Passo formale dell’Italia con la Commissione Europea sui migranti. Il governo ha dato mandato al rappresentante presso l’Unione Europea, l’ambasciatore Maurizio Massari, di porre formalmente al commissario per le migrazioni Dimitris Avramopoulos il tema degli arrivi dal Nord Africa: nelle ultime 48 ore – si apprende da fonti diplomatiche Ue – nei porti italiani si stanno facendo sbarcare 12 mila migranti, da 22 navi. Il senso del messaggio consegnato dall’Italia alla Commissione è semplice e ricalca quanto detto già ieri dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella: la situazione è ai limiti della capacità di gestione, con un impatto sulla vita socio-politica del Paese, l’Europa non può voltarsi dall’altra parte. È insostenibile, si motiva il passo italiano, che tutte le navi che fanno operazioni di salvataggio approdino in Italia.
Oggi il capo dello Stato è tornato sull’argomento: “Se il fenomeno dei flussi continuasse con questi numeri, la situazione diventerebbe ingestibile anche per un Paese grande e aperto come il nostro”, ha detto Mattarella parlando con il primo ministro canadese Justin Trudeau oggi ad Ottawa. Il capo dello Stato spiega che si tratta di “un fenomeno epocale che non si può cancellare alzando muri, ma occorre governarlo con serietà”. Il fenomeno migratorio, ha detto ancora il presidente della Repubblica,”va governato assicurando contemporaneamente la sicurezza dei cittadini”. “Non per soffiare sul fuoco – fa eco il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni – semmai per chiedere all’Europa, ad alcuni Paesi europei che la smettano di girare la faccia dall’altra parte perché questo non è più sostenibile”.
Nel caso l’Unione resti sorda al primo avviso di carattere formale, il governo sta valutando la possibilità di negare l’approdo nei porti italiani alle navi che effettuano salvataggi dei migranti davanti alla Libia, ma battono bandiera diversa da quella del nostro Paese. Nello specifico, le navi cariche di migranti che si trovano in queste ore ancora in mare, verranno fatte attraccare. Ma già dai prossimi giorni potrebbe scattare il blocco. Quando? La dead line non è ancora stata stabilita ma, ribadiscono fonti di governo, se dall’Europa non arriveranno risposte concrete entro breve termine, verrà dato ordine alla Centrale operativa della Guardia Costiera – cui spetta il coordinamento dei salvataggi in mare – di non far avvicinare le navi ai porti.
Il blocco inizialmente varrà solo per le navi delle Ong ma che non è escluso, proprio per ribadire la via di non ritorno intrapresa dall’Italia, che possa riguardare in futuro anche le imbarcazioni che operano sotto Frontex, l’Agenzia cui spetta il controllo delle frontiere esterne dell’Ue, e nella missione Eunavformed, l’operazione che ha il compito di contrastare nel canale di Sicilia i trafficanti di esseri umani. La legge e i trattati internazionali prevedono che ogni salvataggio in mare si concluda con l’approdo in un “porto sicuro”. E dunque, viene fatto notare dai tecnici, un qualsiasi scalo a Malta o in Tunisia, ad esempio, ben più vicini dell’Italia.
L’Unione Europea prende tempo e non risponde nel merito. La prima replica di Bruxelles arriva da Natasha Bertaud, portavoce della Commissione “Al di là delle operazioni Ue, che non sono in discussione, la questione degli sbarchi è regolata dalla legge internazionale. La Commissione Ue tuttavia ritiene opportuno che qualsiasi cambiamento nelle politiche sia prima discusso e comunicato nel modo giusto, così da dare alle Ong l’opportunità di prepararsi”. Bruxelles, inoltre, “aiuterà ad informare la discussione ed è pronta a dare indicazioni per gli sbarchi”.
In seconda battuta prende la parola Avramopoulos: “La Commissione Ue ha sempre sostenuto l’Italia nella sua gestione esemplare della crisi dei profughi e continuerà a farlo. Siamo pronti ad accrescere in modo sostanziale il supporto finanziario all’Italia se necessario”, afferma il commissario. Che rivolge quindi un invito ai membri dell’Unione: “Tutti gli Stati dell’Ue ora devono rafforzare, come si sono impegnati a fare, l’importante lavoro con gli attori in Libia e con i Paesi di origine e transito in Africa, per ridurre i flussi – prosegue Avramopoulos – abbiamo bisogno del forte investimento degli Stati, per primo sul livello diplomatico, nello sviluppare partnership, e secondo, sul livello finanziario, nel contribuire al Fondo per l’Africa. Ora è il momento di farlo”.
Né Bertaud né Avramopoulos fanno, tuttavia, il minimo cenno al problema della redistribuzione dei migranti tra i Paesi Ue e all’intesa raggiunta il 26 giugno 2015 – e mai rispettata – sul ricollocamento di 40mila richiedenti asilo da Italia e Grecia. La tematica aveva raggiunto i piani alti dei palazzi di Bruxelles dopo il naufragio avvenuto la notte tra il 17 e il 18 aprile, quando un peschereccio con a bordo 900 migranti si inabissò a 60 miglia a nord delle coste libiche. A livello comunitario non è mai stato raggiunto, invece, un accordo sulle quote proposte dalla Commissione, soprattutto per l’opposizione dei Paesi dell’est, quelli del gruppo di Visegrad: Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia.
Una richiesta, quella avanzata da Roma, che sancisce il fallimento dell’accordo stipulato con il governo di unità internazionale libico presieduto da Fayez Al Sarraj e patrocinato dalla comunità internazionale. Un memorandum dai contenuti generici – basato “sulla protezione dei confini sud” del Paese da dove passano migliaia di migranti, sull'”adeguamento e il finanziamento dei centri di accoglienza usufruendo di finanziamenti disponibili da parte italiana e di finanziamenti dell’Ue” e sul “sostegno alla Guardia costiera libica” – approvato il 3 febbraio in un coro di osanna nel vertice informale Ue di Malta, che accoglieva la proposta della Commissione di “mobilitare 200 milioni di euro aggiuntivi” del Trust Fund per l’Africa lanciato nell’autunno 2015 destinati a rafforzare le forze di polizia libiche.