Sulla sua situazione processuale deve ancora esprimersi la corte di Cassazione. La procura di Palermo, invece, lo considera comunque socialmente pericoloso. Per questo motivo la direzione distrettuale antimafia del capoluogo siciliano ha chiesto l’obbligo di soggiorno per il senatore Antonio D’Alì. Una richiesta che infiamma la campagna elettorale per le amministrative visto che l’esponente di Forza Italia è candidato sindaco a Trapani, la stessa città dove la procura vorrebbe obbligarlo a dimorare. “Pericolosità sociale” è la motivazione che gli inquirenti mettono nero su bianco nel provvedimento notificato agli avvocati Gino Bosco, Stefano Pellegrino e Arianna Rallo. La richiesta di obbligo di dimora sarà discussa nel corso di un’udienza davanti al tribunale che si terrà a luglio.

“La persecuzione giudiziaria continua. Due volte assolto e nuovamente aggredito. Ieri, dopo appena un’ora dalla chiusura della presentazione della mia candidatura e delle liste per l’elezione a sindaco di Trapani, con tempistica cadenzata in maniera da precludere ogni alternativa, ho ricevuto una assolutamente imprevedibile ed ingiusta proposta di misura di prevenzione per obbligo di soggiorno nel comune di residenza da discutere nel prossimo mese di luglio”, dice D’Alì che ha momentaneamente sospeso la sua campagna elettorale: in queste ore incontrerà Silvio Berlusconi a Roma per decidere come gestire la situazione. “Sento il dovere – continua – in questo momento di sospendere ogni mia personale attività di campagna elettorale, torno amareggiato a Roma per onorare come di consueto il mandato parlamentare, poiché ritengo che, pure essendo stato assolto da ogni accusa anche in appello, non potrei condurre le opportune iniziative con questo carico di infamia scaricatomi addosso! Già, io sarei socialmente pericoloso! Per mia sventura io sono solamente ‘politicamente da abbattere”.

Lungamente accusato di concorso esterno a Cosa nostra, D’Alì è stato assolto e prescritto in appello. Come ha raccontato ilfattoquotidiano.it la prescrizione era scattata perché per la corte d’appello di Palermo il senatore ha contribuito al rafforzamento di Cosa nostra almeno fino al 1994. E lo ha fatto “con coscienza e volontà“. Una serie di collaboratori di giustizia, invece, parlavano della sua “piena disponibilità nei confronti dei massimi esponenti della mafia trapanese”. Una disponibilità che non è legata ad alcun patto siglato con i padrini, i quali, in ogni caso, gli hanno dato il loro “appoggio elettorale” ai tempi della prima candidatura al Senato.

Dopo l’elezione a Palazzo Madama nel 1994, “appoggiata elettoralmente dall’associazione mafiosa”, per i giudici non è provato che D’Alì continuò ad avere dei legami con Cosa nostra, dopo la sua entrata in Senato. “L’accertata condotta illecita posta in essere dall’imputato non risulta seguita da alcuna condotta che possa essere significativamente assunta come sintomatica della volontà dell’imputato di permanere, sia pure come extraneus, nell’associazione mafiosa, fornendo un contributo al rafforzamento della stessa”,  si legge nelle motivazioni della sentenza depositate nel dicembre del 2016. E in attesa che sul caso D’Alì si esprimesse la Cassazione ecco che la procura ne chiede l’obbligo di soggiorno: alle elezioni comunali mancano poco più di venti giorni.

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