Barbiana, a 475 metri di altezza, a metà del monte Giovi, esposta ai venti gelidi dell’Appenino, si trova nel Comune di Vicchio, paese natale di Giotto e del Beato Angelico. Ci si può arrivare, transitando per l’A1, dal casello di Barberino del Mugello, da qui si imbocca la strada per Borgo San Lorenzo. Da Firenze, che dista da Barbiana una quarantina di chilometri, le strade sono diverse: da Pontassieve, da Fiesole o passando dalla Bolognese. Quando vi fu esiliato don Lorenzo Milani, il 7 dicembre 1954, non c’era la strada. Racconta Maresco Ballini, un allievo di San Donato di Calenzano, dove don Lorenzo fu inviato come cappellano nel 1947, che quel giorno pioveva a dirotto e il  camion che trasportava gli oggetti, i vestiti, i libri del cappellano e di Giulia e Eda Pelagatti, le due donne che vivevano con lui, si fermò a circa mezzo chilometro dalla chiesa e dalla canonica. Barbiana era una parrocchia di montagna con pochi montanari, sprovvista di luce, acqua, scuola e ufficio postale. Lo Stato si faceva vivo solo per inviare la cartolina precetto per il militare o l’invio in guerra.

Papa Francesco arriverà in elicottero, proveniente da Bozzolo, il piccolo borgo di 5mila anime dove visse don Primo Mazzolari, e troverà una Barbiana diversa: oggi c’è la strada, la luce, l’acqua. Ma potrà assaporare lo stesso, nell’austerità e sobrietà del luogo, quel senso di distanza e di esilio che Barbiana conserva anche oggi. Lungo una stradina che porta al bosco potrà vedere i cartelli con i primi 54 articoli della Costituzione, il vangelo laico di don Milani. E sicuramente farà visita alla piccola stanza, in canonica, dove il priore faceva scuola ai ragazzi. Qui campeggia la famosa scritta I care, mi interessa, che nel 2000 Walter Veltroni, allora segretario dei Ds, mutuò per il congresso del Lingotto. Poi il Papa si recherà nel piccolo camposanto a pregare sulla tomba del priore, morto il 26 giugno 1967. Con questa visita imprevista e coraggiosa, papa Francesco riabilita don Milani e fa di Barbiana e dell’esperienza del priore uno dei centri spirituali di riferimento del suo pontificato. 

Per la Chiesa è una svolta storica. Il prete esiliato, in odore di eresia, che il cardinale di Firenze Ermenegildo Florit minacciò di sospensione a divinis, viene assurto a testimone evangelico della Chiesa di Papa Francesco.

Accanto ad un significato religioso ed ecclesiale, la visita di Bergoglio a Barbiana assume anche una valenza civile e politica. Nel fuoco delle polemiche tra la Cei, la conferenza dei vescovi italiani, e la Lega Nord sui migranti, non può passare sotto silenzio l’I care milaniano come finestra aperta al mondo e alla solidarietà. E sicuramente risuoneranno le parole scritte da don Milani, nel febbraio del 1965, ai cappellani militari della Toscana: “Non discuterò qui l’idea di Patria in sé. Non mi piacciono queste divisioni. Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri”.

L’altro grande tema civile è quello della scuola. La prima volta che Papa Francesco ha parlato di don Milani è stato il 10 maggio 2014, in piazza San Pietro, in un discorso al mondo scolastico. Sottolineando che il segreto della scuola è “imparare ad imparare” per educare i giovani ad essere aperti alla realtà, Papa Bergoglio aggiunse: “Questo lo insegnava anche un grande educatore italiano, che era un prete: don Lorenzo Milani”.

E’ singolare che del priore di Barbiana il Papa sottolinei, prima ancora del suo essere prete, il ruolo civile dell’educatore. Proprio cinquant’anni fa, ad un mese dalla morte, uscì Lettera a una professoressa, testo cult della scuola di Barbiana, best seller venduto in milioni di copie, che ha processato il classismo del sistema scolastico italiano. E anticipato per certi versi la contestazione scolastica del ‘68.

E la scuola di don Milani continua a far discutere. Tra chi la critica e imputa a Lettera a una professoressa tutti i guai della scuola italiana e chi invece la ritiene ancora un riferimento pedagogico importante. Come ad esempio lo storico dell’arte fiorentino Tomaso Montanari, che il 17 giugno scorso, alla festa nazionale della Fiom, tenutasi in riva all’Arno, ha contrapposto, in un teso confronto con la ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli, la scuola di don Milani alla Buona scuola del governo. La scuola dell’I care contrapposta alla Buona scuola in cui, ha polemizzato Montanari, “cultura umanistica, creatività e Made in Italy sarebbero sinonimi: per conoscere il patrimonio culturale, la Ferrari e il parmigiano (tutto sullo stesso piano) bisogna essere creativi”.

Chissà cosa ne penserà Papa Francesco. Di sicuro la Buona scuola vista da qui, da Barbiana, appare lontana.

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