Salvatore Riina potrebbe anche ottenere gli arresti domiciliari. Il motivo? Il “diritto a morire dignitosamente” va assicurato ad ogni detenuto. Anche al capo dei capi di Cosa nostra. Lo ha messo nero su bianco la corte dei Cassazione accogliendo per la prima volta il ricorso dell’avvocato di Riina, Luca Cianferoni, che chiede per il suo assistito il differimento della pena o, in subordine, la detenzione domiciliare. Parole, quelle della Suprema corte, che hanno scatenato – come prevedibile – una pioggia di critiche.
La richiesta del legale di Riina- si legge nella sentenza numero 27.766, relativa all’udienza del 22 marzo scorso – era stata respinta lo scorso anno dal tribunale di sorveglianza di Bologna, che però, secondo la Cassazione, nel motivare il diniego aveva omesso “di considerare il complessivo stato morboso del detenuto e le sue condizioni generali di scadimento fisico”. Il tribunale non aveva ritenuto che vi fosse incompatibilità tra l’infermità fisica di Riina e la detenzione in carcere, visto che le sue patologie venivano monitorate e quando necessario si era ricorso al ricovero in ospedale a Parma. Insomma: nonostante fosse malato, il boss poteva tranquillamente rimanere in carcere. Un giudizio bocciato dalla Suprema corte che sottolinea come il giudice debba verificare e motivare “se lo stato di detenzione carceraria comporti una sofferenza ed un’afflizione di tale intensità” da andare oltre la “legittima esecuzione di una pena”.
Gli ermellini ritengono infatti che dalla decisione del giudice di Bologna non emerga in che modo si è giunto a ritenere compatibile con il senso di umanità della pena “il mantenimento in carcere, in luogo della detenzione domiciliare, di un soggetto ultraottantenne affetto da duplice neoplasia renale, con una situazione neurologica altamente compromessa“. Nella sentenza della Cassazione si legge dunque che Riina, ormai 86enne, non riesce a stare seduto ed è esposto “in ragione di una grave cardiopatia ad eventi cardiovascolari infausti e non prevedibili”. Per questo la Suprema corte ritiene di dover dissentire con l’ordinanza del tribunale, “dovendosi al contrario affermare l’esistenza di un diritto di morire dignitosamente” che deve essere assicurato al detenuto.
Ma non solo. Perché i giudici scrivono anche che – ferma restano “l’altissima pericolosità” e l’indiscusso “spessore criminale” del boss corleonese – il tribunale di Bologna non ha chiarito “come tale pericolosità possa e debba considerarsi attuale in considerazione della sopravvenuta precarietà delle condizioni di salute e del più generale stato di decadimento fisico“. Insomma: Riina è ormai vecchio e malato, va dunque valutato se sia davvero ancora un pericolo pubblico. Sulla base di queste indicazioni, il tribunale di sorveglianza di Bologna dovrà a questo punto decidere sulla richiesta del difensore del boss finora sempre respinta. L’obiettivo dell’avvocato – all’udienza del prossimo 7 luglio – è ottenere gli arresti domiciliari per quello che è ancora considerato il capo assoluto di Cosa nostra.
“C’è legittima soddisfazione da parte di noi legali per un percorso di difesa il più delle volte oscuro rispetto all’opinione pubblica, e che riguarda la salute di un uomo in condizioni molto, molto critiche”, è il commento dell’avvocato Cianferoni.”Non ho ancora letto il provvedimento della Corte di Cassazione, aspetto di averlo. Certamente, però, andrò personalmente all’udienza davanti al tribunale di sorveglianza”, dice invece il procuratore generale di Bologna, Ignazio De Francisci.
Come era ampiamente prevedibile, infatti, le parole della Cassazione hanno innescato una polemica infuocata. “Leggeremo con attenzione le motivazioni della Cassazione. Ma Totò Riina è detenuto nel carcere di Parma dove vengono assicurate cure mediche in un centro clinico di eccellenza. È giusto assicurare la dignità della morte anche ai criminali, anche a Riina che non ha mai dimostrato pietà per le vittime innocenti. Per farlo non è necessario trasferirlo altrove, men che meno agli arresti domiciliari, dove andrebbero comunque assicurate eccezionali misure di sicurezza e scongiurato il rischio di trasformare la casa di Riina in un santuario di mafia”, dice Rosy Bindi, presidente della Commissione Antimafia. “Non si può che rimanere sconcertati dal dibattito che si sta generando sulla figura di Riina. È ovvio che le cure mediche e l’assistenza debbano essergli assicurate perché la dignità della persona non va mai lesa; il carcere però è il luogo in cui deve rimanere ristretto uno dei più sanguinari boss di sempre che ha creato profondi intrecci con la politica che sopravvivono ancora oggi. Le nostre preoccupazioni inerenti i tentativi di smantellamento dell’ergastolo ostativo e la concessione dei benefici penitenziari, trovano conferma in questa assurda situazione. Sembra di assistere ad una nuova Trattativa che lascia angosciati e preoccupati”, dicono invece i deputati del Movimento 5 Stelle mentre il dem Michele Anzaldi, auspica “un’ispezione del ministero della Giustizia per verificare cartelle cliniche e condizioni di detenzione di Riina”
“Certo c’è una persona malata, al quale lo Stato deve riservare un adeguato trattamento terapeutico a prescindere dai crimini commessi e dalla presenza o meno – che in questo caso non c’è stata – di una presa di coscienza, di un percorso di ravvedimento e di conversione- aggiunge- Ma c’è anche una vicenda di violenza, di stragi e di sangue che ha causato tante vittime e il dolore insanabile dei loro famigliari”, ricorda invece don Luigi Ciotti. A questo proposito Rita Dalla Chiesa commenta: “Mio padre una morte dignitosa non l’ha avuta, l’hanno ammazzato lasciando lui, la moglie e Domenico Russo in macchina senza neanche un lenzuolo per coprirli. Quindi di dignitoso, purtroppo, nella morte di mio padre non c’è stato niente”.
La sentenza della Cassazione, tra l’altro, appare in contrasto con quanto deciso sempre dalla Suprema corte nei confronti dell’altro superboss dei corleonesi, Bernardo Provenzano. Per Provenzano, infatti, la Cassazione aveva certificato che fosse affetto da patologie “plurime e gravi di tipo invalidante” ma il “peculiare regime” detentivo era compatibile “con le pur gravi condizioni di salute accertate”. Per quattro volte erano state bocciate le istanze di differimento della pena presentate dall’avvocato di Provenzano, Rosalba Di Gregorio. Il boss è poi morto nel luglio del 2016 agli arresti ospedalieri ma in regime di 41 bis.
E se negli ultimi anni di vita Provenzano appariva praticamente in stato vegetativo, appena nel febbraio scorso Riina aveva dato il suo consenso per farsi interrogare dal pm del processo sulla Trattativa Stato-mafia, in corso davanti alla corte d’Assise di Palermo. Una disponibilità poi revocata quando, in video collegamento dal carcere di Parma, aveva detto ai giudici: “Sto male, ho un problema”. Molto più loquace era invece il capo dei capi nel dicembre del 2013 quando affidava le confidenze al compagno d’ora d’aria, Alberto Lorusso. Decine e decine di ore di conversazione – intercettate dalle microspie della Dia – in cui il capo dei capi rivendicava una serie di delitti del passato e avanzava persino minacce per il futuro. Come nel caso del pm Nino Di Matteo. “Lo faccio finire peggio del giudice Falcone. Lo farei diventare il tonno buono“, aveva detto Riiina, che in un altro passaggio di quelle intercettazioni invece sosteneva: “Mi sento ancora in forma“.
Mafie
Riina, la Cassazione: “Il boss è malato ma ha diritto ad una morte dignitosa”. Critiche da M5s a Pd: “Resti in carcere”
La Suprema corte apre al differimento della pena per il capo dei capi di Cosa Nostra, che ha 86 anni ed è affetto da diverse gravi patologie. Sulla base di queste indicazioni, il tribunale di sorveglianza di Bologna dovrà decidere sulla richiesta del difensore del boss, finora sempre respinta, nell'udienza fissata il prossimo 7 luglio. L'avvocato del mafioso, Luca Cianferoni: "Legittima soddisfazione"
Salvatore Riina potrebbe anche ottenere gli arresti domiciliari. Il motivo? Il “diritto a morire dignitosamente” va assicurato ad ogni detenuto. Anche al capo dei capi di Cosa nostra. Lo ha messo nero su bianco la corte dei Cassazione accogliendo per la prima volta il ricorso dell’avvocato di Riina, Luca Cianferoni, che chiede per il suo assistito il differimento della pena o, in subordine, la detenzione domiciliare. Parole, quelle della Suprema corte, che hanno scatenato – come prevedibile – una pioggia di critiche.
La richiesta del legale di Riina- si legge nella sentenza numero 27.766, relativa all’udienza del 22 marzo scorso – era stata respinta lo scorso anno dal tribunale di sorveglianza di Bologna, che però, secondo la Cassazione, nel motivare il diniego aveva omesso “di considerare il complessivo stato morboso del detenuto e le sue condizioni generali di scadimento fisico”. Il tribunale non aveva ritenuto che vi fosse incompatibilità tra l’infermità fisica di Riina e la detenzione in carcere, visto che le sue patologie venivano monitorate e quando necessario si era ricorso al ricovero in ospedale a Parma. Insomma: nonostante fosse malato, il boss poteva tranquillamente rimanere in carcere. Un giudizio bocciato dalla Suprema corte che sottolinea come il giudice debba verificare e motivare “se lo stato di detenzione carceraria comporti una sofferenza ed un’afflizione di tale intensità” da andare oltre la “legittima esecuzione di una pena”.
Gli ermellini ritengono infatti che dalla decisione del giudice di Bologna non emerga in che modo si è giunto a ritenere compatibile con il senso di umanità della pena “il mantenimento in carcere, in luogo della detenzione domiciliare, di un soggetto ultraottantenne affetto da duplice neoplasia renale, con una situazione neurologica altamente compromessa“. Nella sentenza della Cassazione si legge dunque che Riina, ormai 86enne, non riesce a stare seduto ed è esposto “in ragione di una grave cardiopatia ad eventi cardiovascolari infausti e non prevedibili”. Per questo la Suprema corte ritiene di dover dissentire con l’ordinanza del tribunale, “dovendosi al contrario affermare l’esistenza di un diritto di morire dignitosamente” che deve essere assicurato al detenuto.
Ma non solo. Perché i giudici scrivono anche che – ferma restano “l’altissima pericolosità” e l’indiscusso “spessore criminale” del boss corleonese – il tribunale di Bologna non ha chiarito “come tale pericolosità possa e debba considerarsi attuale in considerazione della sopravvenuta precarietà delle condizioni di salute e del più generale stato di decadimento fisico“. Insomma: Riina è ormai vecchio e malato, va dunque valutato se sia davvero ancora un pericolo pubblico. Sulla base di queste indicazioni, il tribunale di sorveglianza di Bologna dovrà a questo punto decidere sulla richiesta del difensore del boss finora sempre respinta. L’obiettivo dell’avvocato – all’udienza del prossimo 7 luglio – è ottenere gli arresti domiciliari per quello che è ancora considerato il capo assoluto di Cosa nostra.
“C’è legittima soddisfazione da parte di noi legali per un percorso di difesa il più delle volte oscuro rispetto all’opinione pubblica, e che riguarda la salute di un uomo in condizioni molto, molto critiche”, è il commento dell’avvocato Cianferoni.”Non ho ancora letto il provvedimento della Corte di Cassazione, aspetto di averlo. Certamente, però, andrò personalmente all’udienza davanti al tribunale di sorveglianza”, dice invece il procuratore generale di Bologna, Ignazio De Francisci.
Come era ampiamente prevedibile, infatti, le parole della Cassazione hanno innescato una polemica infuocata. “Leggeremo con attenzione le motivazioni della Cassazione. Ma Totò Riina è detenuto nel carcere di Parma dove vengono assicurate cure mediche in un centro clinico di eccellenza. È giusto assicurare la dignità della morte anche ai criminali, anche a Riina che non ha mai dimostrato pietà per le vittime innocenti. Per farlo non è necessario trasferirlo altrove, men che meno agli arresti domiciliari, dove andrebbero comunque assicurate eccezionali misure di sicurezza e scongiurato il rischio di trasformare la casa di Riina in un santuario di mafia”, dice Rosy Bindi, presidente della Commissione Antimafia. “Non si può che rimanere sconcertati dal dibattito che si sta generando sulla figura di Riina. È ovvio che le cure mediche e l’assistenza debbano essergli assicurate perché la dignità della persona non va mai lesa; il carcere però è il luogo in cui deve rimanere ristretto uno dei più sanguinari boss di sempre che ha creato profondi intrecci con la politica che sopravvivono ancora oggi. Le nostre preoccupazioni inerenti i tentativi di smantellamento dell’ergastolo ostativo e la concessione dei benefici penitenziari, trovano conferma in questa assurda situazione. Sembra di assistere ad una nuova Trattativa che lascia angosciati e preoccupati”, dicono invece i deputati del Movimento 5 Stelle mentre il dem Michele Anzaldi, auspica “un’ispezione del ministero della Giustizia per verificare cartelle cliniche e condizioni di detenzione di Riina”
“Certo c’è una persona malata, al quale lo Stato deve riservare un adeguato trattamento terapeutico a prescindere dai crimini commessi e dalla presenza o meno – che in questo caso non c’è stata – di una presa di coscienza, di un percorso di ravvedimento e di conversione- aggiunge- Ma c’è anche una vicenda di violenza, di stragi e di sangue che ha causato tante vittime e il dolore insanabile dei loro famigliari”, ricorda invece don Luigi Ciotti. A questo proposito Rita Dalla Chiesa commenta: “Mio padre una morte dignitosa non l’ha avuta, l’hanno ammazzato lasciando lui, la moglie e Domenico Russo in macchina senza neanche un lenzuolo per coprirli. Quindi di dignitoso, purtroppo, nella morte di mio padre non c’è stato niente”.
La sentenza della Cassazione, tra l’altro, appare in contrasto con quanto deciso sempre dalla Suprema corte nei confronti dell’altro superboss dei corleonesi, Bernardo Provenzano. Per Provenzano, infatti, la Cassazione aveva certificato che fosse affetto da patologie “plurime e gravi di tipo invalidante” ma il “peculiare regime” detentivo era compatibile “con le pur gravi condizioni di salute accertate”. Per quattro volte erano state bocciate le istanze di differimento della pena presentate dall’avvocato di Provenzano, Rosalba Di Gregorio. Il boss è poi morto nel luglio del 2016 agli arresti ospedalieri ma in regime di 41 bis.
E se negli ultimi anni di vita Provenzano appariva praticamente in stato vegetativo, appena nel febbraio scorso Riina aveva dato il suo consenso per farsi interrogare dal pm del processo sulla Trattativa Stato-mafia, in corso davanti alla corte d’Assise di Palermo. Una disponibilità poi revocata quando, in video collegamento dal carcere di Parma, aveva detto ai giudici: “Sto male, ho un problema”. Molto più loquace era invece il capo dei capi nel dicembre del 2013 quando affidava le confidenze al compagno d’ora d’aria, Alberto Lorusso. Decine e decine di ore di conversazione – intercettate dalle microspie della Dia – in cui il capo dei capi rivendicava una serie di delitti del passato e avanzava persino minacce per il futuro. Come nel caso del pm Nino Di Matteo. “Lo faccio finire peggio del giudice Falcone. Lo farei diventare il tonno buono“, aveva detto Riiina, che in un altro passaggio di quelle intercettazioni invece sosteneva: “Mi sento ancora in forma“.
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Napoli, vicequestore della Polfer sospeso dal servizio: “Controlli nella banca dati della Pg per aiutare Giancarlo Iovine”
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Totò Riina, farlo morire in casa non sarebbe un segno di debolezza. Anzi
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Ora anche la Germania chiede meno vincoli sui conti: la linea del rigore si sgretola per le armi
Napoli , 6 mar. - (Adnkronos) - Maxi blitz antidroga a Napoli. Dalle prime luci dell’alba, i carabinieri del Gruppo di Torre Annunziata stanno eseguendo una misura cautelare emessa dal Tribunale oplontino a carico di decine di persone. Oltre 200 i militari impiegati nell’area vesuviana, in quella stabiese e nel salernitano. Tra gli episodi ripresi dalle telecamere, anche una donna che spaccia droga con un bambino in braccio.
Kiev, 6 mar. (Adnkronos/Afp) - Un attacco missilistico russo contro un hotel a Kryvyi Rig, città natale del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, ha causato la morte di tre persone e il ferimento di altre 31, di cui circa la metà versa in gravi condizioni. Lo ha reso noto Sergiy Lysak, governatore della regione di Dnipropetrovsk.
Oltre all'hotel, sono stati danneggiati anche 14 palazzi residenziali, un ufficio postale, circa due decine di auto, un istituto culturale e 12 negozi, hanno affermato le autorità.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - L’estensione giornaliera del ghiaccio marino globale, che combina le estensioni del ghiaccio marino in entrambe le regioni polari, ha raggiunto un nuovo minimo storico all’inizio di febbraio ed è rimasta al di sotto del precedente record di febbraio 2023 per il resto del mese. E' quanto rileva il servizio Copernicus Climate Change (C3S), implementato dal Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine per conto della Commissione europea con i finanziamenti dell’Ue, nel bollettino climatico mensile. La maggior parte dei risultati riportati si basano sul set di dati di rianalisi Era5, utilizzando miliardi di misurazioni provenienti da satelliti, navi, aerei e stazioni meteorologiche in tutto il mondo.
Nel dettaglio, il ghiaccio marino artico ha raggiunto la sua estensione mensile più bassa per il mese di febbraio, pari all’8% sotto la media: questo segna il terzo mese consecutivo in cui l’estensione del ghiaccio marino stabilisce un record per il mese corrispondente. È importante notare - sottolinea C3S - che il nuovo record registrato nell’Artico a febbraio non è un minimo storico: il ghiaccio marino artico si sta attualmente avvicinando alla sua estensione massima annuale, che in genere si verifica a marzo.
Il ghiaccio marino antartico ha raggiunto la quarta estensione mensile più bassa nel mese di febbraio, il 26% sotto la media. L’estensione giornaliera del ghiaccio marino potrebbe aver raggiunto il suo minimo annuale verso la fine del mese. Se confermato, sarebbe il secondo minimo più basso registrato dal satellite. Questa conferma sarà possibile solo all’inizio di marzo.
Febbraio 2025 è stato il terzo febbraio più caldo a livello globale, rileva inoltre il servizio Copernicus Climate Change (C3S), implementato dal Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine per conto della Commissione europea con i finanziamenti dell’Ue, nel bollettino climatico mensile. La maggior parte dei risultati riportati si basano sul set di dati di rianalisi Era5, utilizzando miliardi di misurazioni provenienti da satelliti, navi, aerei e stazioni meteorologiche in tutto il mondo.
Nel dettaglio, febbraio 2025 ha registrato una temperatura media di 13,36°C, 0,63°C al di sopra della media di febbraio 1991-2020, e solo di poco più alta, 0,03°C, rispetto al quarto febbraio più caldo del 2020. Il mese scorso è stato, poi, di 1,59°C al di sopra della media stimata del periodo 1850-1900, utilizzata per definire il livello preindustriale, posizionandosi come il 19esimo mese, degli ultimi 20, in cui la temperatura media globale ha superato di 1,5°C il livello preindustriale.
(Adnkronos) - Le violenze e le discriminazioni violano la dignità personale, creano un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante, offensivo e generano malessere nelle persone che le subiscono. “In questi casi, la prima cosa da fare è segnalare e denunciare alla Consigliera di Parità per ricevere supporto e assistenza. È fondamentale non rimanere in silenzio. Ogni voce conta e può portare ad un cambiamento - sottolinea Antonella Pappadà, consigliera di Parità effettiva della Provincia di Lecce - . Questo incontro offre un’occasione per riflettere e ricordare a noi stesse quanto sia importante valorizzare il nostro talento e le nostre competenze e imparare a non farci sopraffare sia nelle relazioni personali sia nei luoghi di lavoro. La figura istituzionale della Consigliera di Parità della Provincia di Lecce è preposta a contrastare ogni forma di discriminazione legata al genere e non solo, a dare sostegno alle lavoratrici e ai lavoratori che ne siano stati vittime sul luogo di lavoro, supportandoli gratuitamente in via stragiudiziale e giudiziale”.
“La violenza contro le donne e i femminicidi rappresentano ferite profonde nella nostra società, ma oggi dobbiamo esprimere la nostra determinazione nel combattere questi problemi - aggiunge Donatella Bertolone, vicepresidente Vicario Gruppo Donne Imprenditrici Fipe/Confcommercio - È incoraggiante vedere sempre più donne unirsi per reclamare il diritto alla sicurezza e al rispetto. Le donne non sono solo vittime, ma anche attrici fondamentali nel mondo del lavoro e dell’imprenditoria. Campagne come #SicurezzaVera ci mostrano che possiamo fare la differenza, sensibilizzando e coinvolgendo la società su questi temi cruciali. È essenziale lavorare insieme per sfatare l’idea che i luoghi di intrattenimento siano associati alla violenza. Dobbiamo trasformare questi spazi in ambienti sicuri e accoglienti, dove ogni persona, in particolare le donne, possa sentirsi protetta e rispettata”.
I dati raccolti dal Centro Antiviolenza Renata Fonte di Lecce parlano chiaro: nel 2024 hanno chiesto aiuto 174 donne. La fascia d’età più colpita è quella tra i 30 e i 39 anni (32%), seguita da quella tra i 40 e i 49 anni (23%). La violenza non ha un unico volto: il 44% ha subito violenza fisica, il 45% psicologica, mentre il 2% ha denunciato violenze sessuali e il 4% atti di stalking. Colpisce il fatto che, nonostante il dolore e la sofferenza, solo il 34% delle donne abbia trovato la forza di sporgere denuncia. Il restante 66% ha scelto di non farlo, per paura di ritorsioni o per mancanza di fiducia nelle istituzioni.
"Uscire da una relazione maltrattante non è mai semplice per una donna, soprattutto quando l’uomo che esercita violenza è il compagno, il marito o il padre dei suoi figli, dichiara Maria Luisa Toto - Presidente Associazione Donne Insieme che gestisce il Centro Antiviolenza Renata Fonte. Ogni donna ha i suoi tempi, perché la paura, la vergogna e il senso di colpa possono trasformarsi in una prigione invisibile, fatta di solitudine e isolamento. Questi numeri ci dicono che la violenza di genere è una piaga radicata nella nostra società. Non è solo un fenomeno privato, ma una delle più gravi violazioni dei diritti umani. Per questo è essenziale che le donne non si sentano sole. Devono sapere che c’è una rete di supporto pronta ad aiutarle".
Una rete di supporto alimentata anche da momenti di spettacolo che portano in scena – come nel caso di “Eva non è ancora nata” di e con Salvatore Cosentino, magistrato e autore teatrale - la realtà delle donne che vengono analizzate sotto l’aspetto umano, per una riflessione profonda sul loro ruolo nella società di oggi. A ricordare le vittime di femminicidio e di violenza di genere, da venerdì 7 marzo ci sarà a Lecce anche una nuova panchina rossa, installata a Palazzo dei Celestini su iniziativa della Commissione Pari Opportunità della Provincia. Una mobilitazione importante quella della città che ha coinvolto anche la U.S. Lecce, che ha voluto essere presente all’evento di Codere inviando un videomessaggio di Federico Baschirotto. Il capitano dei giallorossi salentini ha ribadito l’importanza del contrasto a qualsiasi forma di violenza sulle donne e della promozione della cultura del rispetto e della consapevolezza: temi anche della campagna “Un Rosso alla Violenza” della Lega Serie A che servono a tenere sempre alta l’attenzione.
“Quando 'Innamòrati di Te' ha mosso i suoi primi passi non mi aspettavo che sarebbe diventato un laboratorio così importante, un momento di confronto trasversale e costruttivo. In dieci anni abbiamo attraversato l’Italia più volte e abbiamo avuto l’opportunità di conoscere persone fantastiche che si impegnano per il bene comune, in particolare quello delle donne. Confesso di essere davvero emozionata nel vedere anche Lecce tra le Città delle Donne e ringrazio Adriana Poli Bortone per aver immediatamente colto lo spunto che, in qualità di Ambassador de Gli Stati Generali delle Donne, ho offerto - commenta Imma Romano Direttrice Relazioni Istituzionali di Codere Italia - . Anche questa volta siamo riuscite a trattare il tema della violenza di genere con chi questo tema lo conosce e lo combatte quotidianamente, provando a dare informazioni ed indicazioni molto concrete sugli strumenti esistenti e sulle opportunità che il mondo istituzionale e quello del terziario sociale mettono a disposizione. L’impegno di Codere resta un impegno concreto sia in termini di divulgazione che di supporto. Con gioia sosteniamo l’Associazione Donne Insieme che opera proprio su questo territorio”. Dopo Lecce, il progetto itinerante 'Innamòrati di Te' farà tappa il 24 giugno a Rivoli, alle porte di Torino, per un altro appuntamento gratuito e aperto al pubblico.
(Adnkronos) - Le violenze e le discriminazioni violano la dignità personale, creano un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante, offensivo e generano malessere nelle persone che le subiscono. “In questi casi, la prima cosa da fare è segnalare e denunciare alla Consigliera di Parità per ricevere supporto e assistenza. È fondamentale non rimanere in silenzio. Ogni voce conta e può portare ad un cambiamento - sottolinea Antonella Pappadà, consigliera di Parità effettiva della Provincia di Lecce - . Questo incontro offre un’occasione per riflettere e ricordare a noi stesse quanto sia importante valorizzare il nostro talento e le nostre competenze e imparare a non farci sopraffare sia nelle relazioni personali sia nei luoghi di lavoro. La figura istituzionale della Consigliera di Parità della Provincia di Lecce è preposta a contrastare ogni forma di discriminazione legata al genere e non solo, a dare sostegno alle lavoratrici e ai lavoratori che ne siano stati vittime sul luogo di lavoro, supportandoli gratuitamente in via stragiudiziale e giudiziale”.
“La violenza contro le donne e i femminicidi rappresentano ferite profonde nella nostra società, ma oggi dobbiamo esprimere la nostra determinazione nel combattere questi problemi - aggiunge Donatella Bertolone, vicepresidente Vicario Gruppo Donne Imprenditrici Fipe/Confcommercio - È incoraggiante vedere sempre più donne unirsi per reclamare il diritto alla sicurezza e al rispetto. Le donne non sono solo vittime, ma anche attrici fondamentali nel mondo del lavoro e dell’imprenditoria. Campagne come #SicurezzaVera ci mostrano che possiamo fare la differenza, sensibilizzando e coinvolgendo la società su questi temi cruciali. È essenziale lavorare insieme per sfatare l’idea che i luoghi di intrattenimento siano associati alla violenza. Dobbiamo trasformare questi spazi in ambienti sicuri e accoglienti, dove ogni persona, in particolare le donne, possa sentirsi protetta e rispettata”.
I dati raccolti dal Centro Antiviolenza Renata Fonte di Lecce parlano chiaro: nel 2024 hanno chiesto aiuto 174 donne. La fascia d’età più colpita è quella tra i 30 e i 39 anni (32%), seguita da quella tra i 40 e i 49 anni (23%). La violenza non ha un unico volto: il 44% ha subito violenza fisica, il 45% psicologica, mentre il 2% ha denunciato violenze sessuali e il 4% atti di stalking. Colpisce il fatto che, nonostante il dolore e la sofferenza, solo il 34% delle donne abbia trovato la forza di sporgere denuncia. Il restante 66% ha scelto di non farlo, per paura di ritorsioni o per mancanza di fiducia nelle istituzioni.
"Uscire da una relazione maltrattante non è mai semplice per una donna, soprattutto quando l’uomo che esercita violenza è il compagno, il marito o il padre dei suoi figli, dichiara Maria Luisa Toto - Presidente Associazione Donne Insieme che gestisce il Centro Antiviolenza Renata Fonte. Ogni donna ha i suoi tempi, perché la paura, la vergogna e il senso di colpa possono trasformarsi in una prigione invisibile, fatta di solitudine e isolamento. Questi numeri ci dicono che la violenza di genere è una piaga radicata nella nostra società. Non è solo un fenomeno privato, ma una delle più gravi violazioni dei diritti umani. Per questo è essenziale che le donne non si sentano sole. Devono sapere che c’è una rete di supporto pronta ad aiutarle".
Una rete di supporto alimentata anche da momenti di spettacolo che portano in scena – come nel caso di “Eva non è ancora nata” di e con Salvatore Cosentino, magistrato e autore teatrale - la realtà delle donne che vengono analizzate sotto l’aspetto umano, per una riflessione profonda sul loro ruolo nella società di oggi. A ricordare le vittime di femminicidio e di violenza di genere, da venerdì 7 marzo ci sarà a Lecce anche una nuova panchina rossa, installata a Palazzo dei Celestini su iniziativa della Commissione Pari Opportunità della Provincia. Una mobilitazione importante quella della città che ha coinvolto anche la U.S. Lecce, che ha voluto essere presente all’evento di Codere inviando un videomessaggio di Federico Baschirotto. Il capitano dei giallorossi salentini ha ribadito l’importanza del contrasto a qualsiasi forma di violenza sulle donne e della promozione della cultura del rispetto e della consapevolezza: temi anche della campagna “Un Rosso alla Violenza” della Lega Serie A che servono a tenere sempre alta l’attenzione.
“Quando 'Innamòrati di Te' ha mosso i suoi primi passi non mi aspettavo che sarebbe diventato un laboratorio così importante, un momento di confronto trasversale e costruttivo. In dieci anni abbiamo attraversato l’Italia più volte e abbiamo avuto l’opportunità di conoscere persone fantastiche che si impegnano per il bene comune, in particolare quello delle donne. Confesso di essere davvero emozionata nel vedere anche Lecce tra le Città delle Donne e ringrazio Adriana Poli Bortone per aver immediatamente colto lo spunto che, in qualità di Ambassador de Gli Stati Generali delle Donne, ho offerto - commenta Imma Romano Direttrice Relazioni Istituzionali di Codere Italia - . Anche questa volta siamo riuscite a trattare il tema della violenza di genere con chi questo tema lo conosce e lo combatte quotidianamente, provando a dare informazioni ed indicazioni molto concrete sugli strumenti esistenti e sulle opportunità che il mondo istituzionale e quello del terziario sociale mettono a disposizione. L’impegno di Codere resta un impegno concreto sia in termini di divulgazione che di supporto. Con gioia sosteniamo l’Associazione Donne Insieme che opera proprio su questo territorio”. Dopo Lecce, il progetto itinerante 'Innamòrati di Te' farà tappa il 24 giugno a Rivoli, alle porte di Torino, per un altro appuntamento gratuito e aperto al pubblico.
(Adnkronos) - Il Comune di Milano, alla luce delle indagini che recentemente hanno riguardato l’urbanistica, ricorda di aver già messo in atto diverse misure. Ad esempio con apposita delibera di Giunta, datata febbraio 2024, lo Sportello unico per l'edilizia (Sue) si è adeguato alle interpretazioni del gip in tema di pianificazione attuativa e ristrutturazione edilizia e lo scorso settembre è stato modificato il regolamento della Commissione per il paesaggio, "rafforzando ulteriormente il principio di trasparenza che lo guida e prevedendo che almeno 8 componenti su 15, compreso il presidente, per l’intera durata dell’incarico non svolgano attività di libera professione nel territorio comunale".
Lo scorso novembre sono state introdotte regole "molto restrittive" sui contatti tra funzionari dello Sportello unico per l'edilizia e gli utenti privati. E' invece datato primo marzo 2025 l’avvicendamento di alcuni dirigenti, mentre nel maggio 2023 il Consiglio comunale ha approvato la delibera di Giunta relativa all’aggiornamento degli oneri di urbanizzazione e a novembre 2024 sono stati aggiornati anche i criteri di monetizzazione dello standard.
Roma, 5 mar. (Adnkronos) - Il 63% degli intervistati ritiene che il modello di gestione del calcio italiano sia in crisi, con una percezione più diffusa tra gli uomini (75%) e i tifosi (69%). E' quanto si evince dall'indagine condotta da 'Noto Sondaggi' su 'Gli italiani e il Calcio', un resoconto sul rapporto tra gli italiani e il mondo del calcio e la percezione del suo stato di salute, esplorando l'interesse per lo sport, il rapporto con il calcio, la percezione della salute del calcio, il ripensamento del modello di business e il sostegno pubblico al settore.
La maggioranza assoluta degli intervistati (67%) è tifoso di una squadra di calcio in particolare, con percentuali che superano il 90% tra chi lo pratica come sport e sfiorano l’80% tra gli uomini. È interessante rilevare come perfino una parte, seppur minoritaria, di chi non pratica né segue il calcio dichiari di avere una squadra del cuore. Chi ha seguito il calcio nell’ultimo anno lo ha fatto soprattutto in Tv (62% spesso, 28% qualche volta), mentre solo un appassionato su cinque si è recato allo stadio (34%, di cui 7% spesso). In entrambi i casi, la frequenza con cui si segue il calcio tende ad aumentare tra gli under 55, chi lo pratica come sport e chi è tifoso di una squadra. Coerentemente con la scelta di seguire il calcio in Tv piuttosto che allo stadio, la modalità più frequente per seguire la squadra del cuore è l’abbonamento alla PayTv (40%, con punte del 60% tra chi pratica il calcio), mentre l’11% segue la squadra in trasferta, il 10% ha un abbonamento allo stadio e l’8% dichiara di far parte di una tifoseria.
Una quota prevalente di intervistati (63% del totale) ritiene che il modello di gestione del calcio italiano sia crisi. Una percezione trasversale, ma più diffusa tra gli uomini (75%), i residenti nel Centro Italia (67%) e soprattutto tifosi e appassionati di calcio, ancor più se lo pratica (83%). Il compenso eccessivo di calciatori ed allenatori rappresenta il principale problema del calcio italiano odierno (indicato dal 64% del campione), ma all’interno di uno scenario ben più complesso fatto di tante criticità, tra cui spiccano l’indebitamento troppo elevato delle società (43%) e la scarsa valorizzazione dei settori giovanili (39%). Il 69% ritiene, inoltre, che la gestione economica delle società calcistiche italiane non sia trasparente. Crisi e problematiche spingono la maggioranza degli intervistati a giudicare il modello di gestione del calcio italiano per lo più equiparabile se non inferiore a quello di altri paesi europei (rispettivamente 38% e 32% del campione). Solo una parte minoritaria (appena il 12%) ritiene, inoltre, che il calcio italiano sia in una condizione finanziariamente più solida, mentre sull’effettiva capacità delle società sportive italiane di ripensare il proprio modello di business, adattandolo alle nuove regole Uefa, le opinioni sono discordanti.
La visione degli intervistati sul nuovo modello di business a cui le società calcistiche dovrebbero ispirarsi è ricca di sfumature. Coloro che ritengono che la solidità economica sia la cosa più importante per garantire la competitività sportiva di una squadra prevalgono, ma incalzati da chi ritiene non sia così (rispettivamente 43% e 32% del campione). La maggioranza assoluta ritiene che nel calcio chi ha più soldi abbia più probabilità di vincere (54%), ma non sono pochi coloro che, al contrario, ritengono che il talento vada formato e che, quindi, si dovrebbe investire nella formazione dei talenti anche se questo non garantisce sempre la vittoria (22%). Indipendentemente dai principi ispiratori, il nuovo modello di business delle società calcistiche dovrebbe prioritariamente puntare ad affrontare le tante problematiche del settore,a partire da quelle di natura finanziaria: costo di ingaggi, cartellini e commissioni fuori controllo o con regolamentazione inadeguata (indicato dal 46% del campione), indebitamento eccessivo (38%), investimenti insufficienti dei club nei settori giovanili (31%).
Tre intervistati su quattro (70% del totale, con scostamenti per lo più contenuti in relazione al profilo socio-demografico) sono contrari all’idea che il calcio professionistico in Italia sia finanziato e riceva sostegno pubblico, in quanto le società di calcio di primo livello debbano essere trattate allo stesso modo delle altre imprese. Solo il 18% si dichiara, viceversa, favorevole ad un’ipotesi di un intervento pubblico straordinario, sottolineando le ricadute positive che il calcio ha sulla collettività, mentre il restante 12% non esprime un’opinione in merito.
Le opinioni espresse sul ruolo dello Stato nella gestione finanziaria di impianti e strutture sportive sono più eterogenee. La maggioranza, in particolare giovani e appassionati di calcio, ritiene che lo Stato debba assumersi almeno in parte questa responsabilità. Tuttavia, il consenso varia a seconda dell’ambito di intervento: il 55% degli intervistati ritiene che lo Stato debba farsi in parte o totalmente carico dell’ammodernamento e della manutenzione degli impianti, mentre la stessa percentuale sale 64% con riferimento alla sicurezza dentro e fuori gli stadi.