Sul piatto ci sono 504 milioni di euro in tre anni. Soldi destinati alle imprese terremotate, in teoria. Perché per lucrare sulle macerie le carte false non servono più: agli imprenditori spregiudicati basterà avviare entro il 31 dicembre di quest’anno un’attività in uno qualsiasi dei 140 comuni colpiti dal sisma del centro Italia per incassare gli stessi benefici fiscali e contributivi concessi a chi ha subito un vero danno. Senza un impegno vincolante sugli effettivi investimenti, senza un requisito minimo di permanenza e di trasferimento di impianti e dipendenti e con un vantaggio netto sugli imprenditori e residenti effettivamente colpiti, che per essere ammessi devono dimostrare d’aver subito una riduzione del fatturato pari al 25% rispetto all’anno precedente.
Il paradosso si realizza grazie all’articolo n.46 della manovrina-bis (i cui emendamenti saranno votati in commissione dal 22 maggio) che regola e disciplina la cosiddetta “zona franca urbana” nelle aree di Lazio, Marche, Abruzzo e Umbria colpite dagli eventi sismici a partire dal 24 agosto 2016. L’anomalia è stata già segnalata al governo e trova soluzione in un emendamento volto a introdurre paletti per fermare furbi e malintenzionati che si precipitassero nelle zone del cosiddetto “cratere” a caccia di indebiti vantaggi: il trasferimento delle attività e non solo della sede sociale, il collegamento tra incentivi ed effettive assunzioni nei comuni terremotati, l’obbligo a rimanervi per almeno quattro anni. Da ambienti governativi è già filtrata la volontà di rimediare. Nessun commento sull’imbarazzante svista.
La norma è rivolta in primis alle aziende colpite che potranno beneficiare della parziale esenzione dalle imposte sui redditi e dall’Irap, alle condizioni di legge, nonché dell’esenzione degli immobili produttivi dalle imposte municipali e dell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali e assistenziali a carico dei datori di lavoro. Per questo sono stati stanziati 194,5 milioni di euro quest’anno, 167,7 milioni di euro per l’anno 2018 e 141,7 milioni di euro per l’anno 2019. In totale 504 milioni di euro da distribuire su aree infra-comunali di dimensione prestabilita dove si concentrano programmi di defiscalizzazione per la creazione di piccole e micro imprese. Obiettivo prioritario delle Zfu è favorire lo sviluppo economico e sociale di quartieri ed aree urbane caratterizzate da disagio sociale, economico e occupazionale, e con potenzialità di sviluppo inespresse.
Ossigeno per le imprese danneggiate che la nuova norma post-sisma, con ragionevolezza, vorrebbe rendere subito disponibile. L’erogazione secondo i vecchi criteri era prevista infatti solo per le imprese con sede principale o unità locale all’interno della zona franca che potessero dimostrare un calo del fatturato del 25% della media relativa ai tre periodi di imposta precedenti a quello in cui si è verificato il sisma. Ma tre anni sono troppi, ha pensato il legislatore, con molto buonsenso. Ne ha messo però meno quando, con il comma 3, ha inteso fornire quella stessa boccata d’ossigeno anche a chi nelle zone colpite non è mai stato, in funzione attrattiva di possibili investimenti per zone ad alto rischio di depressione e disoccupazione. Intento lodevole tradotto in due righe frettolose che recitano così: “le agevolazioni previste dal comma 2 anche alle imprese che avviano la propria attività all’interno della zona franca entro il 31 dicembre 2017”.
Il problema? Per come è scritta la norma possono presentarsi, nei comuni terremotati, sedicenti imprenditori che non imprendono nulla, che non trasferiscono nulla ma che prendono e basta. E poi se ne vanno, visto che il testo non indica alcun requisito stringente la consistenza e la durata dell’investimento. Chi volesse speculare avrebbe praterie per farlo come all’Aquila, dove 400 aziende nei dodici mesi successivi al terremoto che la distrusse spostarono in quella provincia la sede della propria società realizzando il cosiddetto “dumping inverso”, cioè il fenomeno per cui le imprese si muovono da territori limitrofi non per solidarietà o voglia di ricostruire quanto per l’allettante prospettiva di ottenere condizioni fiscali favorevoli. Ma l’upgrade del rischio ha il sapore della beffa: il procacciatore di indebiti aiuti statali, per come recita la norma, avrebbe maggiori possibilità del titolare di un’azienda effettivamente colpita perché il primo non ha alcun requisito specifico da rispettare, il secondo deve invece dimostrare di aver sostenuto un danno di un quarto del fatturato rispetto al precedente esercizio. Se si ferma al 24,9%, per esempio, non avrà diritto ad alcun aiuto.
La norma va votata, così come l’emendamento, e il tempo stringe. “Noi, con il nostro emendamento, abbiamo provato a correggere in modo più ragionevole questa legge, ora spetta al governo dimostrare che reputa giusto aiutare in via prioritaria le imprese danneggiate dal terremoto”, affermano i deputati di Alternativa Libera Massimo Artini e Samuele Segoni. Entro il 29 il testo deve approdare in aula, dove il voto di fiducia sembra già quasi scontato e poi toccherà al Senato, ancora con voto di fiducia. Ultima scadenza per il 23 giugno. Un guizzo di buonsenso è ancora possibile.
Lobby
Manovrina, 504 milioni di aiuti a aziende terremotate: ma ai furbi che trasferiscono solo la sede più vantaggi e meno vincoli
L'articolo 46 estende i benefici della "zona franca urbana" agli imprenditori che entro dicembre spostano l'attività nei Comuni colpiti. Ma non ci sono obblighi su assunzioni e durata dell'investimento. Invece le imprese che avevano già sede lì devono dimostrare di aver subito un danno pari al 25% del fatturato. Pronto un emendamento, il governo disponibile a rimediare
Sul piatto ci sono 504 milioni di euro in tre anni. Soldi destinati alle imprese terremotate, in teoria. Perché per lucrare sulle macerie le carte false non servono più: agli imprenditori spregiudicati basterà avviare entro il 31 dicembre di quest’anno un’attività in uno qualsiasi dei 140 comuni colpiti dal sisma del centro Italia per incassare gli stessi benefici fiscali e contributivi concessi a chi ha subito un vero danno. Senza un impegno vincolante sugli effettivi investimenti, senza un requisito minimo di permanenza e di trasferimento di impianti e dipendenti e con un vantaggio netto sugli imprenditori e residenti effettivamente colpiti, che per essere ammessi devono dimostrare d’aver subito una riduzione del fatturato pari al 25% rispetto all’anno precedente.
Il paradosso si realizza grazie all’articolo n.46 della manovrina-bis (i cui emendamenti saranno votati in commissione dal 22 maggio) che regola e disciplina la cosiddetta “zona franca urbana” nelle aree di Lazio, Marche, Abruzzo e Umbria colpite dagli eventi sismici a partire dal 24 agosto 2016. L’anomalia è stata già segnalata al governo e trova soluzione in un emendamento volto a introdurre paletti per fermare furbi e malintenzionati che si precipitassero nelle zone del cosiddetto “cratere” a caccia di indebiti vantaggi: il trasferimento delle attività e non solo della sede sociale, il collegamento tra incentivi ed effettive assunzioni nei comuni terremotati, l’obbligo a rimanervi per almeno quattro anni. Da ambienti governativi è già filtrata la volontà di rimediare. Nessun commento sull’imbarazzante svista.
La norma è rivolta in primis alle aziende colpite che potranno beneficiare della parziale esenzione dalle imposte sui redditi e dall’Irap, alle condizioni di legge, nonché dell’esenzione degli immobili produttivi dalle imposte municipali e dell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali e assistenziali a carico dei datori di lavoro. Per questo sono stati stanziati 194,5 milioni di euro quest’anno, 167,7 milioni di euro per l’anno 2018 e 141,7 milioni di euro per l’anno 2019. In totale 504 milioni di euro da distribuire su aree infra-comunali di dimensione prestabilita dove si concentrano programmi di defiscalizzazione per la creazione di piccole e micro imprese. Obiettivo prioritario delle Zfu è favorire lo sviluppo economico e sociale di quartieri ed aree urbane caratterizzate da disagio sociale, economico e occupazionale, e con potenzialità di sviluppo inespresse.
Ossigeno per le imprese danneggiate che la nuova norma post-sisma, con ragionevolezza, vorrebbe rendere subito disponibile. L’erogazione secondo i vecchi criteri era prevista infatti solo per le imprese con sede principale o unità locale all’interno della zona franca che potessero dimostrare un calo del fatturato del 25% della media relativa ai tre periodi di imposta precedenti a quello in cui si è verificato il sisma. Ma tre anni sono troppi, ha pensato il legislatore, con molto buonsenso. Ne ha messo però meno quando, con il comma 3, ha inteso fornire quella stessa boccata d’ossigeno anche a chi nelle zone colpite non è mai stato, in funzione attrattiva di possibili investimenti per zone ad alto rischio di depressione e disoccupazione. Intento lodevole tradotto in due righe frettolose che recitano così: “le agevolazioni previste dal comma 2 anche alle imprese che avviano la propria attività all’interno della zona franca entro il 31 dicembre 2017”.
Il problema? Per come è scritta la norma possono presentarsi, nei comuni terremotati, sedicenti imprenditori che non imprendono nulla, che non trasferiscono nulla ma che prendono e basta. E poi se ne vanno, visto che il testo non indica alcun requisito stringente la consistenza e la durata dell’investimento. Chi volesse speculare avrebbe praterie per farlo come all’Aquila, dove 400 aziende nei dodici mesi successivi al terremoto che la distrusse spostarono in quella provincia la sede della propria società realizzando il cosiddetto “dumping inverso”, cioè il fenomeno per cui le imprese si muovono da territori limitrofi non per solidarietà o voglia di ricostruire quanto per l’allettante prospettiva di ottenere condizioni fiscali favorevoli. Ma l’upgrade del rischio ha il sapore della beffa: il procacciatore di indebiti aiuti statali, per come recita la norma, avrebbe maggiori possibilità del titolare di un’azienda effettivamente colpita perché il primo non ha alcun requisito specifico da rispettare, il secondo deve invece dimostrare di aver sostenuto un danno di un quarto del fatturato rispetto al precedente esercizio. Se si ferma al 24,9%, per esempio, non avrà diritto ad alcun aiuto.
La norma va votata, così come l’emendamento, e il tempo stringe. “Noi, con il nostro emendamento, abbiamo provato a correggere in modo più ragionevole questa legge, ora spetta al governo dimostrare che reputa giusto aiutare in via prioritaria le imprese danneggiate dal terremoto”, affermano i deputati di Alternativa Libera Massimo Artini e Samuele Segoni. Entro il 29 il testo deve approdare in aula, dove il voto di fiducia sembra già quasi scontato e poi toccherà al Senato, ancora con voto di fiducia. Ultima scadenza per il 23 giugno. Un guizzo di buonsenso è ancora possibile.
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Politica
Tajani: “L’Italia non userà fondi di coesione per comprare armi”. Si spacca il Pd: chi sta con Schlein
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "I fondi di coesione sono fondamentali per ridurre i divari e le disuguaglianze nel nostro paese e in tutta Europa, non possono e non devono essere usati per spese militari. Il Pd oggi ha difeso questa impostazione. Un’Europa forte e sicura e’ innanzitutto un’Europa più coesa. Elly Schlein e Giuseppe Provenzano hanno detto anche questo oggi al vertice socialista a Bruxelles. Dobbiamo essere tutti uniti per la tutela di questo strumento necessario a garantire protezione sociale e opportunità per una crescita giusta". Così in una nota Marco Sarracino, responsabile Coesione territoriale, Sud e aree interne nella segreteria nazionale del Pd.
Roma, 6 mar (Adnkronos) - "Un episodio grave e inaccettabile che deve essere condannato con forza e determinazione: la sofferenza del popolo palestinese non può e non deve essere strumentalizzata da delinquenti intenzionati a spargere nelle nostre città odio antisemita profanando un luogo nato per coltivare la memoria dell’orrore della Shoah". Lo dice all'Adnkronos il deputato del Pd Andrea Casu a proposito della vicenda del museo della Shoah di Roma.
Milano, 6 mar. (Adnkronos) - La Procura di Milano ha chiesto al Comune - nell'ambito dell'inchiesta sull'urbanistica - la consegna delle dichiarazioni e delle comunicazioni (previste per legge) concernenti "l'assenza di conflitti di interesse, anche potenziali", sottoscritte da Giovanni Oggioni (arrestato ieri per corruzione), sia riguardo l'incarico di direttore del Sportello unico per l'edilizia (Sue), che per quello di componente della Commissione per il paesaggio; dell'ex dirigente Franco Zinna; degli indagati Andrea Viaroli e Carla Carbone e "di tutti i membri delle Commissioni per il paesaggio, a partire almeno dal 2015 in poi", ossia delle quattro commissioni (compresa l'attuale) che si sono succedute nel corso degli ultimi dieci anni.
Per la procura, si legge nel provvedimento, è "altrettanto necessario completare (aggiornandole sino alla data odierna) le acquisizioni dei 'verbali delle riunioni cosiddette di staff', nonché i verbali della Commissione attuazione nuovo Pgt e la relativa determina del 23 luglio 2020, nonché del 'Gruppo di lavoro' istituito in seno all'Area Rigenerazione Urbana", a partire dal primo giugno 2024 a oggi.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "In un mutato e minaccioso quadro internazionale, il piano Ue per la difesa è per i Socialisti e Democratici europei un primo importante passo per assicurare il necessario sostegno all’Ucraina e la sicurezza dei nostri cittadini. A Bruxelles siamo al lavoro perché dal Parlamento venga una spinta forte nella direzione della condivisione e del coordinamento degli investimenti, verso una vera difesa comune europea". Lo scrive sui social l'eurodeputato Pd, Giorgio Gori.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "La linea del Partito Socialista Europeo è chiara, netta ed inequivocabile: il ReArm Europe è un atto iniziale importante per la creazione di una difesa comune europea". Lo scrive la vicepresidente del Parlamento Ue, Pina Picierno del Pd, sui social.
"Non c’è nessuna rincorsa bellicista, nessuna distruzione del welfare e di quanto con fatica abbiamo costruito dopo la pandemia ma solo la necessità di rendere più sicuro il nostro continente e le nostre democrazie. Cosi come fu per il NextGenerationEu siamo davanti ad una svolta storica per l’Unione Europea che punterà su indipendenza strategica, acquisti comuni e innovazione".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - “Per la difesa europea servono investimenti comuni in sicurezza, una sola politica estera, economia forte e società coesa, serve un vero salto di qualità verso gli Stati Uniti d’Europa. Di fronte alle minacce che si profilano bisogna sostenere le nostre capacità di difesa nel modo più credibile, senza frammentare le spese tra gli Stati e neanche dando ancora soldi all’America come vorrebbe Trump. Il punto di vista portato dalla segretaria Schlein al vertice del Pse è stato ascoltato ed è positivo l’accordo dei socialisti europei sui fondi di coesione. Il Pd indica una strada di fermezza, consapevolezza e responsabilità sociale, senza farsi distrarre da alcun richiamo”. Lo dichiara Debora Serracchiani, componente della segreteria nazionale del Partito democratico.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Decidere maggiori investimenti per rendere più sicuro e protetto il nostro continente è una scelta non più rinviabile. La difesa europea è un pilastro fondamentale della nostra autonomia strategica. Non possiamo avere tentennamenti su questo obiettivo. La discussione non è sul se, ma sul come arrivarci". Così Alessandro Alfieri, capogruppo Pd in commissione Esteri e Difesa a Palazzo Madama.
"In questi giorni i nostri a Bruxelles stanno facendo un lavoro prezioso per evitare che si utilizzino i fondi di coesione per finanziare spese militari e per incentivare, attraverso gli strumenti europei vecchi e nuovi, le collaborazioni industriali e gli acquisti comuni fra Paesi Europei, l’interoperabilità dei sistemi e i programmi sugli abilitanti strategici (spazio, cyber, difesa aerea, trasporto strategico). In questo quadro, va salutato positivamente che dopo il Next Generation si consolidi l’idea di emettere debito comune per finanziare un bene pubblico europeo come la difesa".
"Anche perché sarà per noi meno complicato continuare la nostra battaglia per estenderlo agli altri pilastri dell’autonomia strategica, a partire dalle politiche per accompagnare la transizione ecologica e digitale. Un passo importante quindi, come sottolineato dal nostro gruppo a Bruxelles, a cui certamente ne dovranno seguire altri se si vuole davvero rafforzare la nostra difesa comune”.