“Non ce la faccio a reggere l’assedio mediatico che ruota attorno a questa vicenda. Io sono innocente”. Ha scritto questo ultimo messaggio in cella poi si è infilato in testa un sacchetto di plastica, riempito del gas della bomboletta che usava per cucinare. Così, nel carcere di Velletri, si è tolto la vita Marco Prato, accusato dell’omicidio di Luca Varani, il 23enne stordito e ucciso a colpi di martello e coltellate il 4 marzo 2016. Il suo compagno di cella non si è accorto di nulla e il cadavere è stato scoperto durante il consueto giro d’ispezione. Per il delitto è già stato condannato, in abbreviato, a 30 anni, Manuel Foffo che, con Prato, aveva massacrato la vittima. La Procura di Velletri indaga per istigazione al suicidio. Il procedimento, coordinato dal procuratore Francesco Prete, che a ilfattoquotidiano.it parla di “atto dovuto”, è contro ignoti. Non è escluso che l’indagine andrà a verificare se lo stato di detenzione di Prato – che aveva chiesto di poter essere trasferito dalla sezione speciale di Regina Coeli dov’era rinchiuso – fosse compatibile con le sue condizioni psicofisiche. Domani verrà svolta l’autopsia mentre oggi al sopralluogo svolto dal pm di turno era presente anche la polizia scientifica. E da New York il ministro della Giustizia Andrea Orlando precisa di avere chiesto “al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria un rapporto dettagliato per vedere se il protocollo di prevenzioni dei suicidi è stato rispettato”. Orlando ha poi aggiunto che Prato “per quanto ne so era seguito da uno psicologo e non aveva dato segni di squilibrio“. negli ultimi tempi, ha precisato, sono state rafforzate le misure di sostegno psicologico dei detenuti e il numero dei suicidi è sceso.
Il Garante dei detenuti: “Nessuna sorpresa per un suicidio per molti versi annunciato” – Sul suicidio di Prato interviene il Garante dei detenuti Mauro Palma, che aveva segnalato alla direzione del carcere e al Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria le perplessità sul suo trasferimento a Velletri, avvenuto alcuni mesi fa. “Marco Prato si è suicidato nel carcere di Velletri. Nessuna sorpresa per un suicidio per molti versi annunciato”, dice Palma, che si era interessato del caso Prato e aveva segnalato il rischio suicidario del detenuto e chiesto che Prato fosse spostato dal carcere di Velletri. “Al di là di rassicurazioni informali e generiche, nessuna delle autorità responsabili ha voluto recedere dalla posizione presa, nonostante l’indicazione dell’inadeguatezza della collocazione a Velletri e del rischio suicidario ancora esistente”. “Il positivo percorso trattamentale (al reparto speciale destinato a chi commette reati sessuali di Regina Coeli) – spiega ancora Palma – è stato usato come pretesto per il trasferimento in una situazione di peggiori condizioni”. Perché “la cosiddetta ‘Articolazione psichiatrica’ del carcere di Velletri è inesistente e là una persona che già ha tentato il suicidio ha minore assistenza di quella garantita nell’Istituto romano”.
Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe) e Maurizio Somma, segretario nazionale Sappe per il Lazio, parlano di una “sconfitta dello Stato e dell’intera comunità”. “Il fatto che sia morto proprio inalando il gas dalla bomboletta che tutti i reclusi legittimamente detengono per cucinarsi e riscaldarsi cibi e bevande, come prevede il regolamento penitenziario – dicono i due sindacalisti-, deve fare seriamente riflettere sulle modalità di utilizzo e di possesso di questi oggetti nelle celle”. Poi aggiungono: “Ogni detenuto può disporre di queste bombolette di gas, che però spesso servono o come oggetto atto ad offendere contro i poliziotti, come ‘sballo’ inalandone il gas o come veicolo suicidario“. Per questo “già da tempo, come primo sindacato della polizia penitenziaria, il Sappe ha sollecitato i vertici del Dap per rivedere il regolamento penitenziario, al fine di organizzare diversamente l’uso e il possesso delle bombolette di gas. Ma nulla è stato finora fatto”.
L’ultimo messaggio prima del suicidio – Prato, nel biglietto che ha lasciato in cella, ha scritto che alla base del suo gesto ci sono “le menzogne dette” su di lui e “l’attenzione mediatica” subìta. Secondo quanto si apprende, nel messaggio il giovane chiede anche di fare in modo che ci sia un medico accanto al padre quando gli verrà data la notizia della sua morte. Il cadavere del pr, 31 anni, è stato trovato durante il consueto giro di ispezione. E’ morto soffocato e il suo compagno di cella non si è accorto di nulla. Prato, a differenza di Foffo, aveva scelto il rito ordinario e domani si sarebbe dovuto presentare all’udienza del processo in cui era imputato di omicidio. In passato aveva tentato di togliersi la vita almeno altre tre volte. La prima nel 2011, quando tornò da Parigi in Italia in concomitanza con la fine di una relazione. Un episodio simile si verificò qualche mese dopo, una volta rientrato a Roma. Il terzo tentativo venne messo in atto a marzo 2016 qualche ora dopo l’omicidio in un albergo nella zona di piazza Bologna.
“La sua infanzia – ha spiegato Flaminia Bolzan, criminologa e psicologa clinica, scelta come consulente dalla procura per tratteggiare la personalità di Prato e quella di Foffo nell’ambito dell’inchiesta – è trascorsa in seno ad una famiglia disgregata che non ha offerto al bambino la possibilità di identificarsi con modelli positivi stabili avendo ricevuto povertà emotiva in una sorta di ‘abbandono’ affettivo da parte della madre, portando come conseguenza, sul piano psichico, la formazione di perversioni sessuali a carattere anche sadico e la peculiare rinuncia ad incolpare la madre di tale abbandono, fantasticando di una madre buona con la quale identificarsi e di un padre crudele o assente“. Per quanto riguarda la sua omosessualità, Prato aveva specificato “di essere attratto da individui di sesso maschile che si dichiarano eterosessuali“. Era “dichiaratamente e ostentatamente omosessuale – si legge nella relazione di 70 pagine di Bolzan – le sue amicizie di vecchia data sono costituite prevalentemente da donne. Fumatore, assume regolarmente alcool e cocaina, gli è stata sospesa due volte la patente per guida in stato di ebbrezza, utilizza un toupet per nascondere un principio di calvizie; nei giorni trascorsi a casa di Foffo aveva indossato abiti femminili, scarpe con il tacco e una parrucca da donna di colore acceso”.
“Dopo avere saputo del suicidio, la madre di Luca Varani ha pianto” – A intervenire sulla morte di Prato è Marta Gaia Sebastiani, la ragazza di Varani. “Una vita è una vita – scrive su Facebook -. Sono scioccata per quanto accaduto …Solo due parole: silenzio e rispetto per il lutto delle famiglie”.
Vincenzo Mastronardi, consulente legale della famiglia Varani, riferisce che la madre della vittima “appresa stamattina la notizia del suicidio di Marco Prato, ha pianto. Ho appena sentito il padre di Luca e di nuovo ho colto la grande umanità e la compostezza di questi genitori”. Poi ha aggiunto: “Seppur nella sofferenza immensa, la famiglia continua a ripetersi: ‘cosa avrà passato in quei momenti Luca, quando voleva riprendersi e realizzava, aveva franca percezione, che stava per morire’. Il loro pensiero va al vissuto del figlio negli ultimi istanti, lasciato a terra con un coltello infisso nel petto mentre gli assassini, stanchi, dormivano”. Alessandro Cassiani legale di parte civile per la famiglia di Luca Varani, nonostante precisi che questo episodio rappresenta “una tragedia nella tragedia“, non crede “che Prato si sia tolto la vita per rimorso o pentimento. Da quel punto di vista nè lui nè Manuel Foffo si sono comportati bene con i genitori di Luca – aggiunge Cassiani – Credo piuttosto che alla base del suicidio ci siano più fattori: fermo restando che il carcere era l’unica strada che lui e Manuel Foffo hanno meritato per la gravità del fatto loro attribuito, ritengo che abbiano pesato su Prato la lunga detenzione, l’estenuante attesa del processo che ha dovuto subire, due rinvii per lo sciopero degli avvocati quando si sarebbe potuto chiudere in fretta optando per il rito abbreviato, come ha fatto l’altro imputato, e soprattutto il fatto che in udienza avrebbe deposto, su citazione della procura, lo stesso Foffo, che avrebbe scaricato sull’ex amico ogni responsabilità”.
Michele Andreano, l’avvocato che ha seguito Foffo nel processo abbreviato con cui è stato condannato a 30 anni di carcere, parla di “notizia tragica”, ma precisa: “Noi avevamo lanciato l’allarme mandando fax e presentando istanze in cui segnalavamo il rischio a cui poteva andare incontro anche Manuel Foffo. Ci tengo a precisare che io non sono più l’avvocato di Foffo, ma questa vicenda – afferma Andreano – riapre la questione del controllo che alcuni detenuti devono necessariamente avere all’interno delle carceri. Attualmente Foffo è detenuto a Rebibbia in una struttura sorvegliata. Per Prato non so qualche fosse il regime cui era sottoposto ma i controlli sono assolutamente necessari”.