“La promessa che i futuri contribuenti non pagheranno più per le banche malate è caduta per sempre”. All’indomani del decreto che salva le due banche venete, è durissimo il commento dell’eurodeputato tedesco Markus Ferber, esperto finanziario della Csu (Christlich-Soziale Union) e vicepresidente della commissione affari economici del Parlamento europeo. Dal suo punto di vista, la decisione di Bruxelles di avallare il salvataggio-liquidazione di Veneto Banca e della Banca Popolare di Vicenza è “deludente” perché “porta l’Unione bancaria sul letto di morte”. Il suo non è un timore isolato nel Vecchio Continente. Così non sorprende che, mentre in Borsa Intesa guadagnava terreno chiudendo a +4,2%, il ministro della finanze tedesco Wolfgang Schaeuble si sia sentito in dovere di chiarire che “per quanto possibile l’uso di fondi pubblici dovrebbe essere evitato nelle procedure di fallimento”. Tuttavia, pur senza commentare il caso specifico, Schaeuble ha ritenuto opportuno ribadire attraverso il suo portavoce la posizione tedesca secondo cui è “meglio far uscire dal mercato le banche non redditizie piuttosto che tenerle in vita attraverso una ricapitalizzazione precauzionale”.
Quasi un messaggio per chi pensa che il caso delle due banche venete possa costituire un precedente per gli istituti di credito in difficoltà. Ma soprattutto una precisazione quasi dovuta visto che intanto, a Madrid, El Pais si interrogava sul senso di un’operazione, avallata da Bruxelles, che prevede un consistente esborso di denaro pubblico e che va nella direzione “diametralmente opposta” a quanto consentito alla Spagna per il Banco Popular. “Intesa Sanpaolo assorbirà entrambe le entità – sottolinea un articolo pubblicato sul sito del quotidiano spagnolo – però il costo dell’operazione – 5 miliardi iniziali con un margine fino a 17 – ricadrà sui contribuenti. Un intervento opposto a quello utilizzato nel caso del Banco Popular in Spagna” che è stato acquistato per un euro dal Santander, pronto ad effettuare una ricapitalizzazione da 7 miliardi. Per il quotidiano spagnolo appare evidente che “gli unici ad essere pregiudicati saranno i contribuenti italiani. Perché Intesa si consolerà con gli asset sani delle banche fallite” secondo un disegno “difeso dal premier Paolo Gentiloni”.
Per gli spagnoli insomma convince poco la posizione della Commissione europea per la quale l’operazione delle due banche venete non è affatto un “salvataggio”, ma “un aiuto di Stato che serve ad attenuare gli effetti dell’uscita di mercato di una banca”. Certo, come evidenzia il New York Times, fa riflettere la tempestività con cui la “scricchiolante macchina dell’Unione europea” possa talvolta muoversi “rapidamente” per evitare il peggioramento della “fiducia nel fragile sistema bancario del Paese”. Il tutto per “due banche che rappresentano appena il 2 per cento dei depositi degli italiani”, ma avrebbero potuto “minare la fiducia in altre banche”. Senza contare, come spiega il giornale statunitense, che “in Italia c’è la paura che imporre sacrifici alla classe media dei correntisti e piccoli investitori – al pari di quelli che hanno acquistato i senior bond di Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca – possa spingere le persone che hanno subito delle perdite nelle braccia dei partiti estremisti di sinistra o di destra” provocando “instabilità politica”.
A dispetto delle motivazioni, per il Wall Street Journal, il salvataggio delle due banche italiane è un “passo indietro” per la finanza europea: “Le autorità sulla concorrenza, che decidono sugli aiuti di stato, sembrano aver concesso un tacito accordo alle vecchie modalità di fare business – ha scritto il quotidiano americano – La loro decisione su queste piccole banche rappresenta un precedente che preoccupa”. Per il giornale americano sono le domande da porsi per comprendere a pieno il caso italiano: innanzitutto “perché le due banche non sono state trattate con il nuovo regime di risoluzione e – poi – perché Intesa Sanpaolo si è aggiudicata un accordo così buono sugli asset delle due banche”, prosegue. La risposta alla prima domanda è “pragmatica e gli investitori possono imparare da questa. La risposta alla seconda è più preoccupante e sembra un passo indietro per la finanza europea”, conclude il giornale ricordando che, secondo gli analisti, l’operazione non costerà neanche un euro ad Intesa. Anzi: la banca guidata da Carlo Messina potrà beneficiare di un aumento degli utili del 5-7% entro il 2020. Considerazioni che avranno tenuto ampiamente banco anche a Bruxelles prima di dare l’ok al salvataggio.