I festeggiamenti ufficiali a reti unificate per aver evitato il bail in delle due banche venete sono già iniziati: tutti a tirare un sospiro di sollievo perché gli obbligazionisti senior sono salvi grazie ai miliardi dell’intervento pubblico. Cioè, in pratica, si festeggia perché a pagare siamo tutti noi: “Mal comune mezzo gaudio”, dice il proverbio. Tra un calice di prosecco e un ballo scatenato sarebbe però anche il caso di guardare ciò che si è fatto e chiedersi quali conseguenze avrà e quali prezzi dovremo pagare in futuro. Perché una cosa è certa: nulla è gratis.
Dopo aver sostenuto per mesi che le due banche venete erano meritevoli di una “ricapitalizzazione precauzionale” – cioè di una misura in deroga alla normativa sulle risoluzioni che presuppone appunto che gli istituti che ne beneficiano siano fondamentalmente “sani” -, il governo ha svoltato di 180 gradi dicendo l’opposto, e cioè che Popolare Vicenza e Veneto Banca sono sostanzialmente fallite e vanno poste in liquidazione. Qualunque cosa pur di evitare il bail-in. Ovviamente la ragione non è di carattere economico-finanziario (i due istituti non contano più nulla, i rischi di contagio sistemico sono stati sterilizzati grazie all’intervento del Fondo Atlante lo scorso anno), ma esclusivamente politica: la maggioranza di governo non può permettersi di finire nel tritacarne di un’altra crisi bancaria, ritrovandosi con migliaia di risparmiatori inferociti sotto Palazzo Chigi.
Dunque, in spregio alla verità e alle regole e guardando unicamente al proprio tornaconto politico, in questi mesi si è detto e fatto di tutto pur di aggirare la normativa europea e, alla fine, sembra che i nostri eroi ce l’abbiano fatta: le due banche passeranno a Intesa Sanpaolo per un euro, il buco lo salderanno i contribuenti e il governo potrà vantarsi di “aver evitato il peggio”. In realtà, come più volte scritto, il conto è salatissimo e la scelta finale di porre in liquidazione i due istituti fa strame anche di mesi e mesi di chiacchiere sul loro progetto di fusione: dal “riscatto” dei due istituti alla perdita della licenza bancaria.
Ci vorranno tanti miliardi ancora per chiudere questa vicenda e per sistemare gli esuberi (si parla di un minimo di 4mila persone che resteranno a casa). Sono questi gli esiti immediati e pratici della scellerata gestione della crisi bancaria veneta da parte del governo e della volontà di evitare a tutti i costi il bail-in manco fosse la peste. Ma che sarebbe finita male già si sapeva. Quello che sorprende è che nell’incredibile gioco di specchi messo in piedi dall’Italia pur di aggirare la normativa europea sulle risoluzioni bancarie si sia lasciata coinvolgere anche la Bce. Quando a inizio anno gli istituti veneti hanno fatto domanda di “ricapitalizzazione preventiva”, Francoforte ha esaminato la pratica e, per parte sua, ha giudicato “solvibili” le due banche, permettendo così all’iter di andare avanti. Il giudizio non è cambiato nel corso dei mesi di trattativa con l’Europa per cercare di realizzare il salvataggio. Quando è stato chiaro che però la ricapitalizzazione preventiva non sarebbe mai andata in porto, anche perché non si trovava nessun privato disposto a coprire gli 1,2 miliardi richiesti da Bruxelles per dare il via libera all’operazione, il governo è entrato in fibrillazione e ha deciso di cambiare rotta optando per la liquidazione. A strettissimo giro Francoforte ha emesso il suo verdetto stabilendo che le due banche venete, giudicate “solvibili” fino a poche ore prima, sono in realtà “fallite o sull’orlo del fallimento”, verdetto che apre la strada alla liquidazione con le regole italiane richiesta dal governo Gentiloni.
Questa modalità non giova alla credibilità e all’autorevolezza di un’istituzione – la Banca centrale europea – che dovrebbe essere “terza” per definizione. L’impressione è che Francoforte si sia conformata ai voleri di uno Stato membro e – in un periodo di polemiche così accese sull’Europa e intorno all’Europa e sulla politica monetaria seguita da Mario Draghi – una cosa in fondo così “piccola”, come le due banche venete, rischia di trasformarsi in un grave incidente di percorso e in un grosso favore alla Germania, da sempre desiderosa di “normalizzare” Francoforte. E rischia di avere ripercussioni gravi pure sull’unione bancaria. Un rischio calcolato? Non certo da Roma, che deve iniziare anche a chiedersi quale prezzo dovrà poi pagare per il via libera Ue all’operazione, ammesso e (ancora) non concesso che arrivi, perché c’è da dubitare che Bruxelles salvi la faccia “gratis” a Gentiloni e Padoan.