“Nel 2016 l’intervento pubblico ha determinato una riduzione della diseguaglianza di 15,1 punti percentuali, da un valore di 45,2 misurato sul reddito primario a uno di 30,1 in termini di reddito disponibile”. E ancora: “Le principali politiche redistributive del periodo 2014-2016 (bonus di 80 euro, aumento della quattordicesima per i pensionati e sostegno di inclusione attiva), hanno aumentato l’equità della distribuzione dei redditi disponibili nel 2016 e ridotto il rischio di povertà“. Se lo scrive l’Istat nel suo primo “rapporto sulla redistribuzione del reddito in Italia”, è inevitabile che a quattro giorni dai ballottaggi deputati e senatori Pd – e pure la sottosegretaria alla presidenza del Consiglio Maria Elena Boschi – esultino sui social con diverse variazioni sul tema “ecco i risultati dei mille giorni“. Di governo Renzi, s’intende. Del resto non sembra un caso che l’istituto prenda in considerazione proprio le misure approvate tra 2014 e 2016.

Il problema è che l’effetto positivo di sistema fiscale (tasse e contributi) e misure di welfare (dalle pensioni agli assegni familiari) sul reddito disponibile delle famiglie non è affatto aumentato rispetto al passato: per esempio nel 2012, secondo dati dello stesso istituto di statistica, l’intervento dello Stato ha ridotto le disuguaglianze iniziali misurate dall’indice di Gini di ben 18 punti. Peggio ancora, tra le “misure adottate nel triennio 2014-2016” di cui l’Istat stima l’effetto c’è anche la nuova quattordicesima “allargata” per i pensionati. Che l’anno scorso era molto di là da venire, visto che partirà solo il prossimo 1 luglio. Insomma: sui confronti poco vantaggiosi si sorvola e l’effetto degli interventi renziani viene amplificato “retrodatando” l’entrata in vigore.

Niente confronti sgradevoli con il passato e con gli altri Paesi – Una nota a piè di pagina 7 spiega, a dire il vero, che quello sugli effetti delle misure redistributive adottate tra 2014-2016 è “un calcolo di competenza che anticipa anche gli effetti dell’aumento della quattordicesima per i pensionati che verrà erogata da luglio”. E Roberto Monducci, direttore del dipartimento produzione statistica dell’Istat, a ilfattoquotidiano.it spiega che “si tratta di simulazioni, non di informazione statistica. E’ un esercizio teorico”. Ma l’introduzione, che elenca i punti principali del rapporto, non fa cenno al fatto che si tratta di una proiezione che ha poca attinenza con la realtà. Così come non ricorda che il Rapporto annuale 2014 dello stesso Istat quantificava l’effetto dell’intervento pubblico sulla riduzione dell’indice di disuguaglianza in 18 punti percentuali nel 2012 contro i 15 del 2016. Vale a dire che nel pieno della crisi economica lo Stato era relativamente più efficiente nel ridurre la disuguaglianza economica dei cittadini. E anche allora, notava all’epoca l’istituto, l’Italia rimaneva “uno dei paesi europei con livelli più elevati di diseguaglianza economica anche dopo l’intervento pubblico”. Negli ultimi anni, dicono i numeri, la situazione è peggiorata. Bisogna poi arrivare all’ultimo punto dell’introduzione per scoprire che il sistema italiano di tasse e benefit penalizza a tal punto i giovani, anche quelli con figli piccoli, da aumentare non di poco il loro rischio di finire in povertà. Mentre offre molti benefici ai pensionati.

Rapporto annuale 2014, Istat

Per i giovani tra 15 e 24 anni l’intervento pubblico fa salire il rischio povertà al 25% – I giovani e i genitori single, si legge, sono i “meno tutelati” dal sistema di welfare e “dopo l’intervento pubblico mostrano un rischio di povertà superiore al 30%“. Per i giovani nella fascia di età dai 15 ai 24 anni il rischio povertà passa addirittura dal 19,7% prima della “cura” somministrata dallo Stato al 25,3%. Per i 25-34enni l’aumento è dal 17,9 al 20,2%. “Un limite evidente del sistema dal punto di vista dell’equità”, aggiunge il rapporto, “è la debole tutela accordata ai minori in presenza di bassi livelli del reddito familiare: per effetto dell’intervento pubblico il rischio di povertà aumenta dal 20,4 al 25,1% per chi ha meno di 14 anni“. Secondo l’istituto, lo “svantaggio relativo” dei giovani in età attiva non dipende tanto dalla priorità data alle pensioni, ma soprattutto dalle “difficoltà di ingresso e di permanenza nel mercato del lavoro“. Evidentemente, dunque, le politiche pubbliche per l’occupazione sono inefficaci su questo fronte. Come dimostra il fatto che a beneficiare maggiormente del Jobs act sono stati gli over 50.

…mentre i pensionati sono i più tutelati – Al contrario pensioni e assegni ai superstiti “abbattono drasticamente il rischio di povertà delle famiglie anziane”, che risultano essere allo stesso tempo “le più esposte e le più tutelate, cioè quelle per cui la redistribuzione consegue il maggior effetto”: dopo la redistribuzione, evidenzia Istat, “il rischio di povertà scende al 17,1% per i singoli, in maggioranza vedove, e al 9,9% per le coppie“.

Il sostegno ai poveri? “Effetti decisamente inferiori alle intenzioni” – Per quanto riguarda le misure introdotte dal governo Renzi, il sostegno di inclusione attiva per le famiglie povere (lo strumento ponte introdotto lo scorso anno in attesa del nuovo Reddito di inclusione attiva), nel 2016 “ha raggiunto circa 210mila famiglie, per un importo medio di 875 euro e una spesa complessiva non superiore ai 200 milioni di euro”: “effetti decisamente inferiori rispetto alle intenzioni del legislatore, poiché nel 2016 non si è potuto spendere l’intero stanziamento disponibile, pari a 750 milioni di euro”. Per quanto riguarda gli 80 euro invece “gli effetti maggiori in valore assoluto e come quota di beneficiari si registrano per le famiglie con redditi medio alti“. Risultato che non stupisce visto che il bonus è destinato a chi ha introiti compresi tra 8mila e 26mila euro e chi l’ha ricevuto ma ha poi scoperto di aver guadagnato troppo o troppo poco ha dovuto restituirlo.

 

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