La nebbia non può essere la causa del disastro del Moby Prince. Ora non lo dicono i giornali, non lo dicono i parenti delle vittime. E’ scritto, nero su bianco, nella seconda e penultima relazione intermedia della commissione d’inchiesta del Senato sulla più grande tragedia della marineria civile italiana in tempo di pace: morirono in 140 la sera del 10 aprile 1991 davanti a Livorno tra il traghetto Moby e la petroliera Agip Abruzzo. La nebbia era stata l’elemento principale sul quale le due inchieste della Procura livornese (la prima negli anni Novanta, la seconda conclusa nel 2010) avevano basato tutte le ricostruzioni. Ma era stato il velo fatto cadere giù – fin da subito – da tutti i protagonisti di questa storia, a partire dall’allora comandante della Capitaneria di porto di Livorno, Sergio Albanese. “Appare difficilmente proponibile – scrive invece la commissione nella relazione approvata all’unanimità – l’ipotesi di una riduzione della visibilità in tutta la rada di Livorno nelle ore della tragedia”. Ma non solo: le stesse testimonianze dei marittimi della petroliera consentono di “ridimensionare sensibilmente, finanche ad escluderla, la rilevanza di tale fenomeno”. I fenomeni nebbiosi, ricordano i senatori nel rapporto, hanno interessato “limitate porzioni di mare e per periodi di tempo circoscritti, per giunta “molti testimoni” indicano quel fenomeno anche come “fumo”. La conclusione è che “appare pertanto improbabile ricondurre le cause della tragedia alla presenza di nebbia”.
Il rapporto dell’organismo di Palazzo Madama è più breve e contiene meno elementi di quanti se ne potevano attendere dopo alcune dichiarazioni del presidente Silvio Lai, che aveva anticipato tra l’altro che l’impatto tra traghetto e petroliera era avvenuto perché la nave passeggeri aveva dovuto cambiare rotta improvvisare per evitare un ostacolo. Questo passaggio nelle conclusioni della commissione ancora non c’è, anche perché la commissione – spiegano dal Senato – prima vuole attendere le cinque perizie che dovranno chiarire gli interrogativi principali di questa storia: le condizioni delle navi quella sera, la dinamica dell’incidente, lo sviluppo dell’incendio, i tempi di sopravvivenza a bordo, l’eventuale esplosione (di una bomba oppure no) nel locale motori di prua prima della collisione.
Una cosa è certa, assicurano fonti vicine alla commissione: il lavoro non sarà lasciato a metà. L’esistenza della commissione d’inchiesta, infatti, è legata alla legislatura, ma in caso di elezioni anticipate – viene spiegato – ci sarà il tempo, il modo e la possibilità di arrivare a una relazione conclusiva che conterrà molti elementi emersi durante la raccolta di documenti e di testimonianze, con decine di audizioni, alla quale la commissione si è dedicata dal dicembre 2015.
Nella seconda relazione, intanto, oltre alla nebbia, la commissione segna altri punti fermi. Il primo: l’accensione dei cosiddetti cappelloni di prua. Sono dei grossi fari che col buio permettono alla plancia di comando di vedere il ponte della parte anteriore della nave. La Procura di Livorno nel 2010 scrisse nelle conclusioni che portarono all’archiviazione che erano la prova che c’era la nebbia, ma sarebbe illogico come accendere gli abbaglianti in auto. Per giunta, appunto, la luce dei cappelloni punta in basso, non in avanti. E questa è l’obiezione della commissione. “L’accensione dei cappelloni – si legge nella relazione – potrebbe rinviare all’ipotesi che prima della collisione a bordo del traghetto, verso prua, possa essere avvenuta un’esplosione o altro evento comunque inatteso”. Sull’esplosione nel locale eliche di prua si concentra appunto una delle perizie, affidate all’esplosivista dell’esercito, il maggiore Paride Minervini.
Il secondo: il tragitto della petroliera Agip Abruzzo, che quella sera era all’ancora davanti a Livorno in attesa di entrare in porto la mattina dopo. Come ilfattoquotidiano.it ha scritto un anno fa, gli spostamenti della nave armata dalla Snam non sono mai stati chiari del tutto. Arrivò a Livorno, per esempio, dopo un’anomala traversata a ritmo forsennato, apparentemente senza motivo. E la commissione conferma: “Si è profilata l’ipotesi che la petroliera abbia compiuto un percorso diverso: secondo alcuni auditi, come riportato nella prima parte della relazione, avrebbe attraccato temporaneamente in Sicilia”. Anche su questo continuerà a indagare la commissione. Uno dei punti oscuri della ricostruzione della tragedia del Moby, infatti è che nessuno ha mai analizzato quanto greggio e di che qualità ci fosse nelle cisterne dell’Agip Abruzzo e in particolare nella 7, quella speronata dalla prua del traghetto. Tutti – magistrati e Capitaneria comprese – si fidarono di un’autocertificazione, quella del comando della petroliera e dell’armatore, la Snam, società di Stato. Era greggio di tipo “iranian light” e ce n’erano 82mila tonnellate, si leggeva in quelle carte. In particolare nella cisterna 7 ce n’erano circa 2600. Ma nessun consulente esterno ha verificato dopo la tragedia se fosse davvero così. Perché verificarlo? Se ci fosse stata un’altra quantità (di meno o di più di quanto dichiarato)? Se fosse stata un’altra qualità di petrolio, magari con effetti più devastanti in caso di incendio?
Terzo punto: l’Agip Abruzzo non disse mai alla radio che l’altra nave coinvolta nell’incidente era un traghetto. E questo rallentà l’identificazione del Moby Prince (“scoperto” solo un’ora e venti minuti dopo) e quindi i soccorsi. A bordo dell’Agip si sapeva che era un traghetto, ma non venne mai comunicato alla radio, alla Capitaneria. La commissione sottolinea “il senso e la forza di affermazioni (dei marittimi della petroliera auditi al Senato, ndr) secondo cui la percezione del coinvolgimento di una nave passeggeri sia avvenuta fin dai minuti immediatamente successivi alla collisione”. “In questa fase – precisano i senatori – non furono date informazioni precise ai soccorritori da parte del comando della petroliera per segnalare la nave in fiamme”. C’è chi – tra i marinai della petroliera – ha parlato di “finestroni” che ha visto sull’altra nave. Qualcun altro ha puntualizzato che comunque le comunicazioni radio si svolgono sempre sotto la responsabilità del comandante. Ma Renato Superina, capitano dell’Abruzzo, è morto nel 2011: non sarà lui a poter confermare.
Politica
Moby Prince, la commissione d’inchiesta cancella due inchieste e un processo: “La nebbia non può essere la causa”
L'organismo del Senato approva all'unanimità la seconda relazione. L'ultima nei prossimi mesi, dopo le perizie. Ma i senatori fissano altri punti. E cancellano dalla storia del disastro navale del 1991 quella che è sempre stata indicata dai pm e giudici come unica causa
La nebbia non può essere la causa del disastro del Moby Prince. Ora non lo dicono i giornali, non lo dicono i parenti delle vittime. E’ scritto, nero su bianco, nella seconda e penultima relazione intermedia della commissione d’inchiesta del Senato sulla più grande tragedia della marineria civile italiana in tempo di pace: morirono in 140 la sera del 10 aprile 1991 davanti a Livorno tra il traghetto Moby e la petroliera Agip Abruzzo. La nebbia era stata l’elemento principale sul quale le due inchieste della Procura livornese (la prima negli anni Novanta, la seconda conclusa nel 2010) avevano basato tutte le ricostruzioni. Ma era stato il velo fatto cadere giù – fin da subito – da tutti i protagonisti di questa storia, a partire dall’allora comandante della Capitaneria di porto di Livorno, Sergio Albanese. “Appare difficilmente proponibile – scrive invece la commissione nella relazione approvata all’unanimità – l’ipotesi di una riduzione della visibilità in tutta la rada di Livorno nelle ore della tragedia”. Ma non solo: le stesse testimonianze dei marittimi della petroliera consentono di “ridimensionare sensibilmente, finanche ad escluderla, la rilevanza di tale fenomeno”. I fenomeni nebbiosi, ricordano i senatori nel rapporto, hanno interessato “limitate porzioni di mare e per periodi di tempo circoscritti, per giunta “molti testimoni” indicano quel fenomeno anche come “fumo”. La conclusione è che “appare pertanto improbabile ricondurre le cause della tragedia alla presenza di nebbia”.
Il rapporto dell’organismo di Palazzo Madama è più breve e contiene meno elementi di quanti se ne potevano attendere dopo alcune dichiarazioni del presidente Silvio Lai, che aveva anticipato tra l’altro che l’impatto tra traghetto e petroliera era avvenuto perché la nave passeggeri aveva dovuto cambiare rotta improvvisare per evitare un ostacolo. Questo passaggio nelle conclusioni della commissione ancora non c’è, anche perché la commissione – spiegano dal Senato – prima vuole attendere le cinque perizie che dovranno chiarire gli interrogativi principali di questa storia: le condizioni delle navi quella sera, la dinamica dell’incidente, lo sviluppo dell’incendio, i tempi di sopravvivenza a bordo, l’eventuale esplosione (di una bomba oppure no) nel locale motori di prua prima della collisione.
Una cosa è certa, assicurano fonti vicine alla commissione: il lavoro non sarà lasciato a metà. L’esistenza della commissione d’inchiesta, infatti, è legata alla legislatura, ma in caso di elezioni anticipate – viene spiegato – ci sarà il tempo, il modo e la possibilità di arrivare a una relazione conclusiva che conterrà molti elementi emersi durante la raccolta di documenti e di testimonianze, con decine di audizioni, alla quale la commissione si è dedicata dal dicembre 2015.
Nella seconda relazione, intanto, oltre alla nebbia, la commissione segna altri punti fermi. Il primo: l’accensione dei cosiddetti cappelloni di prua. Sono dei grossi fari che col buio permettono alla plancia di comando di vedere il ponte della parte anteriore della nave. La Procura di Livorno nel 2010 scrisse nelle conclusioni che portarono all’archiviazione che erano la prova che c’era la nebbia, ma sarebbe illogico come accendere gli abbaglianti in auto. Per giunta, appunto, la luce dei cappelloni punta in basso, non in avanti. E questa è l’obiezione della commissione. “L’accensione dei cappelloni – si legge nella relazione – potrebbe rinviare all’ipotesi che prima della collisione a bordo del traghetto, verso prua, possa essere avvenuta un’esplosione o altro evento comunque inatteso”. Sull’esplosione nel locale eliche di prua si concentra appunto una delle perizie, affidate all’esplosivista dell’esercito, il maggiore Paride Minervini.
Il secondo: il tragitto della petroliera Agip Abruzzo, che quella sera era all’ancora davanti a Livorno in attesa di entrare in porto la mattina dopo. Come ilfattoquotidiano.it ha scritto un anno fa, gli spostamenti della nave armata dalla Snam non sono mai stati chiari del tutto. Arrivò a Livorno, per esempio, dopo un’anomala traversata a ritmo forsennato, apparentemente senza motivo. E la commissione conferma: “Si è profilata l’ipotesi che la petroliera abbia compiuto un percorso diverso: secondo alcuni auditi, come riportato nella prima parte della relazione, avrebbe attraccato temporaneamente in Sicilia”. Anche su questo continuerà a indagare la commissione. Uno dei punti oscuri della ricostruzione della tragedia del Moby, infatti è che nessuno ha mai analizzato quanto greggio e di che qualità ci fosse nelle cisterne dell’Agip Abruzzo e in particolare nella 7, quella speronata dalla prua del traghetto. Tutti – magistrati e Capitaneria comprese – si fidarono di un’autocertificazione, quella del comando della petroliera e dell’armatore, la Snam, società di Stato. Era greggio di tipo “iranian light” e ce n’erano 82mila tonnellate, si leggeva in quelle carte. In particolare nella cisterna 7 ce n’erano circa 2600. Ma nessun consulente esterno ha verificato dopo la tragedia se fosse davvero così. Perché verificarlo? Se ci fosse stata un’altra quantità (di meno o di più di quanto dichiarato)? Se fosse stata un’altra qualità di petrolio, magari con effetti più devastanti in caso di incendio?
Terzo punto: l’Agip Abruzzo non disse mai alla radio che l’altra nave coinvolta nell’incidente era un traghetto. E questo rallentà l’identificazione del Moby Prince (“scoperto” solo un’ora e venti minuti dopo) e quindi i soccorsi. A bordo dell’Agip si sapeva che era un traghetto, ma non venne mai comunicato alla radio, alla Capitaneria. La commissione sottolinea “il senso e la forza di affermazioni (dei marittimi della petroliera auditi al Senato, ndr) secondo cui la percezione del coinvolgimento di una nave passeggeri sia avvenuta fin dai minuti immediatamente successivi alla collisione”. “In questa fase – precisano i senatori – non furono date informazioni precise ai soccorritori da parte del comando della petroliera per segnalare la nave in fiamme”. C’è chi – tra i marinai della petroliera – ha parlato di “finestroni” che ha visto sull’altra nave. Qualcun altro ha puntualizzato che comunque le comunicazioni radio si svolgono sempre sotto la responsabilità del comandante. Ma Renato Superina, capitano dell’Abruzzo, è morto nel 2011: non sarà lui a poter confermare.
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Palermo, 24 gen. (Adnkronos) - Il Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza di Palermo presieduto dal prefetto Massimo Mariani ha disposto oggi di assegnare una scorta all'inviato di Repubblica Salvo Palazzolo, oggetto di minacce per le sue inchieste sui boss scarcerati. Nei giorni scorsi al giornalista era stato comunicato dalla Squadra mobile di essere oggetto di "gravi ostilita'" emerse nel corso di alcune indagini.
Roma, 24 gen. (Adnkronos) - "Meloni si dice coerente su tutto, ma è la campionessa mondiale di incoerenza". Lo dice Matteo Renzi in diretta su Instagram.
Roma, 24 gen. (Adnkronos) - "L'atteggiamento di Giorgia Meloni in questi giorni è insopportabile. A dicembre 2024 Meloni va ad Atreju e dice che i centri migranti funzioneranno, perchè bisogna sconfiggere la mafia dei trafficanti di migranti. E cosa accade ora? Accade che la scorsa settimana uno di quei criminali, che la Corte Penale Internazionale definisce trafficante e torturatore, viene arrestato dai poliziotti e la Meloni lo libera, con un volo di Stato, a spese nostre". Così Matteo Renzi in una diretta su Instagram.
Roma, 24 gen. (Adnkronos) - "Se il governo abbassa le tasse, io sono contento. Ma quando hai un livello di ipocrisia come quello che abbiamo visto, mi arrabbio e lo dico. C'è un governo indecente con un sottosegretario alla Giustizia condannato, un ministro dei Trasporti che va benino sulle dirette di Tik Tok, ma non nella gestione dei trasporti". Lo dice Matteo Renzi in diretta su Instagram. "Se vogliono cacciare la Santanchè perchè rinviata a giudizio, allora devono mandare a casa anche Delmastro che è rinviato a giudizio. Meloni ha due pesi e due misure".
Roma, 24 gen. (Adnkronos) - Uniti si vince. Anzi, no. Divisi si vince. Dario Franceschini dal suo nuovo ufficio ex-officina, spariglia. "I partiti che formano la possibile alternativa alla destra sono diversi e lo resteranno. È inutile fingere che si possa fare un’operazione come fu quella dell’Ulivo. L’Ulivo non tornerà". E allora meglio andare "al voto ognuno per conto suo, valorizzando le proprie proposte e l’aspetto proporzionale della legge elettorale" e sul terzo dei seggi assegnati con l'uninomiale "è sufficiente stringere un accordo", la proposta di Franceschini. Che si rivolge pure a Forza Italia: "Ha il biglietto della lotteria in tasca, ma non lo sa", con il proporzionale "sarebbe arbitra dei governi per i prossimi vent’anni".
"Volpone...", commenta Matteo Renzi. Carlo Calenda condivide l'analisi sul marciare divisi, Angelo Bonelli la boccia mentre dal Movimento 5 Stelle si fa sapere che l'intervista all'ex-ministro del Conte II è stata letta "con attenzione", vista come "prospettiva compatibile con le richieste della nostra comunità", quindi un’opzione su cui "è possibile un confronto". Nel Pd ha infiammato le chat ma la reazione ai attesta tra lo stupore e il silenzio, al momento. A partire dalla segretaria. Plasticamente impegnata in quanto di più lontano da riflessioni di alchimia politica, posta sui social le foto dell'incontro oggi a Porto Marghera con i lavoratori del petrolchimico, settore in allarme. "Eni sta dismettendo la chimica di base in Italia con l’assenso del governo Meloni, che resta a guardare. Grazie a questi lavoratori per l’incontro, il Pd è al loro fianco", scrive Schlein su Instagram.
Tuttavia, si riferisce, che stamattina ci sarebbero state interlocuzioni con Franceschini sull'intervista. E l'ex-ministro avrebbe rassicurato sulle sue buone intenzioni. Quel "marciare divisi" non andrebbe letto come una sconfessione della "testardamente unitaria" Schlein. Il senso dell'operazione sarebbe quello di dare un fermo, uno stop al dibattito che si sta alimentando nelle ultime settimane - giudicato inutile e maliziosamente dannoso - sul federatore, sulla coalizione e anche su un ipotetico partito dei cattolici. Una forza moderata sarebbe utile ma, sottolinea Franceschini, "noi cattolici democratici, non possiamo che restare in una forza progressista come ci hanno insegnato Zaccagnini e Granelli". E quindi un assist alla segretaria, si assicura.
Detto questo, non a pochi nel Pd, la proposta del "marciare divisi" è apparsa quanto meno eccentrica di fronte a una coalizione di centrodestra guidata da una leader, almeno al momento, molto forte. "Lei parla con Trump e noi ci presentiamo al voto divisi, a darci addosso l'un l'altro?". E comunque ancor più prosaicamente c'è chi fa notare come "senza alleanze, con questa legge elettorale, hai automaticamente perso". E' la matematica e il voto del 2022 docet. Riflessioni che restano riservate. "Nessuno vuol ribattere a un dirigente storico del Pd".
Anche il passaggio su Forza Italia sembra un po' fuori sincrono. Certo, osserva Matteo Renzi, "se Forza Italia accettasse di avere il sistema proporzionale governerebbe per anni perché si entrerebbe in un sistema in cui si creerebbero le maggioranze in Parlamento". Ma che gli azzurri si sfilino dal centrodestra, non sembra alle viste. Franceschini "prova a sedurre con una danza del ventre evocando il proporzionale puro", dice Alessandro Sorte, ma "Forza Italia è" già "l'unico vero centro e oggi ha un ruolo fondamentale".
Per Bonelli la proposta dell'ex-ministro non convince: "Non sarà l'Ulivo, non sarà il programma di 300 pagine dell'Unione, ma un minimo comun denominatore con cui presentarsi alle elezioni e battere la destra serve. E' quello che abbiamo fatto alle regionali in Sardegna, Umbria, Emilia. E quello su cui lavoreremo per le prossime regionali che ci attendono. Perché lo stesso schema non deve valere per le politiche?". Nel Pd a parlare in chiaro, in Tv, è Debora Serracchiani secondo cui l'ipotesi di Franceschini è "da valutare" e "credo abbia detto una cosa saggia: rafforzare il Pd, pensare alle cose concrete. La segretaria su questo sta dando veramente una linea importante. Invece di costruire a tavolino delle alleanze, cerchiamo di metterci insieme sui temi che ci tengono uniti".
Roma, 24 gen. (Adnkronos) - Uniti si vince. Anzi, no. Divisi si vince. Dario Franceschini dal suo nuovo ufficio ex-officina, spariglia. "I partiti che formano la possibile alternativa alla destra sono diversi e lo resteranno. È inutile fingere che si possa fare un’operazione come fu quella dell’Ulivo. L’Ulivo non tornerà". E allora meglio andare "al voto ognuno per conto suo, valorizzando le proprie proposte e l’aspetto proporzionale della legge elettorale" e sul terzo dei seggi assegnati con l'uninomiale "è sufficiente stringere un accordo", la proposta di Franceschini. Che si rivolge pure a Forza Italia: "Ha il biglietto della lotteria in tasca, ma non lo sa", con il proporzionale "sarebbe arbitra dei governi per i prossimi vent’anni".
"Volpone...", commenta Matteo Renzi. Carlo Calenda condivide l'analisi sul marciare divisi, Angelo Bonelli la boccia mentre dal Movimento 5 Stelle si fa sapere che l'intervista all'ex-ministro del Conte II è stata letta "con attenzione". Nel Pd ha infiammato le chat ma la reazione ai attesta tra lo stupore e il silenzio, al momento. A partire dalla segretaria. Plasticamente impegnata in quanto di più lontano da riflessioni di alchimia politica, posta sui social le foto dell'incontro oggi a Porto Marghera con i lavoratori del petrolchimico, settore in allarme. "Eni sta dismettendo la chimica di base in Italia con l’assenso del governo Meloni, che resta a guardare. Grazie a questi lavoratori per l’incontro, il Pd è al loro fianco", scrive Schlein su Instagram.
Tuttavia, si riferisce, che stamattina ci sarebbero state interlocuzioni con Franceschini sull'intervista. E l'ex-ministro avrebbe rassicurato sulle sue buone intenzioni. Quel "marciare divisi" non andrebbe letto come una sconfessione della "testardamente unitaria" Schlein. Il senso dell'operazione sarebbe quello di dare un fermo, uno stop al dibattito che si sta alimentando nelle ultime settimane - giudicato inutile e maliziosamente dannoso - sul federatore, sulla coalizione e anche su un ipotetico partito dei cattolici. Una forza moderata sarebbe utile ma, sottolinea Franceschini, "noi cattolici democratici, non possiamo che restare in una forza progressista come ci hanno insegnato Zaccagnini e Granelli". E quindi un assist alla segretaria, si assicura.
Detto questo, non a pochi nel Pd, la proposta del "marciare divisi" è apparsa quanto meno eccentrica di fronte a una coalizione di centrodestra guidata da una leader, almeno al momento, molto forte. "Lei parla con Trump e noi ci presentiamo al voto divisi, a darci addosso l'un l'altro?". E comunque ancor più prosaicamente c'è chi fa notare come "senza alleanze, con questa legge elettorale, hai automaticamente perso". E' la matematica e il voto del 2022 docet. Riflessioni che restano riservate. "Nessuno vuol ribattere a un dirigente storico del Pd".
Anche il passaggio su Forza Italia sembra un po' fuori sincrono. Certo, osserva Matteo Renzi, "se Forza Italia accettasse di avere il sistema proporzionale governerebbe per anni perché si entrerebbe in un sistema in cui si creerebbero le maggioranze in Parlamento". Ma che gli azzurri si sfilino dal centrodestra, non sembra alle viste. Franceschini "prova a sedurre con una danza del ventre evocando il proporzionale puro", dice Alessandro Sorte, ma "Forza Italia è" già "l'unico vero centro e oggi ha un ruolo fondamentale".
Per Bonelli la proposta dell'ex-ministro non convince: "Non sarà l'Ulivo, non sarà il programma di 300 pagine dell'Unione, ma un minimo comun denominatore con cui presentarsi alle elezioni e battere la destra serve. E' quello che abbiamo fatto alle regionali in Sardegna, Umbria, Emilia. E quello su cui lavoreremo per le prossime regionali che ci attendono. Perché lo stesso schema non deve valere per le politiche?". Nel Pd a parlare in chiaro, in Tv, è Debora Serracchiani secondo cui l'ipotesi di Franceschini è "da valutare" e "credo abbia detto una cosa saggia: rafforzare il Pd, pensare alle cose concrete. La segretaria su questo sta dando veramente una linea importante. Invece di costruire a tavolino delle alleanze, cerchiamo di metterci insieme sui temi che ci tengono uniti".
(Adnkronos) - Per il pm De Tommasi le indagate avrebbero 'imbeccato' l'imputata - anche usando protocolli con "punteggi già inseriti" - affinché ottenesse una perizia psichiatrica in grado di accertarle un deficit, un'attività difensiva non lecita e che non è andata a buon fine. Le psicologhe sarebbero andate oltre il loro compito, somministrando test "incompatibili con le caratteristiche psichiche effettive della detenuta" e con colloqui "falsamente annotati nel diario clinico", mentre lo psichiatra Garbarini, consulente di parte, l'avrebbe "eterodiretta" nelle risposte da fornire, sostiene l'accusa.
Nell'avviso di conclusione indagini, infine, il pubblico ministero - che ha sentito la compagna di cella Tiziana Morandi, meglio conosciuta come 'la Mantide della Brianza' - sottolinea come l'avvocata Pontenani "invitava Pifferi a simulare in carcere comportamenti e atteggiamenti idonei a far apparire, contrariamente al vero, come una 'fuori di testa' e come una 'mongoloide', al fine di indurre in errore il perito e la Corte che avrebbero dovuto valutarla e giudicarla ed essere ritenuta quantomeno parzialmente incapace di intendere e di volere al momento del fatto".
La chiusura delle indagini arriva a cinque giorni dal processo d'appello, dopo che il primo grado - la perizia disposta dai giudici ha certificato la piena capacità di intendere e volere della 39enne - ha sentenziato l'ergastolo per l'accusa di omicidio della piccola Diana di soli 2 anni.