Il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato lo aveva appena accennato due settimane fa quando a Reggio Calabria ha partecipato a un convegno nazionale da Magistratura democratica. Le sue parole hanno anticipato il lungo ragionamento sviluppato nelle quasi mille pagine della relazione annuale della Direzione nazionale antimafia guidata dal procuratore Franco Roberti.
L’APPELLO DI SCARPINATO
In riva allo Stretto, il pg Roberto Scarpinato aveva definito le organizzazioni mafiose con la parola “mutante”: “Sempre più si va affermando nel panorama criminale una nuova soggettività complessa che i tecnici chiamano ‘sistemi criminali’ oppure ‘comitati crimino-affaristici’, che la stampa chiama ‘cricche’, ‘comitati d’affari’, ‘P3’ o ‘P4’, che sostanzialmente sono network di potere di cui fanno parte esponenti di mondi diversi, di quello politico, di quello finanziario, il pubblico amministratore, l’esponente delle istituzioni, il faccendiere, il colletto bianco delle mafie”. Un discorso che da anni ripete il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo la cui inchiesta “Mamma Santissima” rischia di dover riscrivere la storia della ‘ndrangheta reggina.
Ma è proprio la nuova soggettività della ‘ndrangheta a creare difficoltà alla magistratura nel momento in cui i pm devono contestare un reato. Se da una parte “la norma del 416 ter è post datata, da prima Repubblica”, secondo Scarpinato, senza le opportune modifiche sono inadeguati anche i reati contestati dagli articoli 416 bis (“i sistemi criminali non usano il metodo mafioso” ) 416 (“l’associazione a delinquere semplice è una norma riduttiva”). Lo stesso vale per la violazione della legge Anselmi (“è uno strumento assolutamente inutilizzabile)”.
‘NDRANGHETA E CORRUZIONE, BISOGNA MODIFICARE IL 416 BIS
Difficoltà giuridiche che, incrociate con le più importanti inchieste antimafia (come “Mamma Santissima”), hanno spinto il procuratore nazionale Franco Roberti e la Dna a proporre un’urgente modifica al reato di associazione mafiosa. Una modifica che tenga in considerazione che le mafie possono agire senza necessariamente far scorrere sangue ma ricorrendo alla corruzione. Secondo la Dna, infatti, questa modifica è necessaria perché c’è uno “spostamento dell’operatività dei sodalizi mafiosi – è scritto sempre nella relazione – da un terreno eminentemente militare a quello prevalentemente collusivo-corruttivo”. Un “nuovo modello” di organizzazione mafiosa, quindi, che si serve “di relazioni illecite fra apparati pubblici e crimine organizzato in forma stabile ed associata. Al mafioso basta chiedere per ottenere. A fronte di un esercizio sempre più ridotto e meno vistoso della violenza, si manifestano, invece, sempre più imponenti, diffusi ed estesi, fenomeni d’infiltrazione delle mafie in vasti settori economici e delle pubbliche amministrazioni”.
LA TRASFORMAZIONE DELLE ORGANIZZAZIONI MAFIOSE
In altre parole, “le mafie, anche senza l’uso di quelle che si riteneva fossero le loro armi principali, continuavano e continuano, non solo a raggiungere i loro scopi di governo del territorio, di acquisizione di pubblici servizi, appalti, interi comparti economici, ma continuano a farlo avvalendosi dell’assoggettamento del prossimo (sia esso un imprenditore concorrente o un qualsiasi altro cittadino) riuscendo a porre costui, senza fare ricorso all’uso della tipica violenza mafiosa, in uno stato di paralizzata rassegnazione, nella quale, in sostanza, è in balia del volere mafioso. E qui è il cuore del ragionamento che consente di collocare il metodo collusivo corruttivo nell’alveo dei sistemi attraverso cui le mafie possono indurre assoggettamento: l’uso stabile e continuo del metodo corruttivo–collusivo da parte delle associazioni mafiose, determina di fatto l’acquisizione (ma forse sarebbe meglio dire, l’acquisto) in capo alle mafie stesse, dei poteri dell’autorità pubblica che governa il settore amministrativo ed economico che viene infiltrato”. Secondo la Direzione nazionale antimafia, siamo difronte a “un inarrestabile processo di trasformazione delle organizzazioni mafiose, da associazioni eminentemente militari e violente, ad entità affaristiche fondate su di un sostrato miliare”. “I dati in nostro possesso, – scrive il capo della Dna Roberti – confermano come gli omicidi ascrivibili alle dinamiche delle organizzazioni mafiose siano complessivamente in calo, mentre il panorama delle indagini mostra un forte dinamismo dei sodalizi in tutti gli ambiti imprenditoriali nei quali viene in rilievo un rapporto con la pubblica amministrazione”.
“MAMMA SANTISSIMA”: L’ABBRACCIO, TRA LA ‘NDRANGHETA E LE ISTITUZIONI
Abbandonato il linguaggio giuridico e passando ai fatti concreti emersi nelle recenti inchieste sulla ‘ndrangheta, la relazione della Dna si concentra sulle indagini delle operazioni “Mammasantissima”, “Fata Morgana”, Sistema Reggio” e Reghion”. Nelle pieghe dei faldoni che hanno dato vita al processo “Gotha” c’è “il rapporto tra la ndrangheta, esponenti di rilievo delle Istituzioni e professionisti (legati anche ad organizzazioni massoniche ed ai Servizi segreti) di piena intraneità, al punto da giocare un ruolo di assoluto primo piano nelle scelte strategiche dell’associazione, facendo parte di una “struttura riservata” di comando, la cui esistenza è stata, peraltro, scientemente tenuta nascosta a gran parte degli affiliati, anche di rango elevato”. Un processo che è ancora in corso ma che ha già consentito alla Procura di Federico Cafiero De Raho e ai gip di accertare come la tipologia di rapporti tra gli indagati e le famiglie di ‘ndrangheta si allontana dai parametri del concorso esterno per “rientrare nel reato di cui all’articolo 416 bis (associazione mafiosa).
L’inchiesta “Mamma Santissima” ha ricostruito quella “struttura direttiva riservata la cui esistenza è stata accertata nel processo ‘Crimine’.
Quali componenti della predetta struttura, sono stati tratti in arresto, due avvocati, Giorgio De Stefano, con legami di sangue con l’omonima famiglia di ndrangheta e Paolo Romeo, Francesco Chirico (alto funzionario regionale, in servizio per lunghi anni anche al Comune di Reggio Calabria) nonché due esponenti politici di primo piano, Alberto Sarra, assessore regionale e Antonio Caridi, senatore della Repubblica (ex assessore regionale e comunale)”.
PAOLO ROMEO E GIORGIO DE STEFANO, IL “MOTORE DELL’ASSOCIAZIONE SEGRETA”
La figura chiave è quella di Paolo Romeo, legato al mondo massonico e ritenuto “il vero e proprio motore dell’associazione segreta dimostratasi in grado di condizionare l’agire delle istituzioni locali, finendo con il piegarle ai propri desiderata, convergenti, ovviamente, con gli interessi più generali della ndrangheta”. È lui, assieme all’avvocato Giorgio De Stefano, che tira le fila di quella che la Procura di Reggio e la Dna definiscono “cabina di regia criminale” all’interno della quale “è stato gestito il potere, quello vero, quello reale, quello che decide chi, in un certo contesto territoriale, diventerà sindaco, consigliere o assessore comunale, consigliere o assessore regionale e addirittura parlamentare nazionale od europeo. Sono stati, invero, il Romeo ed il De Stefano a pianificare, fin nei minimi dettagli, l’ascesa politica di Alberto Sarra, consigliere regionale nel 2002 (subentrando a Giuseppe Scopelliti, fatto eleggere sindaco di Reggio Calabria), assessore regionale nel 2004, prendendo il posto di Umberto Pirilli, a sua volta eletto al Parlamento Europeo grazie al massiccio appoggio di praticamente tutte le famiglie del mandamento di centro, da Villa San Giovanni a Bova Marina e, infine, sottosegretario regionale nel 2010, designato del predetto Scopelliti, nel frattempo divenuto Presidente della Regione Calabria”.
IL SENATORE ANTONIO CARIDI, E IL FLOP LA LEGGE ELETTORALE
Un paragrafo a parte è quello dedicato al senatore di Gal Antonio Caridi, finito in carcere l’anno scorso dopo l’autorizzazione all’arresto votata dal Parlamento. Dopo essere stato assessore comunale e regionale, la sua elezione al Senato nel 2013, secondo la Dna, è “significativa di come, nelle Regioni in cui è fortissimo il controllo del consenso da parte della criminalità organizzata, la nuova legge elettorale non abbia raggiunto l’obiettivo sperato di neutralizzare gli effetti di tale dominio, poiché i pacchetti di voti continuano ad essere dirottati su una lista piuttosto che su un’altra, sulla base di criteri meramente utilitaristici rispetto ai progetti criminali”.
La ‘ndrangheta è “presente in tutti i settori nevralgici della politica, dell’amministrazione pubblica e dell’economia, creando, in tal modo, le condizioni per un arricchimento, non più solo attraverso le tradizionali attività illecite del traffico internazionale di stupefacenti e delle estorsioni, ma anche intercettando, attraverso prestanome o, comunque, imprenditori di riferimento, importanti flussi economici pubblici ad ogni livello, comunale, regionale, statale ed europeo”.
Mafie
Mafie, “per combattere la ‘ndrangheta mutante bisogna modificare il 416 bis”
La Dna, nella relazione annuale, ripropone un’urgente modifica al reato di associazione mafiosa. Una modifica che tenga in considerazione che le organizzazioni possono agire senza necessariamente far scorrere sangue ma ricorrendo alla corruzione. Questa modifica, di cui parla da tempo anche il pg di Palermo Scarpinato, è necessaria perché c’è uno “spostamento dell’operatività dei sodalizi mafiosi da un terreno eminentemente militare a quello prevalentemente collusivo-corruttivo”
Il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato lo aveva appena accennato due settimane fa quando a Reggio Calabria ha partecipato a un convegno nazionale da Magistratura democratica. Le sue parole hanno anticipato il lungo ragionamento sviluppato nelle quasi mille pagine della relazione annuale della Direzione nazionale antimafia guidata dal procuratore Franco Roberti.
L’APPELLO DI SCARPINATO
In riva allo Stretto, il pg Roberto Scarpinato aveva definito le organizzazioni mafiose con la parola “mutante”: “Sempre più si va affermando nel panorama criminale una nuova soggettività complessa che i tecnici chiamano ‘sistemi criminali’ oppure ‘comitati crimino-affaristici’, che la stampa chiama ‘cricche’, ‘comitati d’affari’, ‘P3’ o ‘P4’, che sostanzialmente sono network di potere di cui fanno parte esponenti di mondi diversi, di quello politico, di quello finanziario, il pubblico amministratore, l’esponente delle istituzioni, il faccendiere, il colletto bianco delle mafie”. Un discorso che da anni ripete il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo la cui inchiesta “Mamma Santissima” rischia di dover riscrivere la storia della ‘ndrangheta reggina.
Ma è proprio la nuova soggettività della ‘ndrangheta a creare difficoltà alla magistratura nel momento in cui i pm devono contestare un reato. Se da una parte “la norma del 416 ter è post datata, da prima Repubblica”, secondo Scarpinato, senza le opportune modifiche sono inadeguati anche i reati contestati dagli articoli 416 bis (“i sistemi criminali non usano il metodo mafioso” ) 416 (“l’associazione a delinquere semplice è una norma riduttiva”). Lo stesso vale per la violazione della legge Anselmi (“è uno strumento assolutamente inutilizzabile)”.
‘NDRANGHETA E CORRUZIONE, BISOGNA MODIFICARE IL 416 BIS
Difficoltà giuridiche che, incrociate con le più importanti inchieste antimafia (come “Mamma Santissima”), hanno spinto il procuratore nazionale Franco Roberti e la Dna a proporre un’urgente modifica al reato di associazione mafiosa. Una modifica che tenga in considerazione che le mafie possono agire senza necessariamente far scorrere sangue ma ricorrendo alla corruzione. Secondo la Dna, infatti, questa modifica è necessaria perché c’è uno “spostamento dell’operatività dei sodalizi mafiosi – è scritto sempre nella relazione – da un terreno eminentemente militare a quello prevalentemente collusivo-corruttivo”. Un “nuovo modello” di organizzazione mafiosa, quindi, che si serve “di relazioni illecite fra apparati pubblici e crimine organizzato in forma stabile ed associata. Al mafioso basta chiedere per ottenere. A fronte di un esercizio sempre più ridotto e meno vistoso della violenza, si manifestano, invece, sempre più imponenti, diffusi ed estesi, fenomeni d’infiltrazione delle mafie in vasti settori economici e delle pubbliche amministrazioni”.
LA TRASFORMAZIONE DELLE ORGANIZZAZIONI MAFIOSE
In altre parole, “le mafie, anche senza l’uso di quelle che si riteneva fossero le loro armi principali, continuavano e continuano, non solo a raggiungere i loro scopi di governo del territorio, di acquisizione di pubblici servizi, appalti, interi comparti economici, ma continuano a farlo avvalendosi dell’assoggettamento del prossimo (sia esso un imprenditore concorrente o un qualsiasi altro cittadino) riuscendo a porre costui, senza fare ricorso all’uso della tipica violenza mafiosa, in uno stato di paralizzata rassegnazione, nella quale, in sostanza, è in balia del volere mafioso. E qui è il cuore del ragionamento che consente di collocare il metodo collusivo corruttivo nell’alveo dei sistemi attraverso cui le mafie possono indurre assoggettamento: l’uso stabile e continuo del metodo corruttivo–collusivo da parte delle associazioni mafiose, determina di fatto l’acquisizione (ma forse sarebbe meglio dire, l’acquisto) in capo alle mafie stesse, dei poteri dell’autorità pubblica che governa il settore amministrativo ed economico che viene infiltrato”. Secondo la Direzione nazionale antimafia, siamo difronte a “un inarrestabile processo di trasformazione delle organizzazioni mafiose, da associazioni eminentemente militari e violente, ad entità affaristiche fondate su di un sostrato miliare”. “I dati in nostro possesso, – scrive il capo della Dna Roberti – confermano come gli omicidi ascrivibili alle dinamiche delle organizzazioni mafiose siano complessivamente in calo, mentre il panorama delle indagini mostra un forte dinamismo dei sodalizi in tutti gli ambiti imprenditoriali nei quali viene in rilievo un rapporto con la pubblica amministrazione”.
“MAMMA SANTISSIMA”: L’ABBRACCIO, TRA LA ‘NDRANGHETA E LE ISTITUZIONI
Abbandonato il linguaggio giuridico e passando ai fatti concreti emersi nelle recenti inchieste sulla ‘ndrangheta, la relazione della Dna si concentra sulle indagini delle operazioni “Mammasantissima”, “Fata Morgana”, Sistema Reggio” e Reghion”. Nelle pieghe dei faldoni che hanno dato vita al processo “Gotha” c’è “il rapporto tra la ndrangheta, esponenti di rilievo delle Istituzioni e professionisti (legati anche ad organizzazioni massoniche ed ai Servizi segreti) di piena intraneità, al punto da giocare un ruolo di assoluto primo piano nelle scelte strategiche dell’associazione, facendo parte di una “struttura riservata” di comando, la cui esistenza è stata, peraltro, scientemente tenuta nascosta a gran parte degli affiliati, anche di rango elevato”. Un processo che è ancora in corso ma che ha già consentito alla Procura di Federico Cafiero De Raho e ai gip di accertare come la tipologia di rapporti tra gli indagati e le famiglie di ‘ndrangheta si allontana dai parametri del concorso esterno per “rientrare nel reato di cui all’articolo 416 bis (associazione mafiosa).
L’inchiesta “Mamma Santissima” ha ricostruito quella “struttura direttiva riservata la cui esistenza è stata accertata nel processo ‘Crimine’. Quali componenti della predetta struttura, sono stati tratti in arresto, due avvocati, Giorgio De Stefano, con legami di sangue con l’omonima famiglia di ndrangheta e Paolo Romeo, Francesco Chirico (alto funzionario regionale, in servizio per lunghi anni anche al Comune di Reggio Calabria) nonché due esponenti politici di primo piano, Alberto Sarra, assessore regionale e Antonio Caridi, senatore della Repubblica (ex assessore regionale e comunale)”.
PAOLO ROMEO E GIORGIO DE STEFANO, IL “MOTORE DELL’ASSOCIAZIONE SEGRETA”
La figura chiave è quella di Paolo Romeo, legato al mondo massonico e ritenuto “il vero e proprio motore dell’associazione segreta dimostratasi in grado di condizionare l’agire delle istituzioni locali, finendo con il piegarle ai propri desiderata, convergenti, ovviamente, con gli interessi più generali della ndrangheta”. È lui, assieme all’avvocato Giorgio De Stefano, che tira le fila di quella che la Procura di Reggio e la Dna definiscono “cabina di regia criminale” all’interno della quale “è stato gestito il potere, quello vero, quello reale, quello che decide chi, in un certo contesto territoriale, diventerà sindaco, consigliere o assessore comunale, consigliere o assessore regionale e addirittura parlamentare nazionale od europeo. Sono stati, invero, il Romeo ed il De Stefano a pianificare, fin nei minimi dettagli, l’ascesa politica di Alberto Sarra, consigliere regionale nel 2002 (subentrando a Giuseppe Scopelliti, fatto eleggere sindaco di Reggio Calabria), assessore regionale nel 2004, prendendo il posto di Umberto Pirilli, a sua volta eletto al Parlamento Europeo grazie al massiccio appoggio di praticamente tutte le famiglie del mandamento di centro, da Villa San Giovanni a Bova Marina e, infine, sottosegretario regionale nel 2010, designato del predetto Scopelliti, nel frattempo divenuto Presidente della Regione Calabria”.
IL SENATORE ANTONIO CARIDI, E IL FLOP LA LEGGE ELETTORALE
Un paragrafo a parte è quello dedicato al senatore di Gal Antonio Caridi, finito in carcere l’anno scorso dopo l’autorizzazione all’arresto votata dal Parlamento. Dopo essere stato assessore comunale e regionale, la sua elezione al Senato nel 2013, secondo la Dna, è “significativa di come, nelle Regioni in cui è fortissimo il controllo del consenso da parte della criminalità organizzata, la nuova legge elettorale non abbia raggiunto l’obiettivo sperato di neutralizzare gli effetti di tale dominio, poiché i pacchetti di voti continuano ad essere dirottati su una lista piuttosto che su un’altra, sulla base di criteri meramente utilitaristici rispetto ai progetti criminali”.
La ‘ndrangheta è “presente in tutti i settori nevralgici della politica, dell’amministrazione pubblica e dell’economia, creando, in tal modo, le condizioni per un arricchimento, non più solo attraverso le tradizionali attività illecite del traffico internazionale di stupefacenti e delle estorsioni, ma anche intercettando, attraverso prestanome o, comunque, imprenditori di riferimento, importanti flussi economici pubblici ad ogni livello, comunale, regionale, statale ed europeo”.
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Mafie, relazione Dna: “La ‘ndrangheta presente in tutti i settori nevralgici. Legami con massoneria e servizi segreti”
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(Adnkronos) - Le violenze e le discriminazioni violano la dignità personale, creano un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante, offensivo e generano malessere nelle persone che le subiscono. “In questi casi, la prima cosa da fare è segnalare e denunciare alla Consigliera di Parità per ricevere supporto e assistenza. È fondamentale non rimanere in silenzio. Ogni voce conta e può portare ad un cambiamento - sottolinea Antonella Pappadà, consigliera di Parità effettiva della Provincia di Lecce - . Questo incontro offre un’occasione per riflettere e ricordare a noi stesse quanto sia importante valorizzare il nostro talento e le nostre competenze e imparare a non farci sopraffare sia nelle relazioni personali sia nei luoghi di lavoro. La figura istituzionale della Consigliera di Parità della Provincia di Lecce è preposta a contrastare ogni forma di discriminazione legata al genere e non solo, a dare sostegno alle lavoratrici e ai lavoratori che ne siano stati vittime sul luogo di lavoro, supportandoli gratuitamente in via stragiudiziale e giudiziale”.
“La violenza contro le donne e i femminicidi rappresentano ferite profonde nella nostra società, ma oggi dobbiamo esprimere la nostra determinazione nel combattere questi problemi - aggiunge Donatella Bertolone, vicepresidente Vicario Gruppo Donne Imprenditrici Fipe/Confcommercio - È incoraggiante vedere sempre più donne unirsi per reclamare il diritto alla sicurezza e al rispetto. Le donne non sono solo vittime, ma anche attrici fondamentali nel mondo del lavoro e dell’imprenditoria. Campagne come #SicurezzaVera ci mostrano che possiamo fare la differenza, sensibilizzando e coinvolgendo la società su questi temi cruciali. È essenziale lavorare insieme per sfatare l’idea che i luoghi di intrattenimento siano associati alla violenza. Dobbiamo trasformare questi spazi in ambienti sicuri e accoglienti, dove ogni persona, in particolare le donne, possa sentirsi protetta e rispettata”.
I dati raccolti dal Centro Antiviolenza Renata Fonte di Lecce parlano chiaro: nel 2024 hanno chiesto aiuto 174 donne. La fascia d’età più colpita è quella tra i 30 e i 39 anni (32%), seguita da quella tra i 40 e i 49 anni (23%). La violenza non ha un unico volto: il 44% ha subito violenza fisica, il 45% psicologica, mentre il 2% ha denunciato violenze sessuali e il 4% atti di stalking. Colpisce il fatto che, nonostante il dolore e la sofferenza, solo il 34% delle donne abbia trovato la forza di sporgere denuncia. Il restante 66% ha scelto di non farlo, per paura di ritorsioni o per mancanza di fiducia nelle istituzioni.
"Uscire da una relazione maltrattante non è mai semplice per una donna, soprattutto quando l’uomo che esercita violenza è il compagno, il marito o il padre dei suoi figli, dichiara Maria Luisa Toto - Presidente Associazione Donne Insieme che gestisce il Centro Antiviolenza Renata Fonte. Ogni donna ha i suoi tempi, perché la paura, la vergogna e il senso di colpa possono trasformarsi in una prigione invisibile, fatta di solitudine e isolamento. Questi numeri ci dicono che la violenza di genere è una piaga radicata nella nostra società. Non è solo un fenomeno privato, ma una delle più gravi violazioni dei diritti umani. Per questo è essenziale che le donne non si sentano sole. Devono sapere che c’è una rete di supporto pronta ad aiutarle".
Una rete di supporto alimentata anche da momenti di spettacolo che portano in scena – come nel caso di “Eva non è ancora nata” di e con Salvatore Cosentino, magistrato e autore teatrale - la realtà delle donne che vengono analizzate sotto l’aspetto umano, per una riflessione profonda sul loro ruolo nella società di oggi. A ricordare le vittime di femminicidio e di violenza di genere, da venerdì 7 marzo ci sarà a Lecce anche una nuova panchina rossa, installata a Palazzo dei Celestini su iniziativa della Commissione Pari Opportunità della Provincia. Una mobilitazione importante quella della città che ha coinvolto anche la U.S. Lecce, che ha voluto essere presente all’evento di Codere inviando un videomessaggio di Federico Baschirotto. Il capitano dei giallorossi salentini ha ribadito l’importanza del contrasto a qualsiasi forma di violenza sulle donne e della promozione della cultura del rispetto e della consapevolezza: temi anche della campagna “Un Rosso alla Violenza” della Lega Serie A che servono a tenere sempre alta l’attenzione.
“Quando 'Innamòrati di Te' ha mosso i suoi primi passi non mi aspettavo che sarebbe diventato un laboratorio così importante, un momento di confronto trasversale e costruttivo. In dieci anni abbiamo attraversato l’Italia più volte e abbiamo avuto l’opportunità di conoscere persone fantastiche che si impegnano per il bene comune, in particolare quello delle donne. Confesso di essere davvero emozionata nel vedere anche Lecce tra le Città delle Donne e ringrazio Adriana Poli Bortone per aver immediatamente colto lo spunto che, in qualità di Ambassador de Gli Stati Generali delle Donne, ho offerto - commenta Imma Romano Direttrice Relazioni Istituzionali di Codere Italia - . Anche questa volta siamo riuscite a trattare il tema della violenza di genere con chi questo tema lo conosce e lo combatte quotidianamente, provando a dare informazioni ed indicazioni molto concrete sugli strumenti esistenti e sulle opportunità che il mondo istituzionale e quello del terziario sociale mettono a disposizione. L’impegno di Codere resta un impegno concreto sia in termini di divulgazione che di supporto. Con gioia sosteniamo l’Associazione Donne Insieme che opera proprio su questo territorio”. Dopo Lecce, il progetto itinerante 'Innamòrati di Te' farà tappa il 24 giugno a Rivoli, alle porte di Torino, per un altro appuntamento gratuito e aperto al pubblico.
(Adnkronos) - Le violenze e le discriminazioni violano la dignità personale, creano un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante, offensivo e generano malessere nelle persone che le subiscono. “In questi casi, la prima cosa da fare è segnalare e denunciare alla Consigliera di Parità per ricevere supporto e assistenza. È fondamentale non rimanere in silenzio. Ogni voce conta e può portare ad un cambiamento - sottolinea Antonella Pappadà, consigliera di Parità effettiva della Provincia di Lecce - . Questo incontro offre un’occasione per riflettere e ricordare a noi stesse quanto sia importante valorizzare il nostro talento e le nostre competenze e imparare a non farci sopraffare sia nelle relazioni personali sia nei luoghi di lavoro. La figura istituzionale della Consigliera di Parità della Provincia di Lecce è preposta a contrastare ogni forma di discriminazione legata al genere e non solo, a dare sostegno alle lavoratrici e ai lavoratori che ne siano stati vittime sul luogo di lavoro, supportandoli gratuitamente in via stragiudiziale e giudiziale”.
“La violenza contro le donne e i femminicidi rappresentano ferite profonde nella nostra società, ma oggi dobbiamo esprimere la nostra determinazione nel combattere questi problemi - aggiunge Donatella Bertolone, vicepresidente Vicario Gruppo Donne Imprenditrici Fipe/Confcommercio - È incoraggiante vedere sempre più donne unirsi per reclamare il diritto alla sicurezza e al rispetto. Le donne non sono solo vittime, ma anche attrici fondamentali nel mondo del lavoro e dell’imprenditoria. Campagne come #SicurezzaVera ci mostrano che possiamo fare la differenza, sensibilizzando e coinvolgendo la società su questi temi cruciali. È essenziale lavorare insieme per sfatare l’idea che i luoghi di intrattenimento siano associati alla violenza. Dobbiamo trasformare questi spazi in ambienti sicuri e accoglienti, dove ogni persona, in particolare le donne, possa sentirsi protetta e rispettata”.
I dati raccolti dal Centro Antiviolenza Renata Fonte di Lecce parlano chiaro: nel 2024 hanno chiesto aiuto 174 donne. La fascia d’età più colpita è quella tra i 30 e i 39 anni (32%), seguita da quella tra i 40 e i 49 anni (23%). La violenza non ha un unico volto: il 44% ha subito violenza fisica, il 45% psicologica, mentre il 2% ha denunciato violenze sessuali e il 4% atti di stalking. Colpisce il fatto che, nonostante il dolore e la sofferenza, solo il 34% delle donne abbia trovato la forza di sporgere denuncia. Il restante 66% ha scelto di non farlo, per paura di ritorsioni o per mancanza di fiducia nelle istituzioni.
"Uscire da una relazione maltrattante non è mai semplice per una donna, soprattutto quando l’uomo che esercita violenza è il compagno, il marito o il padre dei suoi figli, dichiara Maria Luisa Toto - Presidente Associazione Donne Insieme che gestisce il Centro Antiviolenza Renata Fonte. Ogni donna ha i suoi tempi, perché la paura, la vergogna e il senso di colpa possono trasformarsi in una prigione invisibile, fatta di solitudine e isolamento. Questi numeri ci dicono che la violenza di genere è una piaga radicata nella nostra società. Non è solo un fenomeno privato, ma una delle più gravi violazioni dei diritti umani. Per questo è essenziale che le donne non si sentano sole. Devono sapere che c’è una rete di supporto pronta ad aiutarle".
Una rete di supporto alimentata anche da momenti di spettacolo che portano in scena – come nel caso di “Eva non è ancora nata” di e con Salvatore Cosentino, magistrato e autore teatrale - la realtà delle donne che vengono analizzate sotto l’aspetto umano, per una riflessione profonda sul loro ruolo nella società di oggi. A ricordare le vittime di femminicidio e di violenza di genere, da venerdì 7 marzo ci sarà a Lecce anche una nuova panchina rossa, installata a Palazzo dei Celestini su iniziativa della Commissione Pari Opportunità della Provincia. Una mobilitazione importante quella della città che ha coinvolto anche la U.S. Lecce, che ha voluto essere presente all’evento di Codere inviando un videomessaggio di Federico Baschirotto. Il capitano dei giallorossi salentini ha ribadito l’importanza del contrasto a qualsiasi forma di violenza sulle donne e della promozione della cultura del rispetto e della consapevolezza: temi anche della campagna “Un Rosso alla Violenza” della Lega Serie A che servono a tenere sempre alta l’attenzione.
“Quando 'Innamòrati di Te' ha mosso i suoi primi passi non mi aspettavo che sarebbe diventato un laboratorio così importante, un momento di confronto trasversale e costruttivo. In dieci anni abbiamo attraversato l’Italia più volte e abbiamo avuto l’opportunità di conoscere persone fantastiche che si impegnano per il bene comune, in particolare quello delle donne. Confesso di essere davvero emozionata nel vedere anche Lecce tra le Città delle Donne e ringrazio Adriana Poli Bortone per aver immediatamente colto lo spunto che, in qualità di Ambassador de Gli Stati Generali delle Donne, ho offerto - commenta Imma Romano Direttrice Relazioni Istituzionali di Codere Italia - . Anche questa volta siamo riuscite a trattare il tema della violenza di genere con chi questo tema lo conosce e lo combatte quotidianamente, provando a dare informazioni ed indicazioni molto concrete sugli strumenti esistenti e sulle opportunità che il mondo istituzionale e quello del terziario sociale mettono a disposizione. L’impegno di Codere resta un impegno concreto sia in termini di divulgazione che di supporto. Con gioia sosteniamo l’Associazione Donne Insieme che opera proprio su questo territorio”. Dopo Lecce, il progetto itinerante 'Innamòrati di Te' farà tappa il 24 giugno a Rivoli, alle porte di Torino, per un altro appuntamento gratuito e aperto al pubblico.
(Adnkronos) - Il Comune di Milano, alla luce delle indagini che recentemente hanno riguardato l’urbanistica, ricorda di aver già messo in atto diverse misure. Ad esempio con apposita delibera di Giunta, datata febbraio 2024, lo Sportello unico per l'edilizia (Sue) si è adeguato alle interpretazioni del gip in tema di pianificazione attuativa e ristrutturazione edilizia e lo scorso settembre è stato modificato il regolamento della Commissione per il paesaggio, "rafforzando ulteriormente il principio di trasparenza che lo guida e prevedendo che almeno 8 componenti su 15, compreso il presidente, per l’intera durata dell’incarico non svolgano attività di libera professione nel territorio comunale".
Lo scorso novembre sono state introdotte regole "molto restrittive" sui contatti tra funzionari dello Sportello unico per l'edilizia e gli utenti privati. E' invece datato primo marzo 2025 l’avvicendamento di alcuni dirigenti, mentre nel maggio 2023 il Consiglio comunale ha approvato la delibera di Giunta relativa all’aggiornamento degli oneri di urbanizzazione e a novembre 2024 sono stati aggiornati anche i criteri di monetizzazione dello standard.
Roma, 5 mar. (Adnkronos) - Il 63% degli intervistati ritiene che il modello di gestione del calcio italiano sia in crisi, con una percezione più diffusa tra gli uomini (75%) e i tifosi (69%). E' quanto si evince dall'indagine condotta da 'Noto Sondaggi' su 'Gli italiani e il Calcio', un resoconto sul rapporto tra gli italiani e il mondo del calcio e la percezione del suo stato di salute, esplorando l'interesse per lo sport, il rapporto con il calcio, la percezione della salute del calcio, il ripensamento del modello di business e il sostegno pubblico al settore.
La maggioranza assoluta degli intervistati (67%) è tifoso di una squadra di calcio in particolare, con percentuali che superano il 90% tra chi lo pratica come sport e sfiorano l’80% tra gli uomini. È interessante rilevare come perfino una parte, seppur minoritaria, di chi non pratica né segue il calcio dichiari di avere una squadra del cuore. Chi ha seguito il calcio nell’ultimo anno lo ha fatto soprattutto in Tv (62% spesso, 28% qualche volta), mentre solo un appassionato su cinque si è recato allo stadio (34%, di cui 7% spesso). In entrambi i casi, la frequenza con cui si segue il calcio tende ad aumentare tra gli under 55, chi lo pratica come sport e chi è tifoso di una squadra. Coerentemente con la scelta di seguire il calcio in Tv piuttosto che allo stadio, la modalità più frequente per seguire la squadra del cuore è l’abbonamento alla PayTv (40%, con punte del 60% tra chi pratica il calcio), mentre l’11% segue la squadra in trasferta, il 10% ha un abbonamento allo stadio e l’8% dichiara di far parte di una tifoseria.
Una quota prevalente di intervistati (63% del totale) ritiene che il modello di gestione del calcio italiano sia crisi. Una percezione trasversale, ma più diffusa tra gli uomini (75%), i residenti nel Centro Italia (67%) e soprattutto tifosi e appassionati di calcio, ancor più se lo pratica (83%). Il compenso eccessivo di calciatori ed allenatori rappresenta il principale problema del calcio italiano odierno (indicato dal 64% del campione), ma all’interno di uno scenario ben più complesso fatto di tante criticità, tra cui spiccano l’indebitamento troppo elevato delle società (43%) e la scarsa valorizzazione dei settori giovanili (39%). Il 69% ritiene, inoltre, che la gestione economica delle società calcistiche italiane non sia trasparente. Crisi e problematiche spingono la maggioranza degli intervistati a giudicare il modello di gestione del calcio italiano per lo più equiparabile se non inferiore a quello di altri paesi europei (rispettivamente 38% e 32% del campione). Solo una parte minoritaria (appena il 12%) ritiene, inoltre, che il calcio italiano sia in una condizione finanziariamente più solida, mentre sull’effettiva capacità delle società sportive italiane di ripensare il proprio modello di business, adattandolo alle nuove regole Uefa, le opinioni sono discordanti.
La visione degli intervistati sul nuovo modello di business a cui le società calcistiche dovrebbero ispirarsi è ricca di sfumature. Coloro che ritengono che la solidità economica sia la cosa più importante per garantire la competitività sportiva di una squadra prevalgono, ma incalzati da chi ritiene non sia così (rispettivamente 43% e 32% del campione). La maggioranza assoluta ritiene che nel calcio chi ha più soldi abbia più probabilità di vincere (54%), ma non sono pochi coloro che, al contrario, ritengono che il talento vada formato e che, quindi, si dovrebbe investire nella formazione dei talenti anche se questo non garantisce sempre la vittoria (22%). Indipendentemente dai principi ispiratori, il nuovo modello di business delle società calcistiche dovrebbe prioritariamente puntare ad affrontare le tante problematiche del settore,a partire da quelle di natura finanziaria: costo di ingaggi, cartellini e commissioni fuori controllo o con regolamentazione inadeguata (indicato dal 46% del campione), indebitamento eccessivo (38%), investimenti insufficienti dei club nei settori giovanili (31%).
Tre intervistati su quattro (70% del totale, con scostamenti per lo più contenuti in relazione al profilo socio-demografico) sono contrari all’idea che il calcio professionistico in Italia sia finanziato e riceva sostegno pubblico, in quanto le società di calcio di primo livello debbano essere trattate allo stesso modo delle altre imprese. Solo il 18% si dichiara, viceversa, favorevole ad un’ipotesi di un intervento pubblico straordinario, sottolineando le ricadute positive che il calcio ha sulla collettività, mentre il restante 12% non esprime un’opinione in merito.
Le opinioni espresse sul ruolo dello Stato nella gestione finanziaria di impianti e strutture sportive sono più eterogenee. La maggioranza, in particolare giovani e appassionati di calcio, ritiene che lo Stato debba assumersi almeno in parte questa responsabilità. Tuttavia, il consenso varia a seconda dell’ambito di intervento: il 55% degli intervistati ritiene che lo Stato debba farsi in parte o totalmente carico dell’ammodernamento e della manutenzione degli impianti, mentre la stessa percentuale sale 64% con riferimento alla sicurezza dentro e fuori gli stadi.
Roma, 5 mar. (Adnkronos) - Il 63% degli intervistati ritiene che il modello di gestione del calcio italiano sia in crisi, con una percezione più diffusa tra gli uomini (75%) e i tifosi (69%). E' quanto si evince dall'indagine condotta da 'Noto Sondaggi' su 'Gli italiani e il Calcio', un resoconto sul rapporto tra gli italiani e il mondo del calcio e la percezione del suo stato di salute, esplorando l'interesse per lo sport, il rapporto con il calcio, la percezione della salute del calcio, il ripensamento del modello di business e il sostegno pubblico al settore.
La maggioranza assoluta degli intervistati (67%) è tifoso di una squadra di calcio in particolare, con percentuali che superano il 90% tra chi lo pratica come sport e sfiorano l’80% tra gli uomini. È interessante rilevare come perfino una parte, seppur minoritaria, di chi non pratica né segue il calcio dichiari di avere una squadra del cuore. Chi ha seguito il calcio nell’ultimo anno lo ha fatto soprattutto in Tv (62% spesso, 28% qualche volta), mentre solo un appassionato su cinque si è recato allo stadio (34%, di cui 7% spesso). In entrambi i casi, la frequenza con cui si segue il calcio tende ad aumentare tra gli under 55, chi lo pratica come sport e chi è tifoso di una squadra. Coerentemente con la scelta di seguire il calcio in Tv piuttosto che allo stadio, la modalità più frequente per seguire la squadra del cuore è l’abbonamento alla PayTv (40%, con punte del 60% tra chi pratica il calcio), mentre l’11% segue la squadra in trasferta, il 10% ha un abbonamento allo stadio e l’8% dichiara di far parte di una tifoseria.
Una quota prevalente di intervistati (63% del totale) ritiene che il modello di gestione del calcio italiano sia crisi. Una percezione trasversale, ma più diffusa tra gli uomini (75%), i residenti nel Centro Italia (67%) e soprattutto tifosi e appassionati di calcio, ancor più se lo pratica (83%). Il compenso eccessivo di calciatori ed allenatori rappresenta il principale problema del calcio italiano odierno (indicato dal 64% del campione), ma all’interno di uno scenario ben più complesso fatto di tante criticità, tra cui spiccano l’indebitamento troppo elevato delle società (43%) e la scarsa valorizzazione dei settori giovanili (39%). Il 69% ritiene, inoltre, che la gestione economica delle società calcistiche italiane non sia trasparente. Crisi e problematiche spingono la maggioranza degli intervistati a giudicare il modello di gestione del calcio italiano per lo più equiparabile se non inferiore a quello di altri paesi europei (rispettivamente 38% e 32% del campione). Solo una parte minoritaria (appena il 12%) ritiene, inoltre, che il calcio italiano sia in una condizione finanziariamente più solida, mentre sull’effettiva capacità delle società sportive italiane di ripensare il proprio modello di business, adattandolo alle nuove regole Uefa, le opinioni sono discordanti.
La visione degli intervistati sul nuovo modello di business a cui le società calcistiche dovrebbero ispirarsi è ricca di sfumature. Coloro che ritengono che la solidità economica sia la cosa più importante per garantire la competitività sportiva di una squadra prevalgono, ma incalzati da chi ritiene non sia così (rispettivamente 43% e 32% del campione). La maggioranza assoluta ritiene che nel calcio chi ha più soldi abbia più probabilità di vincere (54%), ma non sono pochi coloro che, al contrario, ritengono che il talento vada formato e che, quindi, si dovrebbe investire nella formazione dei talenti anche se questo non garantisce sempre la vittoria (22%). Indipendentemente dai principi ispiratori, il nuovo modello di business delle società calcistiche dovrebbe prioritariamente puntare ad affrontare le tante problematiche del settore,a partire da quelle di natura finanziaria: costo di ingaggi, cartellini e commissioni fuori controllo o con regolamentazione inadeguata (indicato dal 46% del campione), indebitamento eccessivo (38%), investimenti insufficienti dei club nei settori giovanili (31%).
Tre intervistati su quattro (70% del totale, con scostamenti per lo più contenuti in relazione al profilo socio-demografico) sono contrari all’idea che il calcio professionistico in Italia sia finanziato e riceva sostegno pubblico, in quanto le società di calcio di primo livello debbano essere trattate allo stesso modo delle altre imprese. Solo il 18% si dichiara, viceversa, favorevole ad un’ipotesi di un intervento pubblico straordinario, sottolineando le ricadute positive che il calcio ha sulla collettività, mentre il restante 12% non esprime un’opinione in merito.
Le opinioni espresse sul ruolo dello Stato nella gestione finanziaria di impianti e strutture sportive sono più eterogenee. La maggioranza, in particolare giovani e appassionati di calcio, ritiene che lo Stato debba assumersi almeno in parte questa responsabilità. Tuttavia, il consenso varia a seconda dell’ambito di intervento: il 55% degli intervistati ritiene che lo Stato debba farsi in parte o totalmente carico dell’ammodernamento e della manutenzione degli impianti, mentre la stessa percentuale sale 64% con riferimento alla sicurezza dentro e fuori gli stadi.
Roma, 5 mar. (Adnkronos) - Il Consiglio di Presidenza dell’Associazione Nazionale di Settore, che si è riunito oggi, ha approvato all’unanimità l’ammissione a Socio del Gruppo Azimut | Benetti. "Sono stato eletto nel 2019 con il mandato di unificare sotto una forte rappresentanza associativa tutta la filiera del settore" ha sottolineato il presidente di Confindustria Nautica Saverio Cecchi. "Sono orgoglioso, all’approssimarsi del termine del mio mandato, del raggiungimento completo di tale obiettivo con il ritorno in Associazione del Gruppo Azimut | Benetti. e sottolineo con soddisfazione l’adozione all’unanimità della delibera di ammissione da parte degli Organi statutari", ha aggiunto.
"Crediamo fermamente che un'industria nautica più unita sia un'industria più forte, capace di affrontare le sfide globali con maggiore coesione e visione strategica. Lavorare insieme significa non solo consolidare il ruolo dell'Italia come leader mondiale nella nautica, ma anche promuovere innovazione, sostenibilità e crescita per l’intera filiera. La scelta di aderire a Confindustria Nautica è espressione di questo impegno" ha commentato Marco Valle, Amministratore Delegato del Gruppo Azimut | Benetti.
Roma, 5 mar. (Adnkronos) - "Dalla lettura dell’Industrial Action Plan della Commissione Ue per l’automotive emergono ancora di più la necessità e l’urgenza di un nuovo percorso verso la mobilità decarbonizzata che integri il principio della neutralità tecnologica". Ad affermarlo in una nota è Matteo Cimenti presidente di Assogasliquidi-Federchimica in rappresentanza delle filiere dei gas liquefatti (Gpl e Gnl).
"Sono ormai a tutti evidenti – prosegue Cimenti – le difficoltà nel raggiungere gli obiettivi del 2035 e successivi. In questo contesto, la Commissione si è impegnata ad accelerare la revisione del regolamento CO₂ per le auto, che partirà da un’analisi dei dati, di tutti gli sviluppi tecnologici rilevanti e dell’importanza di una transizione economicamente sostenibile e socialmente equa. Ci aspettiamo quindi che le Istituzioni comunitarie (a cominciare dal Parlamento europeo) rivedano il bando relativo ai motori a combustione interna e riconoscano tutte le tecnologie capaci di contribuire alla decarbonizzazione del trasporto, inclusi i biocarburanti. I prodotti gassosi anche nella loro versione bio e rinnovabile si distinguono come soluzioni concrete e immediate per ridurre le emissioni di CO₂".
Incomprensibile la chiusura sul fronte del trasporto pesante, dove il Gnl e il bioGnl rappresentano già oggi la soluzione più pronta e disponibile. Nel Piano non è prevista alcuna apertura per giungere alla revisione del Regolamento sulle emissioni di CO₂ dei veicoli pesanti: "La nostra richiesta e il nostro auspicio – conclude Cimenti – è che nella fase attuativa del Piano appena presentato, le Istituzioni europee lavorino anche su questo fronte nella direzione auspicata, l'unica in grado di coniugare sviluppo industriale competitivo, raggiungimento degli obiettivi ambientali e attenzione ai consumatori".