Theresa May è in vantaggio. Non quanto avrebbe voluto quando ad aprile, con i Tory che nei sondaggi staccavano il Labour di 20 punti, decise di portare il Paese a nuove elezioni per aumentare il numero dei seggi del Partito conservatore e conquistare un mandato forte per trattare sul tavolo della Brexit con Bruxelles. La fotografia uscita dagli exit poll di Bbc/Itv/Sky (oltre 30mila elettori intervistati fuori dai seggi elettorali di oltre 100 collegi considerati rappresentativi dell’orientamento generale) pubblicati pochi minuti dopo la chiusura delle urne alle 23 italiane è impietosa per il primo ministro: i Tory avrebbero conquistato 314 seggi alla Camera dei Comuni: prima del voto erano 331.
Se finisse così, i Conservatori non raggiungerebbero i 326 seggi, quota a cui è fissata l’asticella della maggioranza assoluta. Il Labour di Jeremy Corbyn – dato per spacciato solo un mese fa – avrebbe 266 seggi, un ottimo risultato rispetto ai 232 che aveva conquistato nel 2015. I Liberaldemocratici di Tim Farron incasserebbero 14 seggi, sei in più rispetto alla composizione dell’ultimo Parlamento, mentre lo Scottish National Party passerebbe da 56 a 34 deputati. Nessun seggio per l’Ukip, lo United Kingdom Independence Party. Che con il suo leader Paul Nuttal punta il dito contro la premier: “Theresa May ha messo Brexit in pericolo. Lo dicevo fin dall’inizio che queste elezioni erano sbagliate. Hybris“, chiosava il leader degli indipendentisti con un termine che nella tragedia greca indicava la tracotanza degli uomini che viene sempre punita dagli dei. Altre formazioni nel complesso otterrebbero 22 seggi.
E dalle file laburiste è arrivata la prima richiesta di dimissioni nei confronti di May: “Ha fallito, se ne vada”, taglia corto la ministra ombra degli Esteri, Emily Thornberry. Il verdetto resta in effetti sospeso, mentre lo spoglio prosegue nella notte con diversi collegi testa a testa e i primi grandi nomi in difficoltà (traballa ad esempio il seggio della titolare dell’Interno, Amber Rudd). Ma se non ci sarà un ribaltamento delle proiezioni, l’ombra che si proietta in un sistema fortemente maggioritario come quello britannico è quella dell’Hung Parliament, un Parlamento ‘appeso’ alla necessità di una qualche coalizione pressoché impossibile.
“Dobbiamo aspettare i dati reali – dice il ministro della Difesa britannico Michael Fallon – Si tratta solo di una previsione nel 2015 avevano sottostimato i nostri voti”. Per il ministro è necessario aspettare i risultati che emergono dal conteggio delle schede. Ma i primi dati hanno provocato un crollo brusco per la sterlina. Sull’unico mercato aperto, quello delle valute, la sterlina è crollata del 2% a 1,28 sul dollaro e sotto all’1,14 sull’Euro. È un sondaggio. Se il sondaggio si avvicinasse a qualcosa di accurato, sarebbe completamente catastrofico per i conservatori e per Theresa May” dice l’ex ministro britannico delle Finanze, il conservatore George Osborne.
Il Regno Unito si è pronunciato per la terza volta in tre anni. Dopo il voto del 2015 e il referendum che ha decretato il divorzio da Bruxelles nel 2016, i sudditi di Sua Maestà erano stati richiamati alle urne dalla signora primo ministro – in un clima di sorveglianza blindata, dopo i recenti attacchi di Manchester e di Londra – con un solo obiettivo: accrescere il suo peso in Parlamento per avere le mani libere al tavolo con l’Ue e su tutti i dossier che incombono, dalle incognite sull’economia all’allarme terrorismo. Ma la meta, che raffiche di sondaggi trionfali avevano dato per scontata per settimane, non sembra essere stata raggiunta. Al contrario, se gli exit saranno confermati, lady Theresa arretra e rischia anche la poltrona.