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Blue Whale, cosa sappiamo sul gioco della morte: suicidi veri, pratiche e motivazioni tutte (ancora) da verificare

Meglio allora mettere alcuni punti fermi rispetto a ciò che di questa terribile vicenda dei suicidi di adolescenti russi e kazaki, dovuti ad un misterioso fenomeno Internet, si sa con una buona dose di certezza

di Davide Turrini

È lui o non è lui? Certo che è lui. Appena si alza l’asticciola etica del contenuto di una notizia sensibile, come è il caso in questi giorni del Blue Whale, scatta l’inevitabile allarme “bufala”. Chi mente, chi inventa, chi specula e chi dice la verità in questa sospettosa deregulation della più classica gerarchia delle fonti sul web? Meglio allora mettere alcuni punti fermi rispetto a ciò che di questa terribile vicenda dei suicidi di adolescenti russi e kazaki, dovuti ad un misterioso fenomeno Internet, si sa con una buona dose di certezza.

Suicidi veri, pratiche e motivazioni tutte (ancora) da verificare.

Prima ancora che il programma tv Le Iene raccontasse del suicidio di un 15enne di Livorno nel febbraio scorso associandolo, grazie alla testimonianza di un compagno di scuola, al tragico percorso social definito Blue Whale, il primo dato certo, su cui è nata ogni possibile speculazione e verità sul fenomeno social in questione, è quello fornito da Unicef sul tasso dei suicidi di adolescenti in Russia: oltre mille suicidi l’anno in media per i ragazzi tra i 15 e i 19 anni, con una percentuale tre volte superiore rispetto alla media nei paesi occidentali economicamente sviluppati. Preso per vero questo dato si apre il capitolo suicidi Blue Whale. Nel maggio 2016 sul sito dell’autorevole periodico russo Novaya Gazeta è stata pubblicata un’inchiesta in cui si è cercato di dimostrare  che tra il novembre 2015 e l’aprile 2016  circa 130 suicidi di adolescenti andavano ricondotti ad alcuni gruppi presenti su VKontakte (VK) – il social network russo simile a Facebook – che incitavano al suicidio, postando foto e video, pratica siglata come “f57”. Un’ottantina di questi suicidi, secondo la fonte giornalistica russa, sarebbero collegabili al cosiddetto Blue Whale. Secondo IlPost.it però ci sono state diverse controinchieste (Radio Free Europe e Snopes) che non avrebbero riscontrato tracce effettive del cosiddetto sistema Blue Whale, almeno non in forma sistematica e organizzata nei dettagli. Per cominciare a “vivere” l’esperienza Blue Whale bisognerebbe entrare in determinati forum o gruppi social e scrivere un messaggio con l’hashtag #f57. Da un momento all’altro avverrebbe il contatto da parte di un “master” che, come spiegano sul Corriere della Sera, usando informazioni personali dell’adolescente, e minacciando di spifferarle ai familiari, sottoporrebbe il giovane utente a 50 prove per 50 giorni consecutivi – dall’autoinfliggersi ferite e tatuarsi disegni a forma di balena sulla carne viva, a vedere film horror e ascoltare urla e suoni sinistri – fino alla dimostrazione finale di avvenuta sottomissione cioè il suicidio dall’ultimo piano di altissimi edifici. Ovviamente tutto ciò è fino ad ora stato impossibile da verificare nei dettagli. E il risultato pare essere che l’aver rilanciato online l’inchiesta della Novaya Gazeta enfatizzando i particolari del Blue Whale abbia semplicemente gonfiato un’ipotesi di partenza fino a farla diventare una certezza assoluta.

L’arresto di Phlip Budeikin, uno degli organizzatori di Blue Whale

Nel novembre 2016 Philip Budeikin è stato arrestato dalle autorità russe. Budeikin sarebbe uno degli organizzatori ed esecutori di questo gioco della morte diffusosi online. Il sito Saint-Petersburg.ru è riuscito ad intervistare Budeikin (“cinque ore di conversazione di cui tre registrate (…) da far rizzare i capelli”) poche ore dopo l’arresto. “Ci sono le persone e gli scarti biologici. Io selezionavo gli scarti biologici, quelli più facilmente manipolabili, che avrebbero fatto solo danni a loro stessi e alla società. Li ho spinti al suicidio per purificare la nostra società”, aveva raccontato il 21enne studente di psicologia e residente in una piccola città oltre la periferia di Mosca. Alcuni giorni fa la BBC ha poi specificato in un articolo online che attraverso le sue fonti russe ha verificato che Budeikin dapprima autoproclamatosi innocente, perché il suo non era un piano malvagio ma solo un modo per divertirsi come del resto si stavano divertendo le ragazze che aveva costretto ad uccidersi, di fronte al tribunale che lo dovrà giudicare ha cambiato idea dichiarandosi colpevole per istigazione al suicidio di 16 ragazze.

Le Iene è le testimonianze dei genitori di due ragazze russe suicidate

Il servizio tv di Matteo Viviani de Le Iene ha aggiunto ulteriori particolari sul Blue Whale, o perlomeno sui principi unificatori di un meccanismo sadico di morte nato e sviluppatosi sui social russi. Due le testimonianze di madri di ragazzine suicidatesi dopo aver seguito “istruzioni online”. Una delle due spiega “che tutti i compagni di scuola sapevano ciò che stava accadendo”, e che la figlia “era la migliore perché arrivata al ‘terzo livello’ della sfida”. “Non riesco a capire come siano riusciti a manipolarla”, spiega l’altra donna, “mia figlia amava la vita”. Le due donne confermano poi l’improvvisa comparsa sul pc e sui corpi delle loro figlie di disegni, foto e tatuaggi di balene. Nel servizio Viviani spiega anche di numerose trasmissioni tv russe dove si parla del fenomeno, come dell’intervento di alcuni deputati della Duma per richiamare l’accaduto, oltre all’intervista al responsabile di un’associazione delle vittime che conferma i particolari dell’iter online che porta al suicidio e ricorda anche di altre pratiche nate online, una tra tutte la “Fata di fuoco” che spinge i bimbi più piccoli ad andare in cucina e bruciarsi col fuoco dei fornelli.

Magari non si chiama Blue Whale, ma un disegno affabulatorio di origine criminale sembra esserci.

Se consideriamo come fonti autorevoli sia il corrispondente de Le Iene, la BBC e la Novaya Gazeta allora il Blue Whale, con tutto il beneficio d’inventario su ogni singolo passaggio via social, esiste. Se riteniamo invece che Viviani e compagnia abbiamo fatto recitare figuranti e inventato dettagli di cronaca, quindi che non ci siano prove sufficienti per considerare reale una pratica criminale di affabulazione suicida sui social, allora è tutto falso. Un dato è però certo: le ragazzine e i ragazzini russi che si sono suicidati gettandosi da grattacieli ed edifici altissimi delle città, purtroppo, non si li è inventati nessuno. E senza il tam tam Blue Whale, probabilmente, delle loro strane, discutibili morti non si sarebbe minimamente accennato su nessun mezzo d’informazione.

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