L’Ilva è di Am Investco Italy, la joint-venture composta dal colosso franco-indiano ArcelorMittal e il Gruppo Marcegaglia. Nonostante il rischio di una pronuncia negativa dell’Antitrust Ue sulle quote di mercato e il parere dei tecnici incaricati dai commissari straordinari di valutare le offerte, che definisce “incoerenti” gli investimenti ed evidenzia altre lacune nel documento presentato dai vincitori. Non è bastato neanche il rilancio in extremis – fuori tempo massimo, secondo il ministero e l’Avvocatura di Stato – dell’altra cordata in gara, AcciaItalia, composta dal gruppo indiano Jindal e dalla finanziaria Delfin di Leonardo Del Vecchio. La vittoria di Am Investco è stata sancita dalla firma del ministro della Sviluppo Economico, Carlo Calenda, che autorizza i commissari del Gruppo Ilva in amministrazione straordinaria a procedere all’aggiudicazione dei complessi aziendali e ad aprire immediatamente una fase negoziale in esclusiva finalizzata ad eventuali miglioramenti dell’offerta vincolante, come previsto dalla procedura di gara. Il decreto del ministro indica le priorità sulle quali trattare con Am Investco – partecipata all’85% da ArcelorMittal e al 15% da Marcegaglia Carbon Steel – tra le quali c’è un “miglioramento dell’offerta sotto il profilo della tutela occupazionale”, prevedendo “almeno 10.000 unità per l’intero periodo di riferimento del piano industriale tenendo conto che l’accordo sindacale potrà ulteriormente precisare e incrementare tale obbligo”. Numeri che cozzano però con i 4.800 esuberi annunciati ai sindacati dal ministero in un incontro tenutosi la scorsa settimana.
Cosa propone la cordata – Nelle linee guida svelate dopo l’apertura delle buste con le offerte vincolanti, AmInvestco si è impegnata a versare 1,8 miliardi per Ilva e altri cinque rami d’azienda (Ilva Servizi Marittimi, Ilvaform, Taranto Energia, Socova e Tillet) e garantisce una produzione di 6 milioni di tonnellate con gli altoforni attivi in questo momento. Entro il 2023 conta però di arrivare a 10 milioni, otto dei quali provenienti dalla zona a caldo. Il tutto, però, con ingenti tagli occupazionali: 9.400 occupati dal 2018, ovvero 4.800 in meno rispetto a oggi, per poi scendere a 8.400 tra sei anni. Sotto il profilo ambientale, AmInvestco prevede l’impiego di nuove tecnologie “a bassa emissione di anidride carbonica, tra cui la cattura e l’utilizzo del carbonio”, la copertura dei parchi minerari e investimenti in conto capitale pari a 1,15 miliardi. Il lato industriale prevede invece 1,25 miliardi, da destinare anche al rifacimento dell’altoforno 5. Il tutto, hanno spiegato ArcelorMittal e Gruppo Marcegaglia negli scorsi mesi, verrà sostenuto grazie a linee di credito disponibili “pari a oltre 5 miliardi di euro“.
Ma i tecnici non si fidano: “Piano incoerente” – Numeri e intenzioni della join venture sono però stati stroncati dai tecnici incaricati dai commissari straordinari di valutare le proposte delle due cordate che erano in gara: nella relazione, svelata dal Fatto Quotidiano, gli investimenti vengono definiti “incoerenti” rispetto ai volumi di produzione dichiarati e nel piano di riaccensione degli altiforni (Afo) non viene menzionato il rifacimento del numero 2, per il quale servirebbero 115 milioni. “L’assenza di Afo2 comporta un esubero di circa 2.000 persone rispetto a quanto indicato nel piano”, si legge nella nota. E, sostengono sempre i tecnici, ci sarebbero problemi anche sulla qualità della produzione: “Il documento non prevede investimenti sulla riattivazione della linea di produzione dei tubi”. Uno scenario che viene ritenuto “non compatibile con i livelli di produzione di acciai di elevata qualità dichiarati”.
La lettera (ignorata) di AcciaItalia a Calenda – Ma prima i commissari e poi il ministero dello Sviluppo Economico hanno deciso di tirare dritto e assegnare l’Ilva e i suoi rami d’azienda alla cordata, sostenuta da Banca Intesa San Paolo. Nonostante il tentativo in extremis della cordata perdente, AcciaItalia, composta dal gruppo indiano Jindal e dalla finanziaria Delfin di Leonardo Del Vecchio dopo che Cassa Depositi e Prestiti e Arvedi si sono sfilati negli scorsi giorni. AcciaItalia si è prima detta pronta a rilanciare sul prezzo – proponeva 1,2 miliardi con gli 1,8 di Am Investco – arrivando a superare l’offerta degli avversari di 50 milioni e poi lo scorso 4 giugno ha inviato una lettera al ministro Calenda, ai commissari e per conoscenza al primo ministro Paolo Gentiloni, nella quale dice che la sua offerta “è l’unica che, sulla base di elementi oggettivi e non discutibili, può essere oggetto di aggiudicazione”. Jindal e Delfin spiegano che la loro offerta “è migliore dal punto di vista industriale e ambientale” e per questo “dovrebbe aver ricevuto il maggior punteggio” e si dicono pronti a “ogni più ampio diritto di verifica, nonché l’esame della relativa documentazione”, tra cui la relazione pubblicata dal Fatto e il parere dell’Avvocatura di Stato che ha dato il via libera al ministero, esprimendosi però solo sui rilanci relativi al prezzo.
“Rischio Antitrust. E ritardi Aia non alterino la gara” – Ribadendo il “rischio di natura antitrust incombente su AmInvestco Italy”, che potrebbe sforare il 40% delle quote di mercato Ue essendo costretta a vendere alcuni suoi asset in altri Paesi europei, AcciaItalia chiede al ministero di valutare una fase di rilancio, dicendosi pronta a parteciparvi, e si dice certa che questo allungamento dei tempi non comporterebbe “la violazione di alcun termine di legge per la conclusione della procedura di assegnazione”. Poi la bordata ai commissari e al ministero, che hanno parlato di un termine per concludere l’iter di cessione al 30 settembre 2017. Secondo AcciaItalia quella data si limita “a precisare quale sia attualmente il termine di completamento dell’attuale Piano Ambientale“: “Se poi per effetto dei ritardi accumulati negli anni nell’esecuzione dell’Autorizzazione integrata ambientale tale termine non dovesse essere rispettato, e se anche tale inadempimento dovessero discendere determinati effetti nei confronti dei soggetti che hanno gestito il Gruppo Ilva in tali anni, è ictu oculi evidente – si legge nella lettera visionata da ilfattoquotidiano.it – che ciò non può certamente essere ragione sufficiente per alterare l’esito di una gara tanto rilevante per gli interessi pubblici dell’intero Paese”. E’ alto, insomma, il rischio che AcciaItalia decida di ricorrere contro l’assegnazione, visto che la lettera si conclude in maniera lapidaria: “Si invita a non aggiudicare la gara ad AmInvestco se non a seguito degli ulteriori necessari accertamenti”.
I sindacati protestano: 3 mesi per l’accordo – E’ andata diversamente e nei prossimi mesi vivrà un altro passaggio delicato, ovvero la trattativa con i sindacati, che avevano chiesto un incontro prima del decreto. La partita si giocherà sullo scorporo o meno dei 14.200 dipendenti in due società, una delle quali dovrebbe rimanere sotto la gestione dei commissari e occuparsi delle bonifiche. Secondo le sigle, lì dentro confluiranno gli esuberi e quando verrà terminata la fase di ambientalizzazione, i lavoratori verranno scaricati. Sarà solo la prima partita che andrà avanti almeno fino a settembre, ma se l’Antitrust Ue dovesse pronunciarsi con tempi larghi sulla questione delle quote di mercato, la trattativa potrebbe anche proseguire. I 5.800 esuberi previsti a regime vengono definiti “improponibili” dai sindacati. La posizione di Cgil, Cisl, Uil, Ugl e Usb non è secondaria, poiché l’accordo dei lavoratori è necessario per chiudere la fase di vendita. Il ministero ha però deciso, nonostante diversi pareri negativi: l’Ilva va ad ArcelorMittal e al Gruppo Marcegaglia.