Da Tallinn niente di nuovo. Al vertice dei ministri degli Interni europei i cosiddetti “partner” dell’Italia hanno confermato che non intendono in alcun modo farsi carico dei migranti che arrivano sulle coste della Penisola. Al massimo sono disposti a stanziare un po’ di soldi per convincere Libia e Tunisia a creare zone di ricerca e soccorso in mare nelle loro acque. “Non sosteniamo la cosiddetta regionalizzazione delle operazioni di salvataggio“, ha chiuso il ministro dell’Interno tedesco Thomas de Maiziere. Di lì in poi è stato un coro: da Madrid ad Amsterdam tutti d’accordo. Aprire altri porti, oltre a quelli italiani, “non sarebbe la soluzione”, è la linea comune. Come dire: serve ben altro. Che cosa, si vedrà. Questa “non era la sede giusta” per discutere dell’apertura di nuovi scali, ha abbozzato il ministro dell’Interno Marco Minniti. “Sapete che abbiamo mandato una lettera alla sede formale che ne deve discutere, che è Frontex. In quella sede discuteremo la prossima settimana. Discuteremo, legittimamente e anche con la necessaria fermezza“.

Gli altri obiettivi di Roma erano arrivare all’approvazione di un codice di condotta delle organizzazioni non governative che fanno attività di salvataggio in mare (nei primi sei mesi del 2017 il 35% dei migranti sbarcati in Italia è stato soccorso dalle loro navi), aumentare i rimpatri con una stretta sui visti e promuovere in Libia per prevenire le partenze. Su questi temi, secondo il titolare del Viminale, “la riunione è andata secondo le aspettative” e “c’è stata una posizione quasi unanime”, perché “c’era un’agenda che era già stata disegnata dall’incontro di Parigi di domenica scorsa e dalla Commissione europea”. In particolare “i Paesi che non accetteranno i rimpatri avranno restrizioni sui visti da parte dei singoli Paesi europei” e “l’Italia ha il mandato di predisporre il codice di condotta per l’attività delle ong nel Mediterraneo centrale in rapporto con la Commissione europea, sentendo le ong, e nei tempi più rapidi possibili”.

Spagna: “Nostri porti già sotto pressione” – Lo spagnolo Juan Ignacio Zoido ha sostenuto che “i porti della Spagna sono sottoposti a una pressione importante nel Mediterraneo occidentale, aumentata del 140%, che impone anche a noi un grosso sforzo per i salvataggi in mare”. Tradotto: di più non possiamo fare. Anche se “l’Italia ha chiesto aiuto, e noi vogliamo dargliene”, ovviamente. “Assoluta solidarietà” di facciata pure dal ministro per l’Asilo e la politica migratoria del Belgio Theo Francken, secondo cui però “la soluzione non è accogliere tutti i migranti in Europa. Non credo in questo senso che il Belgio aprirà i suoi porti” ai migranti salvati nel Mediterraneo. “E’ difficile pensare che se c’è una nave con a bordo dei migranti che soffrono gli si dica di andare mille miglia più avanti”, ha chiosato dal canto suo il ministro degli Esteri del Lussemburgo Jean Asselborn. Aprire più porti” europei ai migranti soccorsi “non risolverà il problema. Bisogna pensare al ruolo che i porti africani potrebbero avere”, porti come quelli “di Tunisia ed Egitto ad esempio”, è la versione del ministro per la Sicurezza e Giustizia olandese Stef Blok.

Estonia: “Solidarietà deve venire da dentro, non si può forzare nessuno” – “La Francia è profondamente preoccupata per la situazione nel Mediterraneo centrale”, ha detto invece il ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian dopo il suo incontro alla Farnesina con Angelino Alfano prima della conferenza dei paesi di transito. “Il vertice dei ministri degli Interni che si svolge oggi a Tallinn dovrebbe consentire di mettere le basi per una risposta europea al fenomeno” migratorio, ha aggiunto il ministro francese sottolineando che “è priorità europea e non solo della Francia o dell’Italia collaborare su un paese chiave come la Libia che deve uscire dalla crisi”. Il ministro degli Esteri estone, Sven Mikser, ha commentato che “la solidarietà deve venire da dentro” e “non è possibile forzare nessuno”. Il ruolo “della nostra Presidenza è quello di facilitare il dialogo tra le diverse posizioni europee”.

Minniti vuole ridiscutere le regole di Triton. Bonino: “Nessun segreto sugli sbarchi” – Il Viminale nei giorni scorsi aveva chiesto un incontro urgente ai vertici dell’operazione di controllo delle frontiere Triton dell’agenzia europea Frontex per rivedere il piano operativo della missione nel Mediterraneo, che ora vede l’Italia nelle vesti di Paese ospitante e gli altri come partecipanti. Vale a dire che “il coordinamento di tutti gli sbarchi è deciso dal centro di Roma e che devono avvenire in Italia”, come ricordato dall’ex ministro degli esteri Emma Bonino, che dopo le polemiche delle scorse ore ha chiarito a Radio Radicale: “Non è un segreto di Stato” e “non c’è alcun accordo indicibile”, semplicemente “quando ci si occupa di un tema è bene non farlo in modo approssimativo“. “Riccardo Magi di Radicali Italiani e la Comunità di Sant’Egidio hanno fatto un’altra proposta – ha proseguito Bonino – e cioè l’applicazione della direttiva 55 del 2001, usata anche ai tempi del grande esodo dalla Tunisia, che prevede i permessi umanitari temporanei di 6 mesi, rinnovabili ad un anno e che danno a queste persone la possibilità che un paese dia dei permessi umanitari temporanei che quindi l’accolgano sul territorio italiano e che sono validi in tutti Europa”. Secondo il commissario Ue per le migrazioni Dimitris Avramopoulos però “il mandato della missione Triton è ben definito e molto ben chiaro” e “si tratta di migliorare l’attuazione di quanto già concordato. Fanno già un lavoro molto buono”.

Il nodo dei fondi per Libia e Tunisia – Altro nodo da sciogliere sarà quello dei contributi degli Stati membri al Fondo per l’Africa. Le risorse dovrebbero servire a mettere in piedi costruire “soluzioni” sulla sponda sud del Mediterraneo. Ma degli 1,8 miliardi di euro chiesti dalla Commissione europea sono arrivati solo 89 milioni, principalmente da Italia e Germania. La Francia ne ha versati solo tre. Gli Stati poi si stanno accapigliando da mesi sui fondi per la diaria della guardia costiera impegnata nella formazione in Libia: una battaglia per 163mila euro. Servirebbero poi ulteriori stanziamenti per convincere la Tunisia a dichiarare a sua volta un’area di salvataggio. “Invece di agire per salvare vite e fornire protezione, i ministri degli Esteri europei stanno vergognosamente dando priorità a irresponsabili accordi con la Libia nel disperato tentativo d’impedire a migranti e rifugiati di raggiungere l’Italia”, ha dichiarato John Dalhuisen, direttore di Amnesty International per l’Europa, presentando proprio giovedì il rapporto ‘Una tempesta perfetta. Il fallimento delle politiche europee nel Mediterraneo centrale’. “Gli stati europei hanno progressivamente abdicato a una strategia di ricerca e soccorso in mare che stava riducendo il numero di morti in mare per una che invece ha causato migliaia di annegamenti e che ha costretto uomini, donne e bambini disperati a restare intrappolati in Libia, esposti a terribili violenze“.

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