La direzione del Pd per la prima volta dopo tre anni e mezzo è a telecamere spente. “Dobbiamo dirci delle cose” dice Debora Serracchiani prima di entrare. Fare la riunione a porte chiuse è una “grande vittoria”, come la definisce Matteo Orfini appena parte la riunione, dalla quale naturalmente le informazioni circolano eccome. E il risultato è che la direzione ripropone, tali e quali, le posizioni di queste settimane. Da una parte Matteo Renzi che riduce il dibattito del post-elezioni amministrative a un pié di pagina, ripete che il dibattito interno “interessa a tre o a trecento” e si raccomanda: sulla scuola il governo ha investito 4,7 miliardi, “se parliamo di alleanze i cittadini non se ne accorgono”. Dall’altra c’è Dario Franceschini, finora leale con il segretario a tal punto da sostenere – nei congressi, a Palazzo Chigi e in Parlamento – tutte le decisioni dentro il partito e dentro i governi di sua emanazione. E, da prima frattura nell’idillio paradisiaco dell’immaginario renziano, ripete quello che ha detto nei giorni scorsi ai giornali: “Io sono tra i 350 residuati bellici che pensano che ci sia anche il tema delle alleanze. Quindi parlerò di quella parte che non c’era nella relazione del segretario”. E quindi: “Bene i contenuti, la forza del leader, l’organizzazione del partito, il web: ma servono anche gli altri”.
La conclusione della discussione, tuttavia, è quella del gioco dell’oca perché tutti restano dov’erano partiti. “Non passerò i prossimi mesi a parlare di coalizioni” dice il leader. Franceschini insieme al resto dei suoi uomini vota la relazione del segretario. La linea di Renzi passa all’unanimità perché le correnti che si riferiscono ad Andrea Orlando e Michele Emiliano non partecipano al voto. “Basta caricature – ha detto il ministro della Giustizia a Renzi – Pisapia non è Ferrero”. “Se tu lo vuoi aiutare – ha replicato Renzi – io voglio aiutare il Pd”. Come al solito quando deve togliere dalla sua strada qualcuno, Renzi esprime “rispetto per chi la pensa diversamente”, ma precisa che non passerà i prossimi mesi a parlare di coalizioni. Non entra nemmeno nel merito: “Avere una coalizione imposta oggi è un grande regalo al centrodestra” si limita a dire. E quasi canzona Franceschini: “Dario ha detto cose che io condivido tutte, tutti i premier del Pd e del centrosinistra hanno governato con maggioranze spurie. Ci aggiungerei non ci sono più le mezze stagioni…”. Si deve discutere nei partiti? Sì, ironizza Renzi, ma Repubblica è una sede di partito? “Credo – spera – che gli argomenti che affronteremo nei prossimi mesi saranno diversi dal 50 per cento della discussione fatta qua dentro. Il veto sul fiscal compact è più importante dell’analisi sulle amministrative“.
Renzi: “Base Pd non è l’accordo tra correnti, ma gli elettori”
Renzi aveva solo sfiorato la sconfitta per certi versi irripetibile che il Pd ha registrato alle Comunali del mese scorso. Ha riservato solo un pensiero a Genova, dove – ha detto Renzi – il Pd ha perso con una coalizione “larga, ampia”, mentre si è vinto a Padova dove si era perso nel 2014 quando ci fu, invece, il successo alle Europee. Ma il segretario dice di guardare oltre. Il nuovo slogan è: “Utilizziamo il Pd come una finestra, non come uno specchio per riflettere noi stessi”. La base costitutiva del Pd – attacca – non è l’accordo di qualche capocorrente, ma il voto dei cittadini alle primarie. Sia chiaro, io rispondo a loro, non ai capicorrente”. Anzi: “Non sono interessato né alla mia né alla vostra carriera – ha aggiunto Renzi – ma a portare il Pd in alto. Lo dico senza polemica e con tutto il rispetto: non mi interessa cosa farete voi nella prossima legislatura”. Piuttosto visto che “la prossima campagna elettorale durerà 10 mesi” (tradotto: si vota a maggio), bisogna girare l’Italia: “Il nostro lavoro è bellissimo, ci consente di spalancare il Pd e nei territori siamo gli unici a portare risultati“. E a rivendicare i risultati del governo. Nel frattempo promette che sullo Ius soli bisogna andare avanti, ma in Senato la legge continua a slittare nel calendario: passa davanti di tutto, prima il Codice Antimafia, ora il decreto vaccini.
Franceschini: “Serve il leader, ma servono anche gli altri”
Ma l’analisi sembra limitata, non solo alla sinistra Pd di Andrea Orlando. E’ proprio Franceschini a farlo notare: “Chi ha detto che abbiamo perso le amministrative perché non c’erano le coalizioni? Non io. Il problema è opposto, che non abbiamo vinto neanche avendo le coalizioni. A Padova – dice il ministro riprendendo l’esempio fatto dall’ex premier – abbiamo vinto ma il Pd ha preso il 13 per cento: siamo un po’ lontani dal poter vincere da soli. Servono le proposte, serve la forza del leader, serve l’azione di governo, serve l’organizzazione, ma servono gli altri, servono le alleanze”. Franceschini sposa la linea di Renzi quasi su tutto, sulla rivendicazione dei risultati, sulla necessità di parlare al Paese: se ci sarà da votare la relazione, io voterò a favore, chiarisce Franceschini. Ma com’è noto, per i democristiani è sempre l’anticamera dell’affondo: “Io il 95 per cento del mio tempo lo dedico ai contenuti con la mia attività del ministero – spiega – ma ogni tanto…”. Ogni tanto, precisa il ministro, bisogna parlare anche del resto, per esempio le alleanze. Spiega: “Giriamo pure il Paese ma non si può evitare di occuparci di legge elettorale e di alleanze”. E le reazioni stizzite di Renzi e soprattutto dei renziani – soprattutto Lorenzo Guerini e Luca Lotti che nei giorni scorsi avevano replicato al ministro – sono immotivate. “Non mettiamo in discussione il segretario appena eletto dalle primarie: me lo ricordo che hai preso due milioni di voti (in realtà ne ha presi 1,2 milioni, ndr) ed è giusto che tu risponda a loro. Ma con rispetto per una comunità formata da uomini e donne che ti hanno votato ma non rinunciano per quattro anni a esprimere un pensiero e una parola”. Perché, precisa Franceschini, “un segretario ascolta la comunità, la tiene insieme con pazienza, senza vedere dietro il pensiero di chi la pensa diversamente un tradimento o un complotto“.
Franceschini precisa che non vuole l’Unione (“Me la ricordo bene”) ma “il tema alleanze nelle sedi di partito dobbiamo porcelo: è difficile che uno schieramento da solo abbia la maggioranza e ancora più difficile che un partito da solo possa avere il 51% dei seggi sia alla Camera che al Senato”. E, dice, “dobbiamo partire dal campo del centrosinistra, socialisti in Europa, progressisti nel mondo. E in più il campo, che è un po’ diverso, che ha sostenuto Letta, Renzi e Gentiloni in questi anni”. Il campo “un po’ diverso” sarebbero i centristi, alfaniani compresi. “La Dc non solo quando aveva la maggioranza assoluta ha scelto di governare con i partiti minori, ma in tutte le elezioni, con un proporzionale puro, non è che bastonava i repubblicani o i liberali: cercava di aiutarli a entrare in Parlamento perché sapeva che dopo gli sarebbero serviti per formare un governo”.
Orlando: “Pisapia non è Ferrero”
Andrea Orlando, come prevedibile, va un po’ oltre, anche in termini di chiarezza. Fa il pontiere, come aveva giurato, con Insieme, il soggetto variopinto delle forze a sinistra del Pd. “Dobbiamo lavorare con Pisapia e chi in quel campo non ha un pregiudizio contro il Pd”. Niente caricature, chiede il ministro della Giustizia: “Nessuno vuole rifare l’Unione. Non sono nostalgico dell’Unione ma Pisapia non è Ferrero. Se siamo in grado di costruire una coalizione è perché nel frattempo c’è stato il Pd. Al tempo dell’Unione il Pd non c’era”. “Siamo sicuri che ce la faremo a prescindente dal modello elettorale?” si chiede Orlando, mentre il centrodestra continua a crescere e mentre si è promesso la Terza Repubblica e si va verso un ritorno alla Prima?. “Noi vogliamo continuare a discutere o ogni volta che qualcuno solleva una questione lo si deve additare come quello che vuole far perdere”. Il guardasigilli non rinuncia a commentare di nuovo la sconfitta delle Comunali: non è un tema locale, dice, per vari motivi. “Rispetto all’ultima analoga tornata c’è stata una crescita fortissima dell’’astensionismo – dice Orlando – Abbiamo subito sconfitte più forti e cocenti nelle aree più forti di insediamento tradizionale della sinistra. Credo che la conflittualità nel centrosinistra non dia vantaggi agli scissionisti ma distacchi pezzi di elettorato”.
La direzione a porte chiuse (e Orfini esulta)
Tutto il dibattito si è svolto a porte chiuse e senza streaming. Una modalità, ha annunciato Orfini, che continuerà anche per le prossime riunioni. Orfini ha anche chiesto ai dirigenti presenti (di solito sono un po’ più di cento) di non fare tweet e post su facebook in diretta. Ovviamente le informazioni sono circolate lo stesso, come si vede. “Eccoci Orfini ha appena chiesto di non fare tweet e post su direzione Pd, quindi dovete aspettare il comunicato ufficiale #auguri” scrive su Twitter Cecilia Carmassi, lucchese, in direzione in quota Michele Emiliano. Poi però si ribella all’indicazione e inizia a twittare: “Invito a non usare i social ma allora perché sono in sala famosi responsabili dei social di vari esponenti renziani?”. E ancora, mentre parla il segretario: “Siamo al #benaltrismo …. altro che questionucole locali e nazionali”. Orfini aveva annunciato lo stop allo streaming come una sua “grande vittoria”.
Invito a non usare i social ma allora perché sono in sala famosi responsabili dei social di vari esponenti renziani? #direzionePd
— Cecilia Carmassi (@ceciliacarmassi) 6 luglio 2017