“I video non ci interessano, toglieteli pure, facciamo 20 processi all’anno su omicidi anche gravi, con bambini morti bruciati, e nessuno ci ha mai proposto video. Noi non ci lasciamo suggestionare, non ci servono, avete già fatto 258 pagine di motivi di appello più 110 di motivi aggiunti dove avete già scritto tutto e criticato in maniera estesa”. Con queste parole il presidente della Corte d’Assise d’appello di Brescia, Enrico Fischetti, ha detto no nel processo di secondo grado sull’omicidio di Yara Gambirasio alla richiesta dei difensori di Massimo Bossetti che, a inizio udienza, hanno anticipato di voler accompagnare le loro arringhe con alcune slide e con video “anche per catturare l’attenzione”.
I giudici si sono detti disponibili ad accettare le slide, “purché depurate, vi prego, da ciò che non è contenuto negli atti e nei documenti del processo e nei motivi d’appello”. I difensori, Claudio Salvagni e Paolo Camporini, avrebbero voluto far vedere quei video che, hanno riassunto, perché avrebbero mostrato “esempi di ciò che è successo, ma non ne anticipiamo i contenuti”. Il sostituto pg, Marco Martani, ha chiesto di poter esaminare prima delle arringhe le slide, mentre i legali di parte civile hanno fatto presente che “ci opporremo se verrà mostrato qualsiasi atto non contenuto nel processo“.
La parte civile: “Bossetti deviato sessuale”
Yara Gambirasio “era la bambina più solare del mondo e poteva suscitare solamente sentimenti di tenerezza, ma questo in una persona normale, a nessuno in quest’aula, tranne che ad uno, potevano venire in mente vedendola pensieri sessuali” ha spiegato Andrea Pezzotta, uno dei legali dei genitori della tredicenne, nel chiedere che i giudici d’appello di Brescia confermino la condanna all’ergastolo per l’imputato “il cui comportamento di natura sadica altro non è che riconducibile ad una devianza di natura sessuale”. Il legale di parte civile ha spiegato che “il dato più brutto in questa vicenda sono le sevizie inferte alla vittima, il dispiego di violenza gratuita che va oltre l’intenzione di uccidere”. Yara, “un povero fagottino nero sotto la pioggia – ha aggiunto – era la preda perfetta per chi ha pulsioni insane”.
La difesa: “Nel dubbio Bossetti va assolto”
“Cercheremo di convincervi che i dati presenti nel fascicolo non consentono di condannare Massimo Bossetti e voi dovrete essere sicuri oltre ogni ragionevole dubbio che quest’uomo è colpevole, se i dubbi permarranno voi dovrete assolverlo” ha detto l’avvocato Salvagni, che si è rivolto in particolare ai giudici popolari della corte d’Assise d’appello di Brescia. Il legale, che ha anche il caso di O.J. Simpson come esempio di stato di diritto, nei primi passaggi ha spiegato che in questa indagine dalla Procura di Bergamo, ma anche dal sostituto procuratore generale in appello e dalla parte civile, “sono arrivate cose incredibili, false e suggestive“, e mentre l’accusa in sostanza si è basata solo su questo e “sulle emozioni”, l’approccio della difesa “è scientifico, asettico”.
Secondo il legale, inoltre, attorno al caso di Bossetti si è creato “un cliché”, “la gente è stata presa in giro e obnubilata da immagini distorte, questo è il muro che noi vogliamo superare, la montagna ripidissima che volgiamo scalare, tornando a parlare solo di diritto”. In questa prima parte l’avvocato Salvagni ha anche ricordato le parole di un giudice della giuria che assolse negli Usa O.J. Simpson, il quale ha detto in sostanza di essere “convinto che fosse stato lui, ma non c’erano le prove“. E ancora Salvagni: “Noi siamo sereni che non è Bossetti l’imputato colpevole, ma voi non dovrete giudicare con la pancia se no non arriveremo mai a una sentenza giusta”.
Il difensore inoltre ha spiegato che nell’arringa presenterà ai giudici le “261 criticità” sulla prova del Dna e sempre su questo punto ha chiarito che anche dalla Procura generale “è arrivato un silenzio assordante sulla nostra richiesta di perizia, un modo per cercare la verità, perché noi vogliamo la verità e il colpevole, non un colpevole qualunque, per l’omicidio della povera Yara”. Il legale, infine, ha accusato la Procura di Bergamo di avere tenuto nel cassetto la foto satellitare del campo di Chignolo d’Isola (Bergamo) dalla quale, secondo la difesa, emergerebbe che il corpo della ragazzina non restò 3 mesi là, una tesi “coerente con l’ipotesi che la traccia di Dna è stata deposta successivamente sul corpo”.