Quella che a prima vista potrebbe sembrare una frase innocua, di buon senso, detta per non sbilanciarsi pubblicamente su un tema delicato – quello dell’investimento nel fondo Atlante -, assume tutta un’altra valenza se a pronunciarla è la presidente di Poste Italiane Maria Bianca Farina. “Al momento non ci è stato chiesto e non è questo un argomento all’ordine del giorno”, ha detto Farina a margine di un convegno, per poi aggiungere che se dovesse arrivare la richiesta di un nuovo apporto di capitale nel fondo “faremo una nuova analisi dei rischi e dell’interesse dell’assicuratore. A priori non si può mai dire, dipende dal tipo di intervento richiesto”. Fin qui nulla di male. Il problema si pone con la frase successiva: “Siamo una compagnia che gestisce i risparmi dei nostri clienti e quindi stiamo molto attenti”. Così attenti che Poste Italiane, attraverso Poste Vita, lo scorso anno ha investito in Atlante 260 milioni dei suoi assicurati, soldi immolati nel salvataggio delle due banche Venete – Popolare Vicenza e Veneto Banca – che oggi sono nuovamente punto e a capo.
Soldi di comuni risparmiatori utilizzati non nel loro interesse, ma in quello del sistema bancario da parte di una società che pur trasformata in spa e quotata in Borsa è pur sempre un’azienda a controllo pubblico che raccoglie quattrini attraverso il canale del risparmio postale, quello stesso canale che finanzia la sua controllante, la Cassa depositi e prestiti, anch’essa tra i principali investitori del fondo Atlante. E ora, dice la presidente, Poste Vita è pronta a valutare nuove avventure assieme ad Atlante con i soldi dei suoi ignari assicurati. Un’unica opzione pare esclusa: l’iniezione di nuovi capitali nelle due banche a rischio bail-in. Quaestio sgr, la società di gestione di Atlante, lo ha scritto a chiare lettere in una missiva indirizzata ai consigli d’amministrazione dei due istituti controllati al 99% dal fondo.
“Allo stato – scrive la sgr presieduta da Alessandro Penati – non vi sono le condizioni per qualsiasi ulteriore investimento nelle vostre banche da parte dei fondi da noi gestiti”. La formalizzazione di ciò che già si sapeva: il fondo Atlante 1, “l’unico che da regolamento può investire in strumenti di capitale delle banche (vale a dire azioni, ndr), ha disponibilità residue per meno di 50 milioni di euro”, scrive Quaestio ricordando inoltre che Atlante 2 “che investe esclusivamente in npl, ha già impegnato in via preliminare 450 milioni di euro” per l’eventuale cartolarizzazione dei crediti in sofferenza dei due istituti veneti. “Ogni eventuale ulteriore investimento di npl delle vostre banche da parte di Atlante2 – si legge nella lettera – sarebbe problematico in quanto le risorse attualmente disponibili appaiono già ora insufficienti a soddisfare le domande che ci provengono da altre istituzioni bancarie che necessitano di dismettere i loro portafogli”.
Dunque i rimanenti fondi di Atlante e quelli derivanti da un eventuale nuovo round di finanziamenti non verranno impiegati per Popolare Vicenza e Veneto Banca, che appaiono destinate a subire molto presto il bail-in dato che nessun privato è disposto a coprire il miliardo e rotti di perdite dovute alla cessione dei crediti in sofferenza a prezzi di mercato. Senza quel miliardo e rotti non ci può essere il via libera di Bruxelles alla ricapitalizzazione preventiva, e dunque il bail-in pare ormai inevitabile. A essere toccati saranno dunque anche i possessori di obbligazioni “senior”, ossia le normali obbligazioni bancarie, ed è evidente che per Roma la questione è tutta e solo politica: un bail-in in campagna elettorale – ammesso che si vada davvero a votare in autunno – è un cosa che l’attuale governo e l’ex premier Matteo Renzi non possono assolutamente permettersi perché – ammesso che ce ne fosse bisogno – sarebbe la certificazione del fallimento della loro “non gestione” delle crisi bancarie.
Quindi è facile immaginare che in queste settimane e mesi verrà fatto di tutto per evitare l’inevitabile e cercare di guadagnare tempo prezioso per chi conta di farsi eleggere e continuare a guidare il Paese. E così facendo la situazione delle due banche non potrà che peggiorare, fino ad arrivare al punto di non ritorno, quello cioè in cui perfino il tanto vituperato bail-in sarebbe inutile e non resterebbe che procedere con la liquidazione coatta amministrativa con tutto quello che ne consegue. Sarebbe certo un’ulteriore prova di grave irresponsabilità politica e c’è da sperare che, se non i cittadini, almeno la Commissione europea e la Bce intervengano con decisione nelle prossime settimane dettando finalmente i tempi e le modalità per la soluzione di questa crisi bancaria che si trascina da anni distruggendo preziose risorse.
Tornando a Poste Italiane e alle sue polizze Vita viene da pensare che la presidente Farina abbia ricevuto sollecitazioni non tanto per mettere altri quattrini nelle due banche venete, quanto piuttosto per potenziare il fondo Atlante 2, già oggi a corto di capitali, in vista dell’operazione sui non performing loans di MontePaschi per i quali Atlante ha ricevuto un’esclusiva a trattare sulle condizioni della cartolarizzazione. Un’operazione che non potrà certo essere proposta e fatta secondo lo schema fallimentare elaborato da Penati la scorsa estate e che probabilmente richiederà molti più capitali di quelli previsti inizialmente (Mps dovrà ulteriormente svalutare i suoi crediti anche per effetto dell’ispezione condotta dalla Bce lo scorso anno). Non è forse questo un investimento adatto a chi ha sottoscritto le polizze Vita alla Posta, tanto più se Atlante comprerà gli npl a un prezzo superiore a quello che il mercato è disposto a pagare?