Di concerto in concerto. 450 in due giorni. Un ciclone di note, nei chiostri, nei cortili, nei giardini, tra i grattacieli, ha invaso Milano. E’ stato bellissimo. Pianocity ha inaugurato con Chilly Gonzales nel giardino di Villa Reale. L’istrionico pianista e produttore canadese capace di muoversi tra musica classica, rap ed elettronica, si è presentato sul palco in pantofole e vestaglia ( vabè con le iniziali ricamate sul taschino) mentre alle sue spalle un mega schermo inquadrava solo le sue mani e i tasti del pianoforte. Per una volta niente poltroncine in prima fila per le autorità, solo coperte di pile rosso con la scritta riservato dove si è accomodato il sindaco: mano nella mano con la nuova fidanzata, Chiara Bazoli, sul prato, sotto le stelle, più romantico di così. Ottima scelta per Sala, visto che lei, oltre a essere bella e stilosa è pure figlia del banchiere Giovanni Bazoli, presidente emerito di Intesa San Paolo.
Sembrava un revival di Woodstock. Sveglia poco prima delle cinque del mattino, per trovarmi all’apertura di cancelli del parco Sempione. Al teatro scultura di Burri mentre le sfumature dell’alba si stemperano tra l’Arco della Pace e il Castello Sforzesco, in un’infilata virtuale, Michael Nyman è già lì ad accordarsi le corde del piano. Viene da chiedersi se il premio Oscar per “Lezioni di Piano” sia insonne o nottambulo.
E io che mi aspettavo di trovare poche anime tiratardi, invece c’erano famigliole con bambini aggrappati addosso, ancora insonnoliti, signore di una certa età sedute sprofondate sul pareo con termos di caffè per affogarci dentro un cornetto. No, Sala si è risparmiato l’alzataccia. In compenso c’erano tanti, tantissimi ragazzi, quelli che di solito sballano con i Cold Play. Nyman è mostruosamente bravo, applausi, ritorna in scena tre volte per concedere i bis. Solo alla fine il pubblico dei non paganti (i concerti erano tutti gratuiti) sbraca, si alzano in piedi, avvicinano al palcoscenico tablet, smartphone (manca poco che ci saltano sopra) e comincia lo tsunami di selfie. Non basta solo vivere la musica, quella musica bella e profonda che dà vitalità e trasforma un parco in un nido protettivo, il cinguettare degli uccelli, note fra le note. Bisogna anche condividere. Subito. E la magia svanisce.
Poi ci sono quelli che si prendono troppo sul serio, alle Gallerie d’Italia in piazza della Scala mi fanno: “Ha prenotato? (No). E’ già cominciato da 43 secondi. Non si può più entrare”. Neanche fossimo alla prima scaligera! Alla Casa degli Atellani, pochi minuti di ritardo e a me a a una decina di persone sbattono il portone sul muso. A San Maurizio al monastero Maggiore quei precisini dei volontari del Touring club ci sbarrano il passo, preferiscono il semivuoto della cappella a un fuori tempo.
Dal profumo dei glicini si passa a un misto di muffa e umido, siamo dentro l’Albergo Diurno, un salone di bellezza art decò nella Milano sotterranea di Porta Venezia, che un tempo fungeva da bagno pubblico, barbiere e pedicure, adesso si riempie di note di Schumann/Debussy/Bach.
Arriva nella Piazza di Santa Maria delle Grazie e parcheggia davanti al Cenacolo il suo Ape Piaggio. La giovane pianista, Rossana Lanzillotta, scarica una scaletta e si inerpica. Bombetta nera e gonna di pizzo nero, si toglie le scarpe e attacca con Rossini. Un vero talento, peccato che non ci fosse molta gente, forse non hanno capito cosa significasse piano à porter.
E Fondazione Prada entra nel Guinness dei primati per la maratona del solista Nicolas Horvath che dalle dieci del mattino alle nove di sera rende omaggio all’icona Philip Glass. Non si è fermato un attimo, un’eccezionale resistenza “idrica”, non si è fermato neanche per la pipì, hanno detto testimoni oculari.
Gli sponsor erano tanti, ma per una volta sono rimasti invisibili. Tranne Red Bull, dell’energy drink era zeppo il tavolino di Horvath insieme alla pila di spartiti (altrimenti il pianista come avrebbe retto al tour de force musicale). I nomi degli altri non erano strimpellati ad ogni angolo. Gli stilisti per il momento sono rimasti fuori dalla kermesse musical/pop. Scommettiamo che l’anno prossimo per farsi un po’ di eco appenderanno anche loro quattro pezze alle corde del pianoforte.