Jared Kushner avrebbe discusso con l’ambasciatore russo Sergei Kislyak la possibilità di creare canali di comunicazione riservati tra gli uomini di Donald Trump e Mosca. Lo rivela il Washington Post. La richiesta sarebbe stata fatta proprio dal genero del presidente durante un incontro alla Trump Tower, presente anche il generale Michael Flynn. La Casa Bianca non commenta la rivelazione che, se confermata, potrebbe tradursi in un’accusa di tradimento per Kushner.
Già da alcuni giorni si sapeva che l’FBI stava conducendo un’indagine su Kushner, senza però che fossero emersi molti dettagli sui fatti investigati. L’articolo del Washington Post, pubblicato mentre Trump è all’estero per il suo primo viaggio di stato, chiarisce alcuni dettagli. Kushner e funzionari russi si sarebbero incontrati e avrebbero parlato telefonicamente più volte – più di quanto ammesso in un primo tempo da Kushner stesso. Reuters scrive che i contatti telefonici tra il genero di Trump e l’ambasciatore russo a Washington sono stati almeno tre. L’avvocato di Kushner, Jamie Gorelick, ha spiegato che il suo cliente ha avuto decine di conversazioni e che non ricorda esattamente.
In uno di questi incontri, nella Trump Tower di New York, Kushner avrebbe appunto discusso della possibilità di canali riservati con i russi, quindi al di fuori del controllo delle autorità politiche, militari e di intelligence statunitensi. La richiesta di Kushner venne riferita dall’ambasciatore Kislyak ai suoi superiori, a Mosca, ed è allora che fu intercettata dai servizi americani. Questi “canali riservati” dovevano con ogni probabilità servire a discutere questioni come la Siria ed altri temi internazionali altamente “sensibili”. Si spiega probabilmente così la presenza all’incontro di Michael Flynn, che è stato nominato in seguito da Trump consigliere alla sicurezza nazionale e che si è poi dovuto dimettere proprio per contatti poco chiari con le autorità russe.
Se confermata, la notizia della richiesta di Kushner ai russi sarebbe per molti versi esplosiva. Ai tempi dell’incontro, a dicembre, si era ancora nella fase di transizione. Trump non era presidente; Kushner non aveva alcun ruolo ufficiale. Senza dunque avere alcun ruolo e mandato, un privato cittadino americano chiedeva di aprire canali dove discutere di intelligence con un Paese straniero, al di fuori di qualsiasi controllo da parte dei servizi americani. La cosa non attiene nemmeno più a una generica opportunità politica. L’accusa che potrebbe essere mossa contro Kushner è infatti quella di tradimento ed è per questo che le prime reazioni alle rivelazioni del Post sono di preoccupazione e shock. “E’ difficile esprimere la gravità di quanto successo”, ha spiegato un’esperta di sicurezza nazionale, Susan Hennessey. “Mio dio, è una cosa seria”, ha commentato Bob Deitz, veterano della CIA e della National Security Agency.
Resta da vedere, a questo punto, cosa Donald Trump sapeva – se sapeva – delle manovre del genero. Un fatto appare però incontrovertibile. Jared Kushner, nella catena di comando, dipende direttamente da Trump. Per il presidente sarebbero dunque imbarazzanti entrambi gli scenari. Se Trump sapeva quello che Kushner stava chiedendo ai russi, ha acconsentito a qualcosa di illegale. Se invece Kushner si è mosso al di fuori del controllo di Trump, senza avere un ruolo ufficiale, ne esce fortemente indebolita la capacità della Casa Bianca di gestire collaboratori e problemi.
L’inchiesta sui rapporti con la Russia va del resto avanti su diversi fronti – tutti non particolarmente positivi per il presidente. La commissione intelligence del Senato ha chiesto alla campagna di Donald Trump di consegnare tutti i documenti, rapporti, e-mails e tabulati telefonici prodotti dal lancio della candidatura di Trump, nel giugno 2015. E’ la prima volta che questa richiesta viene fatta dalla commissione bipartisan del Senato, a dimostrazione di come l’inchiesta si stia allargando e di come i senatori, democratici e repubblicani, vogliano vedere chiaro nella storia dell’interferenza russa nelle presidenziali 2016. Si è anche saputo che Oleg Deripaska, un oligarca russo molto vicino all’ex campaign manager di Trump, Paul Manafort, ha detto di essere pronto a collaborare con l’inchiesta in cambio dell’immunità. La richiesta non è stata accolta, ma segnala l’apertura di un nuovo filone particolarmente imbarazzante per Trump. Manafort è stato per mesi l’uomo che ha controllato temi, messaggi, finanze, uomini, legami della campagna dell’allora candidato repubblicano.