Chi avrebbe mai pensato che il problema della crescita economica del Mezzogiorno si poteva risolvere azzerando (sulla carta) i rifiuti pericolosi? Lo ha fatto questo governo che, zitto zitto, approfittando della emanazione del decreto legge 20 giugno 2017, n. 91, intitolato a “Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno“, ci ha infilato un art. 9 che, in sostanza, compie il miracolo di “purificare“, con un semplice tratto di penna, tanti rifiuti industriali finora considerati pericolosi.
Vediamo di riassumere la questione, anche se è un po’ tecnica. La normativa europea prevede che, quando non si sa se un rifiuto è pericoloso occorre accertare se esso possiede caratteristiche di pericolo. E, naturalmente, in prima battuta questo accertamento spetta al produttore, dato che conosce la composizione del rifiuto. Proprio per eliminare equivoci e scappatoie, quindi, il legislatore italiano, nel 2014, aveva stabilito la procedura di accertamento che il produttore del rifiuto doveva seguire, a partire dalla sua composizione, concludendo che, per il principio di precauzione, in caso di dubbio, il rifiuto doveva essere considerato pericoloso.
Il che, ovviamente, ha portato a diverse condanne per produttori troppo “disinvolti”, confermate peraltro dalla Cassazione.
Negli ultimi tempi, però, la questione era stata riproposta con forza in concomitanza con alcuni delicatissimi processi collegati al “gruppo Cerroni” e con l’appoggio dell’Ordine dei chimici del Lazio, del Ministero dell’ambiente e della regione Lazio. In sostanza – si diceva – è impossibile ricercare le migliaia di sostanze che possono rendere pericoloso un rifiuto e, pertanto, il produttore deve limitarsi a quelle che appaiono “probabili“; per cui, in caso di dubbio, il rifiuto deve essere considerato non pericoloso. Insomma, l’opposto di quello che diceva la legge; la quale, per inciso, non richiedeva affatto migliaia di analisi ma solo che, per classificare un rifiuto, si procedesse alla sua caratterizzazione, cioè ad individuare le sostanze in esso contenute e a verificare se tra queste vi siano o meno sostanze pericolose.
E così, oggi, per il bene del Mezzogiorno, il governo ha abrogato la legge “garantista” del 2014, dicendo che si applicano solo le disposizioni comunitarie. Provocando, peraltro, notevole confusione, perché, a questo punto, in mancanza di una procedura certa, ciascun produttore può fare quello che vuole per accertare la pericolosità di un rifiuto.
Tanto è vero che la Commissione europea si appresta a varare un codice di accertamento che – guarda caso – ricalca esattamente quello che disponeva la legge italiana oggi abrogata, già, peraltro, reso operativo in altri paesi civili come la Gran Bretagna; concludendo che in caso di dubbio, specie sulla composizione, il rifiuto si considera pericoloso.
Ed alla stessa conclusione è giunto, pochi giorni fa e proprio a proposito di un parere richiesto dalla regione Lazio per rifiuti del gruppo Cerroni, il massimo organo scientifico italiano in tema di ambiente. Il 5 giugno, infatti, 15 giorni prima del decreto legge governativo, l’Ispra ha sentenziato che “il produttore deve quindi selezionare i parametri da analizzare, partendo dalla conoscenza del processo che ha generato il rifiuto….. i referti analitici devono necessariamente essere accompagnati da una relazione tecnica esaustiva che consenta di conoscere le caratteristiche del rifiuti in ingresso all’impianto, le fasi di processo, i flussi e le caratteristiche dei rifiuti e/o materiali prodotti. Detta relazione risulta indispensabile per escludere eventuali elementi di pericolosità del rifiuto qualora lo stesso sia identificato da una voce a specchio dell’elenco europeo dei rifiuti. Pertanto, classificare il rifiuto utilizzando solo i risultati di referti analitici riferiti chiaramente ad un numero parziale di parametri non costituisce un approccio metodologico corretto…”.
Ciò che più stupisce, a questo punto, è l’assordante silenzio che grava su questa vicenda. Tanto più che la norma in questione è anche totalmente incostituzionale. Più volte la Corte costituzionale ha, infatti, dichiarato l’incostituzionalità della collocazione, in un provvedimento legislativo avente un preciso oggetto, di una disposizione che con quell’oggetto non ha niente a che fare.
E sfido chiunque a sostenere che questa modifica sui rifiuti pericolosi abbia minimamente a che vedere con “la crescita economica del Mezzogiorno”. A meno che non si ritenga che questa crescita debba essere favorita classificando come non pericolosi rifiuti pericolosi. Il che certamente aumenta di molto i profitti delle imprese (non solo del Mezzogiorno) ma attenta pesantemente alla salute dei cittadini.