In questo inizio d’estate una cosa è certa: le città d’arte italiane, e anche europee, soffrono. Le foto dei turisti che si bagnano nelle fontane romane hanno fatto il giro del mondo: i “nuovi barbari”, intitolava il quotidiano israeliano Haaretz. E anche Venezia, la città probabilmente più unica e fragile dell’Occidente, viene assediata da un turismo di massa che porta soprattutto degrado – e non tanti soldi come qualcuno vorrebbe far credere. I politici, in questo caso Virginia Raggi e Luigi Brugnaro, sono due esempi della mancata preparazione ad amministrare città d’arte da parte di chi decide di intraprendere una carriera politica.

Venezia, Pisa, Napoli, Palermo sono, nella maggior parte dei casi, patrimonio dell’Umanità e non mi riferisco tanto a un’etichetta formale, a uno statuto dato da un’organizzazione mondiale, ma a una realtà tangibile e visibile che tutti i visitatori, istruiti o meno, sentono.

Venezia non è di Brugnaro. Una vittoria politica è un fenomeno passeggero, di breve durata, mentre il danno che fa l’entrata in laguna delle grandi navi (una visione inquietante, poiché sono alte quasi quanto il campanile di San Marco) è permanente, colpisce le rive, erode le fondamenta dei palazzi, dei monumenti che sono la ragione per cui il mondo viene a vedere Venezia.

Negli ultimi due anni, da quando si è insediato il sindaco attuale, 1.600 persone hanno lasciato la città, proprio quel Brugnaro che aveva promesso di riportarne 30mila: una fake promessa, la chiamerebbe Donald Trump nei suoi tweet notturni.

Sei anni fa ho lasciato Tel Aviv per vivere a Venezia. Già dai primi giorni mi aveva colpito vedere, nella vetrina di una farmacia a pochi metri dal monumento di Goldoni in campo San Bartolomeo, le cifre che indicavano il numero degli abitanti di Venezia. Mi pare fossero 60mila. Oggi quella vetrina segnala che ce ne sono meno di 55mila. Ma duemila dei suoi cittadini, domenica 2 luglio hanno deciso di ribellarsi ad una visione della città che di fatto li vuole allontanare.

Una cinquantina di associazioni: Fai, Italia Nostra e Confartigianato, coordinate da Venezia mio futuro, è partita dall’Arsenale (sì, quell’Arsenale da cui uscivano le galee e galeazze della Serenissima) per arrivare non lontano dal Palazzo Ducale. Duemila cittadini che hanno gridato “non vogliamo andare via”, “basta alberghi a Venezia”, “più residenti meno turisti”. Si è trattato di una manifestazione pacifica con un chiaro messaggio all’autorità politica: fermatevi! guardate bene ciò che amministrate: non è un casinò, né un cantiere edile o una squadra di pallacanestro!

Le decisioni per la sorte di Venezia devono essere prese a livello nazionale. La confusione politica può far pensare che la legge elettorale sia più importante del Palazzo Ducale o delle Gallerie dell’Accademia, o di un prezzo ragionevole per affittare o comprare casa. Non è così: i problemi di Venezia sono prioritari per chi ha scelto di far crescere i suoi figli, di lavorare, di fare cultura a Venezia, città maltrattata e da oggi non più “a sua insaputa”.

Qualche esempio

L’amministrazione non può dire che l’actv è in perdita o che il casino è in perdita: tutto ciò che viene amministrato dal Comune. Costruire mega alberghi in terraferma per riversare i loro ospiti per una visita mordi e fuggi, far che riverseranno migliaia di persone. Centri commerciali e alberghi sono inconcepibili in una città d’arte e Venezia. Che il politico di turno voglia o meno, è la città d’arte per eccellenza: biennale di arte, danza, architettura; mostra del cinema; mostre di tutti i tipi durante l’anno. Senza dimenticare che nelle città come Roma o Venezia, nel cuore del centro storico abitano i cittadini, quelli che rendono i muri, i palazzi, gli imbarcaderi una cosa viva. La linfa di Venezia, di Roma o Siena non possono essere i turisti e chi vuole fare profitto veloce a spese di un passato glorioso è un semplice approfittatore. Con il buon governo non ha a che fare.

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