di non incassare. Perché allora dice: “Non ce l’ho con Franceschini, che ritengo persona intelligente. Né posso imporgli un amore per il teatro che non ha. Posso però riportarlo alle sue responsabilità di ministro, perché chiudere un’istituzione come l’Eliseo è una coltellata alla cultura e a Roma, non a me: io sopravviverò”.
Il ministro sulle prime cerca di resistere all’assedio e fa emettere agli uffici del Mibact una nota che mette in fila le erogazioni a beneficio del teatro romano: “Il contributo all’Eliseo è stato incrementato nel 2016 a 514.831 euro più altri 250 mila euro per il progetto speciale Generazioni. Si tratta – si legge – dello stanziamento in assoluto più consistente fra i 13 progetti speciali del 2016 che porta il sostegno del Ministero ad oltre 1,2 milioni di euro in due anni. Tali risorse nel 2017 potranno ulteriormente essere incrementate nella parte ordinaria e accresciute nell’ambito di eventuali altri progetti speciali”. Detto fatto.
Nel giro di pochi giorni si materializza l’assegno della pace: due milioni tondi. E non nel Milleproroghe che può essere modificato ma nella manovra correttiva che è blindata dalla fiducia e ormai in Gazzetta. Per l’esattezza all’articolo 22 comma 8. Un articolo che per sette commi parla di disposizioni per le maestranze e di incarichi dirigenziali. E all’ultimo ci mette il salva-Barbareschi. C’è chi si chiede perché Pier Carlo Padoan e la Ragioneria si siano tanto impietositi per il destino di un singolo teatro (privato) e non per quello di tutti gli altri che sono patrimonio della nazione al pari dell’Eliseo. E se più del grido di dolore di Barbareschi si sia sentito quello della moglie Elena Monorchio, figlia dell’ex potentissimo ragioniere generale dello Stato, che insieme a lui ha sposato la nobile impresa di rilanciare il palco calcato da Luchino Visconti. Impossibile chiederlo all’interessato, perché “Barbareschi per ora non commenta”. Neppure un “grazie”.