Adesso ci sperano anche gli altri. Sì, perché la sentenza della corte di Cassazione su Bruno Contrada apre una crepa enorme nelle condanne definitive emesse per concorso esterno a Cosa nostra. O almeno la apre per quelle che si riferiscono a fatti commessi prima del 1994. La decisione della Suprema Corte, in pratica, recepisce quanto deciso due anni fa dalla Corte Europea dei diritti umani sul caso dell’ex dirigente dei Servizi Segreti. È la prima volta nella storia – ragionano gli esperti di diritto – che una sentenza europea incide direttamente su una condanna italiana passata in giudicato, dichiarandola nulla.
L’esultanza di Dell’Utri – E mentre magistrati e giuristi attendono di leggere le motivazioni della Cassazione, il primo ad esultare è l’avvocato di Marcello Dell’Utri, l’ex senatore di Forza Italia condannato a sette anni di carcere per la stessa fattispecie di reato contestata a Contrada. “Quella emessa dalla Cassazione nei confronti di Bruno Contrada è una sentenza di grande importanza che potrebbe segnare un precedente per molti altri casi. Noi, come legali di Marcello Dell’Utri, valuteremo ora i passi da fare”, dice l’avvocato Giuseppe Di Peri. Consapevole che il suo assistito è stato condannato per fatti commessi fino al 1992, infatti, il legale palermitano aveva già provato a giocarsi la carta europea due anni fa.
Il reato inventato da Falcone – Era l’aprile del 2015 quando la Corte Europea dei diritti umani aveva stabilito che l’ex superpoliziotto non andava condannato per concorso esterno perché all’epoca dei fatti contestati (che vanno dal 1979 al 1988) il reato “non era sufficientemente chiaro“. Lo sarebbe diventato solo nel 1994 con la sentenza Demitry, che tipizzava per la prima volta quella inedita fattispecie nata dall’unione dell’articolo 110 (concorso) e 416 bis (associazione mafiosa) del codice penale. A “inventarsi” quel reato al tempo del pool antimafia di Palermo era stato Giovanni Falcone: occorreva un modo, infatti, per perseguire i colletti bianchi che contribuiscono continuativamente alla crescita dell’associazione mafiosa senza mai farne parte a livello organico.
Il dispositivo della Corte – E ora sono proprio quei colletti bianchi a festeggiare la decisione della corte di Cassazione, che ha annullato la condanna per Contrada. Quelle cinque righe del dispositivo emesso dalla prima sezione della Corte di Cassazione nella tarda serata del 6 luglio 2017, infatti, rischiano di spazzare via un quarto di secolo di condanne per concorso esterno. “La corte suddetta annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e dichiara ineseguibile e improduttiva di effetti penali la condanna emessa nei confronti di Contrada Bruno”, scrivono i giudici polverizzando i dieci anni di carcere inflitti all’ex dirigente di polizia nel 2007, alla fine di un tortuoso iter giudiziario. Contrada, dopo una lunga custodia cautelare in carcere, tornò in cella e scontò tutta la pena fino al 2012. A livello pratico, dunque, gli effetti della pronuncia si ripercuoteranno solo sull’aspetto pensionistico, dato che il superpoliziotto era stato sospeso dalla pensione dopo la condanna.
“Incensurato”. “Fatti restano” – “I fatti rimangono fatti, i rapporti di grave collusione con la mafia rimangono accertati nella loro esistenza e gravità. Già questo rende merito al lavoro della procura di Palermo e dei giudici che li hanno accertati”, commenta l’ex pm di Palermo Nino Di Matteo, ora alla Dna. “Di fatto con questa sentenza il mio cliente è incensurato perché tutti gli effetti penali della condanna sono stati revocati”, precisa l’avvocato Stefano Giordano. Per la verità, infatti, né la Cassazione – e nemmeno la Cedu – mettono in discussione i fatti commessi: quelli sono da considerarsi certi sia per Contrada che per gli altri. La sentenza di Strasburgo, infatti, motivava la sua decisione dell’aprile del 2015 con il principio giuridico contenuto nell’articolo 7 della Convenzione europea dei diritti umani. “Nulla poena sine lege”: nessuna pena senza una legge che la preveda.
L’errore dei giuristi italiani alla Cedu – Un principio che i giudici di Strasburgo hanno potuto estendere al caso Contrada solo grazie a un errore dei rappresentati dello Stato Italiano, i giuristi Ersilia Spatafora e Paola Accardo. Tra le loro osservazioni, infatti, i due rappresentanti del nostro ministero degli Esteri non hanno obiettato nulla sulla premessa dei giudici di Strasburgo, che definiva il concorso esterno come “creazione della giurisprudenza“. E invece il reato di concorso esterno ha “un’origine normativa“, perché scaturisce dalla combinazione tra la norma incriminatrice (l’articolo 416 bis) e l’articolo 110 che prevede il concorso nei i vari reati. Senza quella contestazione di merito, quindi, la Cedu ha potuto facilmente condannare l’Italia per il caso Contrada ravvisando la violazione dell’articolo 7 della Convenzione Europea. Un vero e proprio “autogol” dei giuristi italiani, come lo ha definito Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera il 12 agosto del 2015.
La pezza della Cassazione – Alla sentenza Cedu, infatti, la Cassazione aveva già provato a mettere una pezza proprio in quei giorni. Alcuni condannati per concorso esterno al processo Infinito avevano fatto ricorso alla Suprema corte invocando proprio la decisione di Strasburgo su Contrada. La loro istanza era stata respinta, però, dalla II sezione penale della Cassazione che aveva confutato i colleghi europei. “La stessa Corte Costituzionale – scriveva la corte presieduta da Antonio Esposito – ha ribadito che il concorso esterno non è, come postulato dalla Corte Europea dei diritti umani nella citata sentenza Contrada, un reato di creazione giurisprudenziale, ma scaturisce dalla combinazione tra l’articolo 416-bis e il 110″. Parole che in pratica cancellavano quanto stabilito dalla Cedu su Contrada.
Esultano i colletti bianchi – Ma che adesso vengono neutralizzate da un’altra sezione della Suprema corte, la prima, che ha appunto annullato la condanna per l’ex numero 3 del Sisde lanciando un‘ancora di salvezza a chi ha il medesimo curriculum giudiziario di Contrada. Come Dell’Utri, appunto, o come Ignazio D’Antone, l’ex questore condannato in via definitiva per concorso esterno nel 2004: i fatti contestati al poliziotto sono stati commessi a partire dal 1983, undici anni prima che il reato venisse tipizzato. D’Antone ha scontato tutti gli otto anni di pena ed è stato scarcerato dal 2012. Liberi sono anche gli ex Dc Franz Gorgone ed Enzo Inzerillo, gli unici politici insieme a Dell’Utri ad essere stati riconosciuti colpevoli in via definitiva per concorso esterno. Il primo, ex consigliere regionale siciliano, è stato condannato a sette anni di carcere nel 2004: era accusato di aver avuto contatti con vari mandamenti mafiosi palermitani ai quali garantiva favori in cambio di appoggio elettorale. Il secondo, ex senatore, nel 2011 ha visto diventare definitiva la condanna a 5 anni e 4 mesi con l’accusa di essere stato a disposizione di Giuseppe Graviano.
Se parla Graviano – Lo stesso boss di Brancaccio citato più volte nel processo Dell’Utri , che proprio di recente è stato intercettato in carcere mentre parlava a ruota libera, tirando in ballo Silvio Berlusconi come presunto mandante delle stragi del 1992e 1993. “Berlusca – dice il boss intercettato in alcuni colloqui – mi ha chiesto questa cortesia. Per questo è stata l’urgenza. Lui voleva scendere, però in quel periodo c’erano i vecchi e lui mi ha detto ci vorrebbe una bella cosa. Nel ’93 ci sono state altre stragi ma no che era la mafia, loro dicono che era la mafia”. “Incontrai Giuseppe Graviano all’interno del bar Doney in via Veneto, a Roma. Graviano era molto felice, come se avesse vinto al Superenalotto, una Lotteria. Poi mi fece il nome di Berlusconi. Aggiunse che in mezzo c’era anche il nostro compaesano Dell’Utri e che grazie a loro c’eravamo messi il Paese nelle mani. E per Paese intendo l’Italia”, ha raccontato, invece, il pentito Gaspare Spatuzza riferendosi a un incontro del 21 gennaio 1994. Pochissimi giorni prima che i Graviano venissero arrestati. E che Silvio Berlusconi vincesse le elezioni.
Twitter: @pipitone87
Mafie
Mafia, dopo la sentenza Contrada esultano i colletti bianchi di Cosa nostra. Legale Dell’Utri: “Precedente importante”
La decisione della prima sezione della Suprema corte rischia di spazzare via un quarto di secolo di condanne per concorso esterno. Chiunque sia stato ritenuto colpevole per fatti precedenti al 1994 può sperare di vedere annullata la sua condanna. A partire dall'ex senatore di Forza Italia. È la prima volta nella storia che una sentenza europea incide direttamente su una sentenza italiana passata in giudicato
Adesso ci sperano anche gli altri. Sì, perché la sentenza della corte di Cassazione su Bruno Contrada apre una crepa enorme nelle condanne definitive emesse per concorso esterno a Cosa nostra. O almeno la apre per quelle che si riferiscono a fatti commessi prima del 1994. La decisione della Suprema Corte, in pratica, recepisce quanto deciso due anni fa dalla Corte Europea dei diritti umani sul caso dell’ex dirigente dei Servizi Segreti. È la prima volta nella storia – ragionano gli esperti di diritto – che una sentenza europea incide direttamente su una condanna italiana passata in giudicato, dichiarandola nulla.
L’esultanza di Dell’Utri – E mentre magistrati e giuristi attendono di leggere le motivazioni della Cassazione, il primo ad esultare è l’avvocato di Marcello Dell’Utri, l’ex senatore di Forza Italia condannato a sette anni di carcere per la stessa fattispecie di reato contestata a Contrada. “Quella emessa dalla Cassazione nei confronti di Bruno Contrada è una sentenza di grande importanza che potrebbe segnare un precedente per molti altri casi. Noi, come legali di Marcello Dell’Utri, valuteremo ora i passi da fare”, dice l’avvocato Giuseppe Di Peri. Consapevole che il suo assistito è stato condannato per fatti commessi fino al 1992, infatti, il legale palermitano aveva già provato a giocarsi la carta europea due anni fa.
Il reato inventato da Falcone – Era l’aprile del 2015 quando la Corte Europea dei diritti umani aveva stabilito che l’ex superpoliziotto non andava condannato per concorso esterno perché all’epoca dei fatti contestati (che vanno dal 1979 al 1988) il reato “non era sufficientemente chiaro“. Lo sarebbe diventato solo nel 1994 con la sentenza Demitry, che tipizzava per la prima volta quella inedita fattispecie nata dall’unione dell’articolo 110 (concorso) e 416 bis (associazione mafiosa) del codice penale. A “inventarsi” quel reato al tempo del pool antimafia di Palermo era stato Giovanni Falcone: occorreva un modo, infatti, per perseguire i colletti bianchi che contribuiscono continuativamente alla crescita dell’associazione mafiosa senza mai farne parte a livello organico.
Il dispositivo della Corte – E ora sono proprio quei colletti bianchi a festeggiare la decisione della corte di Cassazione, che ha annullato la condanna per Contrada. Quelle cinque righe del dispositivo emesso dalla prima sezione della Corte di Cassazione nella tarda serata del 6 luglio 2017, infatti, rischiano di spazzare via un quarto di secolo di condanne per concorso esterno. “La corte suddetta annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e dichiara ineseguibile e improduttiva di effetti penali la condanna emessa nei confronti di Contrada Bruno”, scrivono i giudici polverizzando i dieci anni di carcere inflitti all’ex dirigente di polizia nel 2007, alla fine di un tortuoso iter giudiziario. Contrada, dopo una lunga custodia cautelare in carcere, tornò in cella e scontò tutta la pena fino al 2012. A livello pratico, dunque, gli effetti della pronuncia si ripercuoteranno solo sull’aspetto pensionistico, dato che il superpoliziotto era stato sospeso dalla pensione dopo la condanna.
“Incensurato”. “Fatti restano” – “I fatti rimangono fatti, i rapporti di grave collusione con la mafia rimangono accertati nella loro esistenza e gravità. Già questo rende merito al lavoro della procura di Palermo e dei giudici che li hanno accertati”, commenta l’ex pm di Palermo Nino Di Matteo, ora alla Dna. “Di fatto con questa sentenza il mio cliente è incensurato perché tutti gli effetti penali della condanna sono stati revocati”, precisa l’avvocato Stefano Giordano. Per la verità, infatti, né la Cassazione – e nemmeno la Cedu – mettono in discussione i fatti commessi: quelli sono da considerarsi certi sia per Contrada che per gli altri. La sentenza di Strasburgo, infatti, motivava la sua decisione dell’aprile del 2015 con il principio giuridico contenuto nell’articolo 7 della Convenzione europea dei diritti umani. “Nulla poena sine lege”: nessuna pena senza una legge che la preveda.
L’errore dei giuristi italiani alla Cedu – Un principio che i giudici di Strasburgo hanno potuto estendere al caso Contrada solo grazie a un errore dei rappresentati dello Stato Italiano, i giuristi Ersilia Spatafora e Paola Accardo. Tra le loro osservazioni, infatti, i due rappresentanti del nostro ministero degli Esteri non hanno obiettato nulla sulla premessa dei giudici di Strasburgo, che definiva il concorso esterno come “creazione della giurisprudenza“. E invece il reato di concorso esterno ha “un’origine normativa“, perché scaturisce dalla combinazione tra la norma incriminatrice (l’articolo 416 bis) e l’articolo 110 che prevede il concorso nei i vari reati. Senza quella contestazione di merito, quindi, la Cedu ha potuto facilmente condannare l’Italia per il caso Contrada ravvisando la violazione dell’articolo 7 della Convenzione Europea. Un vero e proprio “autogol” dei giuristi italiani, come lo ha definito Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera il 12 agosto del 2015.
La pezza della Cassazione – Alla sentenza Cedu, infatti, la Cassazione aveva già provato a mettere una pezza proprio in quei giorni. Alcuni condannati per concorso esterno al processo Infinito avevano fatto ricorso alla Suprema corte invocando proprio la decisione di Strasburgo su Contrada. La loro istanza era stata respinta, però, dalla II sezione penale della Cassazione che aveva confutato i colleghi europei. “La stessa Corte Costituzionale – scriveva la corte presieduta da Antonio Esposito – ha ribadito che il concorso esterno non è, come postulato dalla Corte Europea dei diritti umani nella citata sentenza Contrada, un reato di creazione giurisprudenziale, ma scaturisce dalla combinazione tra l’articolo 416-bis e il 110″. Parole che in pratica cancellavano quanto stabilito dalla Cedu su Contrada.
Esultano i colletti bianchi – Ma che adesso vengono neutralizzate da un’altra sezione della Suprema corte, la prima, che ha appunto annullato la condanna per l’ex numero 3 del Sisde lanciando un‘ancora di salvezza a chi ha il medesimo curriculum giudiziario di Contrada. Come Dell’Utri, appunto, o come Ignazio D’Antone, l’ex questore condannato in via definitiva per concorso esterno nel 2004: i fatti contestati al poliziotto sono stati commessi a partire dal 1983, undici anni prima che il reato venisse tipizzato. D’Antone ha scontato tutti gli otto anni di pena ed è stato scarcerato dal 2012. Liberi sono anche gli ex Dc Franz Gorgone ed Enzo Inzerillo, gli unici politici insieme a Dell’Utri ad essere stati riconosciuti colpevoli in via definitiva per concorso esterno. Il primo, ex consigliere regionale siciliano, è stato condannato a sette anni di carcere nel 2004: era accusato di aver avuto contatti con vari mandamenti mafiosi palermitani ai quali garantiva favori in cambio di appoggio elettorale. Il secondo, ex senatore, nel 2011 ha visto diventare definitiva la condanna a 5 anni e 4 mesi con l’accusa di essere stato a disposizione di Giuseppe Graviano.
Se parla Graviano – Lo stesso boss di Brancaccio citato più volte nel processo Dell’Utri , che proprio di recente è stato intercettato in carcere mentre parlava a ruota libera, tirando in ballo Silvio Berlusconi come presunto mandante delle stragi del 1992e 1993. “Berlusca – dice il boss intercettato in alcuni colloqui – mi ha chiesto questa cortesia. Per questo è stata l’urgenza. Lui voleva scendere, però in quel periodo c’erano i vecchi e lui mi ha detto ci vorrebbe una bella cosa. Nel ’93 ci sono state altre stragi ma no che era la mafia, loro dicono che era la mafia”. “Incontrai Giuseppe Graviano all’interno del bar Doney in via Veneto, a Roma. Graviano era molto felice, come se avesse vinto al Superenalotto, una Lotteria. Poi mi fece il nome di Berlusconi. Aggiunse che in mezzo c’era anche il nostro compaesano Dell’Utri e che grazie a loro c’eravamo messi il Paese nelle mani. E per Paese intendo l’Italia”, ha raccontato, invece, il pentito Gaspare Spatuzza riferendosi a un incontro del 21 gennaio 1994. Pochissimi giorni prima che i Graviano venissero arrestati. E che Silvio Berlusconi vincesse le elezioni.
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(Adnkronos) - Le violenze e le discriminazioni violano la dignità personale, creano un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante, offensivo e generano malessere nelle persone che le subiscono. “In questi casi, la prima cosa da fare è segnalare e denunciare alla Consigliera di Parità per ricevere supporto e assistenza. È fondamentale non rimanere in silenzio. Ogni voce conta e può portare ad un cambiamento - sottolinea Antonella Pappadà, consigliera di Parità effettiva della Provincia di Lecce - . Questo incontro offre un’occasione per riflettere e ricordare a noi stesse quanto sia importante valorizzare il nostro talento e le nostre competenze e imparare a non farci sopraffare sia nelle relazioni personali sia nei luoghi di lavoro. La figura istituzionale della Consigliera di Parità della Provincia di Lecce è preposta a contrastare ogni forma di discriminazione legata al genere e non solo, a dare sostegno alle lavoratrici e ai lavoratori che ne siano stati vittime sul luogo di lavoro, supportandoli gratuitamente in via stragiudiziale e giudiziale”.
“La violenza contro le donne e i femminicidi rappresentano ferite profonde nella nostra società, ma oggi dobbiamo esprimere la nostra determinazione nel combattere questi problemi - aggiunge Donatella Bertolone, vicepresidente Vicario Gruppo Donne Imprenditrici Fipe/Confcommercio - È incoraggiante vedere sempre più donne unirsi per reclamare il diritto alla sicurezza e al rispetto. Le donne non sono solo vittime, ma anche attrici fondamentali nel mondo del lavoro e dell’imprenditoria. Campagne come #SicurezzaVera ci mostrano che possiamo fare la differenza, sensibilizzando e coinvolgendo la società su questi temi cruciali. È essenziale lavorare insieme per sfatare l’idea che i luoghi di intrattenimento siano associati alla violenza. Dobbiamo trasformare questi spazi in ambienti sicuri e accoglienti, dove ogni persona, in particolare le donne, possa sentirsi protetta e rispettata”.
I dati raccolti dal Centro Antiviolenza Renata Fonte di Lecce parlano chiaro: nel 2024 hanno chiesto aiuto 174 donne. La fascia d’età più colpita è quella tra i 30 e i 39 anni (32%), seguita da quella tra i 40 e i 49 anni (23%). La violenza non ha un unico volto: il 44% ha subito violenza fisica, il 45% psicologica, mentre il 2% ha denunciato violenze sessuali e il 4% atti di stalking. Colpisce il fatto che, nonostante il dolore e la sofferenza, solo il 34% delle donne abbia trovato la forza di sporgere denuncia. Il restante 66% ha scelto di non farlo, per paura di ritorsioni o per mancanza di fiducia nelle istituzioni.
"Uscire da una relazione maltrattante non è mai semplice per una donna, soprattutto quando l’uomo che esercita violenza è il compagno, il marito o il padre dei suoi figli, dichiara Maria Luisa Toto - Presidente Associazione Donne Insieme che gestisce il Centro Antiviolenza Renata Fonte. Ogni donna ha i suoi tempi, perché la paura, la vergogna e il senso di colpa possono trasformarsi in una prigione invisibile, fatta di solitudine e isolamento. Questi numeri ci dicono che la violenza di genere è una piaga radicata nella nostra società. Non è solo un fenomeno privato, ma una delle più gravi violazioni dei diritti umani. Per questo è essenziale che le donne non si sentano sole. Devono sapere che c’è una rete di supporto pronta ad aiutarle".
Una rete di supporto alimentata anche da momenti di spettacolo che portano in scena – come nel caso di “Eva non è ancora nata” di e con Salvatore Cosentino, magistrato e autore teatrale - la realtà delle donne che vengono analizzate sotto l’aspetto umano, per una riflessione profonda sul loro ruolo nella società di oggi. A ricordare le vittime di femminicidio e di violenza di genere, da venerdì 7 marzo ci sarà a Lecce anche una nuova panchina rossa, installata a Palazzo dei Celestini su iniziativa della Commissione Pari Opportunità della Provincia. Una mobilitazione importante quella della città che ha coinvolto anche la U.S. Lecce, che ha voluto essere presente all’evento di Codere inviando un videomessaggio di Federico Baschirotto. Il capitano dei giallorossi salentini ha ribadito l’importanza del contrasto a qualsiasi forma di violenza sulle donne e della promozione della cultura del rispetto e della consapevolezza: temi anche della campagna “Un Rosso alla Violenza” della Lega Serie A che servono a tenere sempre alta l’attenzione.
“Quando 'Innamòrati di Te' ha mosso i suoi primi passi non mi aspettavo che sarebbe diventato un laboratorio così importante, un momento di confronto trasversale e costruttivo. In dieci anni abbiamo attraversato l’Italia più volte e abbiamo avuto l’opportunità di conoscere persone fantastiche che si impegnano per il bene comune, in particolare quello delle donne. Confesso di essere davvero emozionata nel vedere anche Lecce tra le Città delle Donne e ringrazio Adriana Poli Bortone per aver immediatamente colto lo spunto che, in qualità di Ambassador de Gli Stati Generali delle Donne, ho offerto - commenta Imma Romano Direttrice Relazioni Istituzionali di Codere Italia - . Anche questa volta siamo riuscite a trattare il tema della violenza di genere con chi questo tema lo conosce e lo combatte quotidianamente, provando a dare informazioni ed indicazioni molto concrete sugli strumenti esistenti e sulle opportunità che il mondo istituzionale e quello del terziario sociale mettono a disposizione. L’impegno di Codere resta un impegno concreto sia in termini di divulgazione che di supporto. Con gioia sosteniamo l’Associazione Donne Insieme che opera proprio su questo territorio”. Dopo Lecce, il progetto itinerante 'Innamòrati di Te' farà tappa il 24 giugno a Rivoli, alle porte di Torino, per un altro appuntamento gratuito e aperto al pubblico.
(Adnkronos) - Le violenze e le discriminazioni violano la dignità personale, creano un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante, offensivo e generano malessere nelle persone che le subiscono. “In questi casi, la prima cosa da fare è segnalare e denunciare alla Consigliera di Parità per ricevere supporto e assistenza. È fondamentale non rimanere in silenzio. Ogni voce conta e può portare ad un cambiamento - sottolinea Antonella Pappadà, consigliera di Parità effettiva della Provincia di Lecce - . Questo incontro offre un’occasione per riflettere e ricordare a noi stesse quanto sia importante valorizzare il nostro talento e le nostre competenze e imparare a non farci sopraffare sia nelle relazioni personali sia nei luoghi di lavoro. La figura istituzionale della Consigliera di Parità della Provincia di Lecce è preposta a contrastare ogni forma di discriminazione legata al genere e non solo, a dare sostegno alle lavoratrici e ai lavoratori che ne siano stati vittime sul luogo di lavoro, supportandoli gratuitamente in via stragiudiziale e giudiziale”.
“La violenza contro le donne e i femminicidi rappresentano ferite profonde nella nostra società, ma oggi dobbiamo esprimere la nostra determinazione nel combattere questi problemi - aggiunge Donatella Bertolone, vicepresidente Vicario Gruppo Donne Imprenditrici Fipe/Confcommercio - È incoraggiante vedere sempre più donne unirsi per reclamare il diritto alla sicurezza e al rispetto. Le donne non sono solo vittime, ma anche attrici fondamentali nel mondo del lavoro e dell’imprenditoria. Campagne come #SicurezzaVera ci mostrano che possiamo fare la differenza, sensibilizzando e coinvolgendo la società su questi temi cruciali. È essenziale lavorare insieme per sfatare l’idea che i luoghi di intrattenimento siano associati alla violenza. Dobbiamo trasformare questi spazi in ambienti sicuri e accoglienti, dove ogni persona, in particolare le donne, possa sentirsi protetta e rispettata”.
I dati raccolti dal Centro Antiviolenza Renata Fonte di Lecce parlano chiaro: nel 2024 hanno chiesto aiuto 174 donne. La fascia d’età più colpita è quella tra i 30 e i 39 anni (32%), seguita da quella tra i 40 e i 49 anni (23%). La violenza non ha un unico volto: il 44% ha subito violenza fisica, il 45% psicologica, mentre il 2% ha denunciato violenze sessuali e il 4% atti di stalking. Colpisce il fatto che, nonostante il dolore e la sofferenza, solo il 34% delle donne abbia trovato la forza di sporgere denuncia. Il restante 66% ha scelto di non farlo, per paura di ritorsioni o per mancanza di fiducia nelle istituzioni.
"Uscire da una relazione maltrattante non è mai semplice per una donna, soprattutto quando l’uomo che esercita violenza è il compagno, il marito o il padre dei suoi figli, dichiara Maria Luisa Toto - Presidente Associazione Donne Insieme che gestisce il Centro Antiviolenza Renata Fonte. Ogni donna ha i suoi tempi, perché la paura, la vergogna e il senso di colpa possono trasformarsi in una prigione invisibile, fatta di solitudine e isolamento. Questi numeri ci dicono che la violenza di genere è una piaga radicata nella nostra società. Non è solo un fenomeno privato, ma una delle più gravi violazioni dei diritti umani. Per questo è essenziale che le donne non si sentano sole. Devono sapere che c’è una rete di supporto pronta ad aiutarle".
Una rete di supporto alimentata anche da momenti di spettacolo che portano in scena – come nel caso di “Eva non è ancora nata” di e con Salvatore Cosentino, magistrato e autore teatrale - la realtà delle donne che vengono analizzate sotto l’aspetto umano, per una riflessione profonda sul loro ruolo nella società di oggi. A ricordare le vittime di femminicidio e di violenza di genere, da venerdì 7 marzo ci sarà a Lecce anche una nuova panchina rossa, installata a Palazzo dei Celestini su iniziativa della Commissione Pari Opportunità della Provincia. Una mobilitazione importante quella della città che ha coinvolto anche la U.S. Lecce, che ha voluto essere presente all’evento di Codere inviando un videomessaggio di Federico Baschirotto. Il capitano dei giallorossi salentini ha ribadito l’importanza del contrasto a qualsiasi forma di violenza sulle donne e della promozione della cultura del rispetto e della consapevolezza: temi anche della campagna “Un Rosso alla Violenza” della Lega Serie A che servono a tenere sempre alta l’attenzione.
“Quando 'Innamòrati di Te' ha mosso i suoi primi passi non mi aspettavo che sarebbe diventato un laboratorio così importante, un momento di confronto trasversale e costruttivo. In dieci anni abbiamo attraversato l’Italia più volte e abbiamo avuto l’opportunità di conoscere persone fantastiche che si impegnano per il bene comune, in particolare quello delle donne. Confesso di essere davvero emozionata nel vedere anche Lecce tra le Città delle Donne e ringrazio Adriana Poli Bortone per aver immediatamente colto lo spunto che, in qualità di Ambassador de Gli Stati Generali delle Donne, ho offerto - commenta Imma Romano Direttrice Relazioni Istituzionali di Codere Italia - . Anche questa volta siamo riuscite a trattare il tema della violenza di genere con chi questo tema lo conosce e lo combatte quotidianamente, provando a dare informazioni ed indicazioni molto concrete sugli strumenti esistenti e sulle opportunità che il mondo istituzionale e quello del terziario sociale mettono a disposizione. L’impegno di Codere resta un impegno concreto sia in termini di divulgazione che di supporto. Con gioia sosteniamo l’Associazione Donne Insieme che opera proprio su questo territorio”. Dopo Lecce, il progetto itinerante 'Innamòrati di Te' farà tappa il 24 giugno a Rivoli, alle porte di Torino, per un altro appuntamento gratuito e aperto al pubblico.
(Adnkronos) - Il Comune di Milano, alla luce delle indagini che recentemente hanno riguardato l’urbanistica, ricorda di aver già messo in atto diverse misure. Ad esempio con apposita delibera di Giunta, datata febbraio 2024, lo Sportello unico per l'edilizia (Sue) si è adeguato alle interpretazioni del gip in tema di pianificazione attuativa e ristrutturazione edilizia e lo scorso settembre è stato modificato il regolamento della Commissione per il paesaggio, "rafforzando ulteriormente il principio di trasparenza che lo guida e prevedendo che almeno 8 componenti su 15, compreso il presidente, per l’intera durata dell’incarico non svolgano attività di libera professione nel territorio comunale".
Lo scorso novembre sono state introdotte regole "molto restrittive" sui contatti tra funzionari dello Sportello unico per l'edilizia e gli utenti privati. E' invece datato primo marzo 2025 l’avvicendamento di alcuni dirigenti, mentre nel maggio 2023 il Consiglio comunale ha approvato la delibera di Giunta relativa all’aggiornamento degli oneri di urbanizzazione e a novembre 2024 sono stati aggiornati anche i criteri di monetizzazione dello standard.
Roma, 5 mar. (Adnkronos) - Il 63% degli intervistati ritiene che il modello di gestione del calcio italiano sia in crisi, con una percezione più diffusa tra gli uomini (75%) e i tifosi (69%). E' quanto si evince dall'indagine condotta da 'Noto Sondaggi' su 'Gli italiani e il Calcio', un resoconto sul rapporto tra gli italiani e il mondo del calcio e la percezione del suo stato di salute, esplorando l'interesse per lo sport, il rapporto con il calcio, la percezione della salute del calcio, il ripensamento del modello di business e il sostegno pubblico al settore.
La maggioranza assoluta degli intervistati (67%) è tifoso di una squadra di calcio in particolare, con percentuali che superano il 90% tra chi lo pratica come sport e sfiorano l’80% tra gli uomini. È interessante rilevare come perfino una parte, seppur minoritaria, di chi non pratica né segue il calcio dichiari di avere una squadra del cuore. Chi ha seguito il calcio nell’ultimo anno lo ha fatto soprattutto in Tv (62% spesso, 28% qualche volta), mentre solo un appassionato su cinque si è recato allo stadio (34%, di cui 7% spesso). In entrambi i casi, la frequenza con cui si segue il calcio tende ad aumentare tra gli under 55, chi lo pratica come sport e chi è tifoso di una squadra. Coerentemente con la scelta di seguire il calcio in Tv piuttosto che allo stadio, la modalità più frequente per seguire la squadra del cuore è l’abbonamento alla PayTv (40%, con punte del 60% tra chi pratica il calcio), mentre l’11% segue la squadra in trasferta, il 10% ha un abbonamento allo stadio e l’8% dichiara di far parte di una tifoseria.
Una quota prevalente di intervistati (63% del totale) ritiene che il modello di gestione del calcio italiano sia crisi. Una percezione trasversale, ma più diffusa tra gli uomini (75%), i residenti nel Centro Italia (67%) e soprattutto tifosi e appassionati di calcio, ancor più se lo pratica (83%). Il compenso eccessivo di calciatori ed allenatori rappresenta il principale problema del calcio italiano odierno (indicato dal 64% del campione), ma all’interno di uno scenario ben più complesso fatto di tante criticità, tra cui spiccano l’indebitamento troppo elevato delle società (43%) e la scarsa valorizzazione dei settori giovanili (39%). Il 69% ritiene, inoltre, che la gestione economica delle società calcistiche italiane non sia trasparente. Crisi e problematiche spingono la maggioranza degli intervistati a giudicare il modello di gestione del calcio italiano per lo più equiparabile se non inferiore a quello di altri paesi europei (rispettivamente 38% e 32% del campione). Solo una parte minoritaria (appena il 12%) ritiene, inoltre, che il calcio italiano sia in una condizione finanziariamente più solida, mentre sull’effettiva capacità delle società sportive italiane di ripensare il proprio modello di business, adattandolo alle nuove regole Uefa, le opinioni sono discordanti.
La visione degli intervistati sul nuovo modello di business a cui le società calcistiche dovrebbero ispirarsi è ricca di sfumature. Coloro che ritengono che la solidità economica sia la cosa più importante per garantire la competitività sportiva di una squadra prevalgono, ma incalzati da chi ritiene non sia così (rispettivamente 43% e 32% del campione). La maggioranza assoluta ritiene che nel calcio chi ha più soldi abbia più probabilità di vincere (54%), ma non sono pochi coloro che, al contrario, ritengono che il talento vada formato e che, quindi, si dovrebbe investire nella formazione dei talenti anche se questo non garantisce sempre la vittoria (22%). Indipendentemente dai principi ispiratori, il nuovo modello di business delle società calcistiche dovrebbe prioritariamente puntare ad affrontare le tante problematiche del settore,a partire da quelle di natura finanziaria: costo di ingaggi, cartellini e commissioni fuori controllo o con regolamentazione inadeguata (indicato dal 46% del campione), indebitamento eccessivo (38%), investimenti insufficienti dei club nei settori giovanili (31%).
Tre intervistati su quattro (70% del totale, con scostamenti per lo più contenuti in relazione al profilo socio-demografico) sono contrari all’idea che il calcio professionistico in Italia sia finanziato e riceva sostegno pubblico, in quanto le società di calcio di primo livello debbano essere trattate allo stesso modo delle altre imprese. Solo il 18% si dichiara, viceversa, favorevole ad un’ipotesi di un intervento pubblico straordinario, sottolineando le ricadute positive che il calcio ha sulla collettività, mentre il restante 12% non esprime un’opinione in merito.
Le opinioni espresse sul ruolo dello Stato nella gestione finanziaria di impianti e strutture sportive sono più eterogenee. La maggioranza, in particolare giovani e appassionati di calcio, ritiene che lo Stato debba assumersi almeno in parte questa responsabilità. Tuttavia, il consenso varia a seconda dell’ambito di intervento: il 55% degli intervistati ritiene che lo Stato debba farsi in parte o totalmente carico dell’ammodernamento e della manutenzione degli impianti, mentre la stessa percentuale sale 64% con riferimento alla sicurezza dentro e fuori gli stadi.
Roma, 5 mar. (Adnkronos) - Il 63% degli intervistati ritiene che il modello di gestione del calcio italiano sia in crisi, con una percezione più diffusa tra gli uomini (75%) e i tifosi (69%). E' quanto si evince dall'indagine condotta da 'Noto Sondaggi' su 'Gli italiani e il Calcio', un resoconto sul rapporto tra gli italiani e il mondo del calcio e la percezione del suo stato di salute, esplorando l'interesse per lo sport, il rapporto con il calcio, la percezione della salute del calcio, il ripensamento del modello di business e il sostegno pubblico al settore.
La maggioranza assoluta degli intervistati (67%) è tifoso di una squadra di calcio in particolare, con percentuali che superano il 90% tra chi lo pratica come sport e sfiorano l’80% tra gli uomini. È interessante rilevare come perfino una parte, seppur minoritaria, di chi non pratica né segue il calcio dichiari di avere una squadra del cuore. Chi ha seguito il calcio nell’ultimo anno lo ha fatto soprattutto in Tv (62% spesso, 28% qualche volta), mentre solo un appassionato su cinque si è recato allo stadio (34%, di cui 7% spesso). In entrambi i casi, la frequenza con cui si segue il calcio tende ad aumentare tra gli under 55, chi lo pratica come sport e chi è tifoso di una squadra. Coerentemente con la scelta di seguire il calcio in Tv piuttosto che allo stadio, la modalità più frequente per seguire la squadra del cuore è l’abbonamento alla PayTv (40%, con punte del 60% tra chi pratica il calcio), mentre l’11% segue la squadra in trasferta, il 10% ha un abbonamento allo stadio e l’8% dichiara di far parte di una tifoseria.
Una quota prevalente di intervistati (63% del totale) ritiene che il modello di gestione del calcio italiano sia crisi. Una percezione trasversale, ma più diffusa tra gli uomini (75%), i residenti nel Centro Italia (67%) e soprattutto tifosi e appassionati di calcio, ancor più se lo pratica (83%). Il compenso eccessivo di calciatori ed allenatori rappresenta il principale problema del calcio italiano odierno (indicato dal 64% del campione), ma all’interno di uno scenario ben più complesso fatto di tante criticità, tra cui spiccano l’indebitamento troppo elevato delle società (43%) e la scarsa valorizzazione dei settori giovanili (39%). Il 69% ritiene, inoltre, che la gestione economica delle società calcistiche italiane non sia trasparente. Crisi e problematiche spingono la maggioranza degli intervistati a giudicare il modello di gestione del calcio italiano per lo più equiparabile se non inferiore a quello di altri paesi europei (rispettivamente 38% e 32% del campione). Solo una parte minoritaria (appena il 12%) ritiene, inoltre, che il calcio italiano sia in una condizione finanziariamente più solida, mentre sull’effettiva capacità delle società sportive italiane di ripensare il proprio modello di business, adattandolo alle nuove regole Uefa, le opinioni sono discordanti.
La visione degli intervistati sul nuovo modello di business a cui le società calcistiche dovrebbero ispirarsi è ricca di sfumature. Coloro che ritengono che la solidità economica sia la cosa più importante per garantire la competitività sportiva di una squadra prevalgono, ma incalzati da chi ritiene non sia così (rispettivamente 43% e 32% del campione). La maggioranza assoluta ritiene che nel calcio chi ha più soldi abbia più probabilità di vincere (54%), ma non sono pochi coloro che, al contrario, ritengono che il talento vada formato e che, quindi, si dovrebbe investire nella formazione dei talenti anche se questo non garantisce sempre la vittoria (22%). Indipendentemente dai principi ispiratori, il nuovo modello di business delle società calcistiche dovrebbe prioritariamente puntare ad affrontare le tante problematiche del settore,a partire da quelle di natura finanziaria: costo di ingaggi, cartellini e commissioni fuori controllo o con regolamentazione inadeguata (indicato dal 46% del campione), indebitamento eccessivo (38%), investimenti insufficienti dei club nei settori giovanili (31%).
Tre intervistati su quattro (70% del totale, con scostamenti per lo più contenuti in relazione al profilo socio-demografico) sono contrari all’idea che il calcio professionistico in Italia sia finanziato e riceva sostegno pubblico, in quanto le società di calcio di primo livello debbano essere trattate allo stesso modo delle altre imprese. Solo il 18% si dichiara, viceversa, favorevole ad un’ipotesi di un intervento pubblico straordinario, sottolineando le ricadute positive che il calcio ha sulla collettività, mentre il restante 12% non esprime un’opinione in merito.
Le opinioni espresse sul ruolo dello Stato nella gestione finanziaria di impianti e strutture sportive sono più eterogenee. La maggioranza, in particolare giovani e appassionati di calcio, ritiene che lo Stato debba assumersi almeno in parte questa responsabilità. Tuttavia, il consenso varia a seconda dell’ambito di intervento: il 55% degli intervistati ritiene che lo Stato debba farsi in parte o totalmente carico dell’ammodernamento e della manutenzione degli impianti, mentre la stessa percentuale sale 64% con riferimento alla sicurezza dentro e fuori gli stadi.
Roma, 5 mar. (Adnkronos) - Il Consiglio di Presidenza dell’Associazione Nazionale di Settore, che si è riunito oggi, ha approvato all’unanimità l’ammissione a Socio del Gruppo Azimut | Benetti. "Sono stato eletto nel 2019 con il mandato di unificare sotto una forte rappresentanza associativa tutta la filiera del settore" ha sottolineato il presidente di Confindustria Nautica Saverio Cecchi. "Sono orgoglioso, all’approssimarsi del termine del mio mandato, del raggiungimento completo di tale obiettivo con il ritorno in Associazione del Gruppo Azimut | Benetti. e sottolineo con soddisfazione l’adozione all’unanimità della delibera di ammissione da parte degli Organi statutari", ha aggiunto.
"Crediamo fermamente che un'industria nautica più unita sia un'industria più forte, capace di affrontare le sfide globali con maggiore coesione e visione strategica. Lavorare insieme significa non solo consolidare il ruolo dell'Italia come leader mondiale nella nautica, ma anche promuovere innovazione, sostenibilità e crescita per l’intera filiera. La scelta di aderire a Confindustria Nautica è espressione di questo impegno" ha commentato Marco Valle, Amministratore Delegato del Gruppo Azimut | Benetti.
Roma, 5 mar. (Adnkronos) - "Dalla lettura dell’Industrial Action Plan della Commissione Ue per l’automotive emergono ancora di più la necessità e l’urgenza di un nuovo percorso verso la mobilità decarbonizzata che integri il principio della neutralità tecnologica". Ad affermarlo in una nota è Matteo Cimenti presidente di Assogasliquidi-Federchimica in rappresentanza delle filiere dei gas liquefatti (Gpl e Gnl).
"Sono ormai a tutti evidenti – prosegue Cimenti – le difficoltà nel raggiungere gli obiettivi del 2035 e successivi. In questo contesto, la Commissione si è impegnata ad accelerare la revisione del regolamento CO₂ per le auto, che partirà da un’analisi dei dati, di tutti gli sviluppi tecnologici rilevanti e dell’importanza di una transizione economicamente sostenibile e socialmente equa. Ci aspettiamo quindi che le Istituzioni comunitarie (a cominciare dal Parlamento europeo) rivedano il bando relativo ai motori a combustione interna e riconoscano tutte le tecnologie capaci di contribuire alla decarbonizzazione del trasporto, inclusi i biocarburanti. I prodotti gassosi anche nella loro versione bio e rinnovabile si distinguono come soluzioni concrete e immediate per ridurre le emissioni di CO₂".
Incomprensibile la chiusura sul fronte del trasporto pesante, dove il Gnl e il bioGnl rappresentano già oggi la soluzione più pronta e disponibile. Nel Piano non è prevista alcuna apertura per giungere alla revisione del Regolamento sulle emissioni di CO₂ dei veicoli pesanti: "La nostra richiesta e il nostro auspicio – conclude Cimenti – è che nella fase attuativa del Piano appena presentato, le Istituzioni europee lavorino anche su questo fronte nella direzione auspicata, l'unica in grado di coniugare sviluppo industriale competitivo, raggiungimento degli obiettivi ambientali e attenzione ai consumatori".