Almeno 164 le vittime finora accertate, più di 100 i dispersi, 442mila le persone colpite, 230 le case distrutte e 1.700 quelle danneggiate, più di 100 gli sfollati in 319 campi di raccolta. Questo è il bilancio delle alluvioni e delle frane innescate dalle piogge monsoniche che negli ultimi giorni hanno colpito lo Sri Lanka. Ed è un bilancio ancora provvisorio giacché l’evento non si è ancora esaurito e le previsioni sono tuttora preoccupanti. Sri Lanka è un paese lontano, che non ho mai visitato, dove nacque uno studioso inglese con cui ho scritto molti articoli scientifici e tre libri: me lo ha sempre descritto come un luogo incantato, ricco di storia e di cultura. L’evento era atteso con qualche anticipo, come mostra la mappa satellitare del 23 maggio qui riprodotta.

Nonostante gli effetti del disastro siano stati mitigati grazie una serie di misure di protezione civile attivate per tempo, le distruzioni sono gravissime e la situazione sanitaria nelle province colpite è critica. E la maggior parte delle vittime e i danni maggiori sono stati provocati dalle colate di fango e dall’erosione di sponda dei corsi d’acqua, compreso quelle del fiume Kelani che scorre vicino alla capitale, Colombo.

Si tratta del peggiore evento dal maggio 2003, quando un monsone di analoga potenza distrusse 10mila case, uccidendo 250 persone. Soltanto un mese fa, comunque, un nubifragio aveva fatto franare una enorme discarica alla periferia di Colombo, abbattendo una quarantina di baracche e provocando almeno 26 vittime. Non si trattava di un evento inatteso, giacche nel 2016 i residenti avevano avvertito le autorità del pericolo. E nel maggio dello scorso anno si era verificata in Sri Lanka un’altra terribile alluvione, anche questa tra le più disastrose degli ultimi 25 anni: oltre 90 morti e migliaia di sfollati. E la frana del 18 maggio 2016 che colpì Aranayaka, nel distretto di Kegalle in provincia di Sabaragamuwa, seppellì le case di 220 famiglie nei paesi di Siripura, Pallebage e Elagipitya.

Negli ultimi mesi c’è stata una catena di eventi che, in estrema sintesi, si esprime nel detto “piove sul bagnato”, immortalato da Giovanni Pascoli nelle sue Prose: “Piove sul bagnato: lagrime su sangue, sangue su lagrime”. Un concetto che troviamo espresso in molte lingue: “When it rains, it pours” titola un rap cantato da 50Cent: quando piove, diluvia. E che era anche il titolo di un successo di Elvis Presley del 1955. In generale, gli eventi eccezionali di natura meteorologica sono statisticamente indipendenti l’uno dall’altro, poiché la memoria del sistema idro-atmosferico è molto corta: una particella d’acqua compie mediamente il proprio ciclo in circa otto giorni. Approfondire la concatenazione degli eventi, però, appare una frontiera scientifica sempre più importante.

I disastri naturali dell’oriente del mondo, assai più numerosi e gravosi di quanto diano notizia i media italiani, non provocano certo la nostra emozione come quando questi eventi ci toccano da vicino. Un rapporto dell’Agenzia europea per l’ambiente di un anno fa, però, suggerisce previsioni terrificanti sul possibile incremento della frequenza con cui alluvioni e frane disastrose colpiranno anche in Europa. E, soprattutto, mette in guardia sul loro impatto sanitario, economico e sociale. Ma vale la pena discuterne in modo specifico alla prossima occasione continentale.

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